mercoledì 1 gennaio 2020

CONTRO LA RETORICA DELL’APOCALISSE, DI UN MONDO SENZA FUTURO di p. Antonio Spadaro

CONTRO LA RETORICA DELL’APOCALISSE, 
DI UN MONDO SENZA FUTURO 
di p. Antonio Spadaro


Il 9 novembre 1989 cominciava a cadere il Muro di Berlino. Fu il tramonto dei totalitarismi. Una nuova epoca sembrava sorgere, segnata dalla globalizzazione. Eppure essa ha oggi i tratti dell’indifferenza e del conflitto. A fronte di un muro crollato, nel mondo ne sono sorti tanti altri. La crisi globale prende varie forme e si esprime in conflitti, dazi, fili spinati, crisi migratorie, regimi che cadono, nuove alleanze minacciose e vie commerciali che aprono la strada a ricchezza, ma anche a tensioni. Quando Francesco parlò della Chiesa come «ospedale da campo dopo una battaglia», non intendeva usare una bella immagine, retoricamente efficace. Quel che aveva davanti agli occhi era uno scenario mondiale da «guerra mondiale a pezzi ».
Per Francesco, il compito della Chiesa non è adattarsi alle dinamiche del mondo, della politica, della società per puntellarle e farle sopravvivere alla meno peggio: questo è da lui giudicato «mondanità». Tantomeno egli intende schierarsi contro il mondo, contro la politica e contro la società. Il Papa non respinge la realtà in vista di un’apocalisse agognata, di una fine che vinca la malattia del mondo distruggendolo. Non spinge per portare alle estreme conseguenze la crisi del mondo predicando la fine imminente, né trattiene i pezzi di un mondo che sta crollando cercando alleanze comode, equilibrismi, collateralismi. Inoltre, non cerca di eliminare il male, perché sa che è impossibile. Semplicemente esso si sposterebbe e si manifesterebbe altrove, in altre forme. Cerca invece di neutralizzarlo. Proprio qui sta il nodo per comprendere quale sia il significato dell’azione bergogliana. Qui il rovello.
È dunque per questo che, sotto il profilo diplomatico, Francesco si assume la responsabilità di posizioni rischiose. La tradizionale cautela diplomatica si sposa con l’esercizio della parresia, fatta di chiarezza e talvolta di denuncia. Le prese di posizione contro il capitalismo finanziario speculativo, il costante riferimento alla tragedia dei migranti, «vero nodo politico globale», la memoria del «genocidio» armeno, la condanna del possesso (e non solamente dell’uso) delle armi nucleari. Gli echi persistenti che hanno generato sono quelli che vengono da una «voce che grida nel deserto», per citare Isaia, il profeta biblico. E il Papa della misericordia non esita a gridare «maledetti », durante una Messa a Santa Marta, a coloro che fomentano le guerre e lucrano su di esse. Francesco si confronta con il nuovo ruolo globale del cattolicesimo nel contesto odierno. E in questo contesto la sua è e vuole essere essenzialmente una visione spirituale ed evangelica dei rapporti internazionali.

Francesco presenta la Chiesa come segno di contraddizione in un mondo assuefatto all’indifferenza. Davanti alla crisi delle leadership globali nel mondo occidentale, Francesco resiste alla tentazione di intendere il cattolicesimo come garanzia politica, “ultimo impero”, erede di gloriose vestigia, pilastro di argine al declino. Bergoglio intende liberare i pastori dal sentirsi in guerra in difesa di un ordine la cui caduta porterebbe all’apocalisse del cattolicesimo e magari del mondo. Semmai sta svolgendo una sistematica contronarrazione rispetto alla narrativa della paura. Occorre, dunque, combattere contro la manipolazione di questa stagione dell’ansia e dell’insicurezza.
Per questo, coraggiosamente, il Papa non dà alcuna legittimazione teologico-politica ai terroristi, evitando, ad esempio, ogni riduzione dell’islam al terrorismo islamista. E non la dà neanche a coloro che postulano e che vogliono una «guerra santa» o che costruiscono barriere di filo spinato proprio con la scusa di frenare l’apocalisse e di porvi un argine fisico e simbolico allo scopo di ripristinare un «ordine». L’unico filo spinato per il cristiano, infatti, è quello della corona di spine che Cristo ha in capo. Il Papa reagisce svolgendo un’azione pedagogica nei confronti di quei figli di Dio che ancora non sanno di essere figli e dunque fratelli tra di loro. La sua “autorità” si declina come “paternità”. San Francesco d’Assisi sale sul trono di san Pietro.
Un esempio chiaro di questa azione è stata la firma insieme al Grande imam di al-Ahzar, di un “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”. Il Documento affronta con coraggio la sfida della malattia della religione che trasforma la santità in servizio dell’azione politica intesa come causa sacra. Francesco incontra il Sultano, come 800 anni fa. E lancia una sfida all’apocalisse: la «fratellanza». E se siamo tutti fratelli, scrivono il papa e l’imam, allora tutti siamo cittadini con uguali diritti e doveri. Scompare ogni idea di “minoranza”, che porta con sé i semi del tribalismo e dell’ostilità, che vede nel volto dell’altro la maschera del nemico. Così il messaggio assume rilevanza globale: in un tempo segnato da muri, odio e paura indotta, queste parole capovolgono la logica mondana del conflitto necessario. Il Papa lo ha espresso con chiarezza nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2020: bisogna rompere la «logica morbosa» della paura, «fonte di conflitto» che aumenta il «rischio della violenza». L’approccio di Francesco è sovversivo rispetto alle teologie politiche apocalittiche che si vanno diffondendo nel mondo.

(Fonte: pubblicato su  “La Repubblica” del 30 dicembre 2019)