venerdì 24 gennaio 2020

Il tocco magico del nuovo Re Mida di Giuseppe Savagnone

Il tocco magico del nuovo Re Mida
di Giuseppe Savagnone*

Un antico mito e una realtà attuale

In un antico mito si narra che il re Mida, ricchissimo ma avido di sempre nuove ricchezze, ottenne da Apollo che qualunque cosa avesse toccato si trasformasse in oro. Questa leggenda mi è tornata in mente leggendo delle ultime gesta di Matteo Salvini alla vigilia delle elezioni regionali in Emilia-Romagna. L’episodio a cui mi riferisco è quello della chiamata al citofono di un ragazzo tunisino del quartiere popolare Pilastro, a Bologna, per chiedergli se era vera la voce che spacciava droga.

Strane coincidenze

Una domanda certamente indiscreta e offensiva, basata su un sospetto infamante, la cui fondatezza avrebbe se mai dovuto essere verificata dalle forze dell’ordine preposte a questo compito. Sta di fatto che la vicenda sta dando luogo a vivaci proteste da parte del parlamento tunisino, che legge questo gesto alla luce delle frequenti affermazioni diffamatorie degli stranieri da parte del leader leghista e ravvisa in esso un comportamento razzista, offensivo nei confronti della Tunisia. Salvini dice che l’origine tunisina del ragazzo non c’entra nulla e che avrebbe fatto lo stesso con un italiano. Ma la coincidenza con la sua ossessiva insistenza sulla pericolosità degli stranieri è troppo evidente perché si possa parlare di puro caso. E d’altronde, con un italiano nulla di simile è mai stato fatto.

Ma non è questo il punto cruciale. A suggerirmi il ricordo del re Mida è il fatto che il leader leghista, nel compiere questo gesto, si è presentato con un corteo di giornalisti che hanno registrato tutto, trasformando un’iniziativa discutibile, ma di per sé, in astratto, riconducibile a un impegno civico di lotta contro la droga, in uno spot propagandistico in vista dell’imminente appuntamento elettorale. Un comune sasso che diventa oro nei sondaggi.

Il primo prodigio di Mida-Salvini

Un episodio isolato? Non sarebbe sufficiente a scomodare gli antichi miti. Esso ne fa venire in mente tanti altri, che costellano la storia dell’impegno pubblico di Matteo Salvini. A cominciare dal suo cavallo di battaglia per le elezioni del marzo 2018, e poi da ministro degli Interni: il problema dell’immigrazione.

Un problema reale e, sempre astrattamente parlando, degno di essere oggetto di attenzione, anche se tutte le statistiche dicevano che già all’inizio di quell’anno gli sbarchi erano diminuiti dell’80%, riducendosi a numeri del tutto gestibili, e che il numero degli stranieri già accolti in Italia erano decisamente inferiore a quello di quasi tutti i paesi europei.

Ma il tocco magico di Mida-Salvini trasformò questa ordinaria amministrazione in una cava d’oro, che permise al suo partito di raddoppiare in pochi mesi i consensi nei sondaggi e di presentarsi agli italiani come il “difensore dei confini” della patria assediata dai barbari.

Con ripercussioni religiose…

Strettamente collegato a questo “prodigio” è stato quello che ha permesso al leader della Lega di trasfigurare in simboli di esclusione il vangelo, il rosario, i santi cattolici, che nella visione della Chiesa, autorevolmente rappresentata da papa Francesco e dalla stragrande maggioranza dei vescovi, erano invece rappresentativi di un messaggio di amore e di accoglienza dei poveri. Suscitando nella popolazione di regioni tradizionalmente fedelissime alla gerarchia ecclesiastica, come la Lombardia e il Veneto, un atteggiamento di sorda diffidenza verso il papa, pubblicamente fischiato per i suoi appelli alla solidarietà. E accaparrandosi i voti della maggioranza del mondo cattolico.

«Pieni poteri»

Ma non basta. Contemporaneamente, durante l’esperienza del governo Lega-5stelle, abbiamo assistito a un altro miracolo: il ministro degli Interni che chiude i porti, come se fosse quello delle infrastrutture (il solo competente a farlo), che detta l’agenda dei rapporti con l’Europa e riceve i capi di Stato stranieri, come se fosse il ministro degli Esteri, che dà istruzioni alle nostre navi da guerra come se fosse il ministro della difesa, che stabilisce i termini della legge di bilancio, come se fosse il ministro dell’economia, che convoca i sindacati, come se fosse quello de lavoro, che decide tutto questo da solo, senza neppure consultare il capo del governo, della cui opinione – come precisa pubblicamente – non tiene alcun conto.

Pieni poteri, di fatto, esercitati con la complice, inaudita debolezza (e quindi complicità) dell’allora premier Conte e dell’altro vice-premier, Di Maio, da cui è scaturita la trasformazione di una carica, che avrebbe dovuto essere esercitata in leale collaborazione con i colleghi di governo al servizio del paese, nell’immagine dell’ “uomo forte”, del “capitano” che può salvare l’Italia. Altre umili pietre cambiate in oro zecchino dall’ infaticabile Mida-Salvini.

«Rialzare la testa»?

Per non parlare dei rapporti con l’Europa, gestiti, come si è detto, dal nostro ministro degli Interni, che lo ha fatto, però, a colpi di dichiarazioni sarcastiche e talora esplicitamente offensive, invece che con trattative concretamente volte a ottenere ciò che l’Italia chiedeva. Col risultato di non ottenere nulla, se non la perdita delle posizioni di prestigio che i passati governi ci avevano assicurato ai vertici dell’UE.

Ma, in compenso, di potersi presentare, da una piazza all’altra, da un salotto televisivo all’altro, come colui che stava finalmente consentendo al nostro paese di «rialzare la testa». Con gli italiani abbagliati dal luccichìo di tanto oro, anche se forse sarebbe stato preferibile partecipare agli incontri con gli gli altri ministri degli Interni (Salvini ne ha disertati sette su otto) per farsi ascoltare dall’Europa, invece di passare il tempo a gridare: «L’Europa ci deve ascoltare!».

La prodigiosa sostituzione della candidata

Un’ultima prodigiosa metamorfosi è questa che si è verificata in Emilia-Romagna, dove il duello all’ultimo voto è stato combattuto dal candidato della sinistra, Bonaccini e dal leader della Lega, che non era affatto candidato, ma che ha spiegato agli emiliani-romagnoli di essere il vero antagonista del governatore uscente, perché il problema del buon governo della loro regione era irrilevante e queste elezioni servivano a portare alle elezioni che avrebbero incoronato lui, Matteo Salvini, dandogli anche formalmente i «pieni poteri» già esercitati nella precedente esperienza di governo.

E il bello è che gli emiliani-romagnoli, che pure hanno una bella tradizione di cittadinanza democratica, invece di chiedere notizie di quella che, in caso di vittoria della Lega, sarebbe in realtà la loro futura governatrice, Lucia Borgonzoni, accettano senza nemmeno stupirsi questa sostituzione di persona. Mida non avrebbe potuto fare di meglio per trasformare i sassi in oro.

Eppure, forse, qualche problema c’è…

Solo che il mito del re della Frisia parla anche di qualche problema, che lo portò a pentirsi di aver chiesto quel dono così stupefacente. Perché scoprì che non riusciva più a nutrirsi: tutto ciò che prendeva in mano per mangiare o per bere si trasformava in oro, prezioso, ma non commestibile.

Analogamente, anche il dono ricevuto da Matteo Salvini di trasformare ogni cosa in propaganda potrebbe alla lunga rivelare i suoi limiti. Perché la religione non può essere trasformata in strumento di consenso elettorale senza perdere qualcosa di essenziale. Alla lunga la gente comincerà a chiedersi se il “capitano”, oltre a giurare sul vangelo, lo ha mai letto, e oltre a sventolare il rosario, lo ha mai in vita sua, almeno una volta recitato.

Ma nemmeno la politica si può ridurre a propaganda. Altro è fare discorsi bellicosi, da “macho”, altro è governare. Per questo Salvini ha mostrato, nella non brevissima esperienza che lo ha visto in prima linea nel governo, scarsa attitudine. Ognuno ha i suoi doni. Lui ha quello di convincere le masse. Ma non è capace – lo si è visto sul campo – di individuare i veri problemi del paese e di affrontarli. Tanto meno di rappresentarci all’estero. Ed anche in occasione di queste elezioni regionali, parla il meno possibile dei problemi del buon governo e punta tutto sulla fandonia del “partito di Bibbiano” (dimenticavo un altro prodigio: la bambina che non era di Bibbiano e che non era stata affatto restituita ala madre, sventolata, al raduno della Lega come una vittoria del partito nella difesa delle famiglie).

Ancora una volta, un problema reale – quello della gestione delle adozioni e degli affidi – da affrontare con rispetto e serietà, trasformato in uno spot del circo mediatico. Voti assicurati. Ma l’oro, quando sostituisce gli alimenti, può essere indigesto…

*Scrittore ed Editorialista. Direttore Ufficio Pastorale della Cultura dell'Arcidiocesi di Palermo.


Leggi anche la Nota della Conferenza episcopale della regione Emilia Romagna in preparazione all'appuntamento elettorale 2020.