giovedì 26 dicembre 2019

Sul senso più profondo del Natale, oltre folklore e retorica - Riflessione del biblista Alberto Maggi

Sul senso più profondo del Natale, oltre folklore e retorica
di Alberto Maggi*

Quale verità intendono trasmettere gli evangelisti con la nascita di Gesù che si celebra con il Natale? Su ilLibraio.it la riflessione del biblista Alberto Maggi



IL SALVATORE

Con la Lettera apostolica Admirabile signum, Papa Francesco incoraggia a realizzare, in ogni forma possibile, “la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe. Come pure la consuetudine di allestirlo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze…”. Il Papa afferma inoltre che il presepe “manifesta la tenerezza di Dio”, che in Gesù “si abbassa alla nostra piccolezza”.

Indubbiamente il presepio può aiutare a riflettere e attualizzare, nella realtà quotidiana, l’evento della nascita del Bambino, per essere poi capaci di incontrarlo “nei fratelli e nelle sorelle più bisognose”. Ma perché questo sia possibile, è importante conoscere il significato dell’episodio evangelico che con il presepio si intende raffigurare, altrimenti si rischia di ridurre il tutto a sola tradizione o a puro folklore. Quando infatti si fa prevalere il sentimento sul significato, si corre il rischio di considerare il Natale alla stregua di una leggenda o di una bella favola, come quella di Babbo Natale, che fa certamente vibrare per qualche giorno le emozioni, ma poco o nulla incide nella vita degli uomini, e poi, passato il Natale, si ripone via, come le luci e gli addobbi natalizi.

Quale verità intendono trasmettere gli evangelisti con la nascita di Gesù che si celebra con il Natale? La buona notizia che essi annunciano è che il progetto, che da sempre Dio aveva sull’umanità, prima ancora della creazione del mondo, che ogni uomo potesse diventare suo figlio, e avere così la sua stessa vita divina (Ef 1,4-6), una vita indistruttibile, eterna, si è realizzato storicamente in Gesù di Nazareth (“Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”, Gv 1,14) e, attraverso di lui, incessantemente proposto a tutti: “A quanti l’hanno accolto ha dato la capacità di divenire Figli di Dio” (Gv 1,12).

Il Natale che viene presentato dagli evangelisti è una lettura, o interpretazione teologica della nascita di Gesù alla luce della sua morte e risurrezione e, per questo, quelle della natività e prima infanzia di Gesù, sono pagine altamente significative e ricche di verità teologiche. Per scoprirle occorre procedere a un’operazione di pulizia togliendo quelle sovrastrutture, anche belle, che hanno finito per soffocare e nascondere il significato profondo della narrazione evangelica, attirando l’attenzione su dettagli inesistenti o secondari a scapito delle verità trasmesse. L’evangelista più antico, Marco, non accenna minimamente alla nascita di Gesù, e presenta il Cristo già adulto, al momento del battesimo nel fiume Giordano da parte di Giovanni il Battista (Mc 1,9-11), deciso a iniziare la sua missione di presentare agli uomini il vero volto di Dio, un Padre amante di ogni creatura. L’evangelista considerato più recente, Giovanni, offre della venuta del Figlio di Dio una ricca interpretazione teologica, senza però dare alcuna indicazione sulle sue origini (Gv 1,14). Solo Matteo e Luca narrano la nascita del Cristo, ma la loro intenzione non è quella di descrivere minuziosamente la cronaca del giorno, mese e anno, completamente sconosciuti, in cui a Betlemme, da Giuseppe e Maria è nato un maschietto al quale hanno posto di nome Jeshu’a, “Il Signore salva” (l’equivalente di “Salvatore”). Negli evangelisti non si trova nulla della retorica della data, il venticinque dicembre, del freddo e del gelo, dell’ora tanto mistica (mezzanotte), dell’angosciante disperata ricerca di Giuseppe di un luogo dove far partorire la moglie, ormai prossima a dare alla luce Gesù, della nascita del bambino in una grotta o stalla, della presenza dell’asino e del bue, della cometa, di tre re venuti per adorare il Bambino…

Quel che gli evangelisti intendono trasmettere, è che con Gesù “venne nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9), ma se ne sono accorti quanti vivevano nelle tenebre. La nascita del Salvatore è stata recepita solo da quelli che sentivano la necessità della salvezza. In Luca sono i pastori (“È nato per voi un Salvatore”, Lc 2,11) considerati appartenenti alle categorie più disprezzate ed emarginate, e in Matteo sono i magi (Mt 2,1-12), abominevoli persone non solo perché pagane, quanto perché dedite a un’attività severamente proibita dalla Bibbia (Lv 19,26; At 8,9-24) e vietata ai Giudei: “Chi impara qualcosa da un mago merita la morte” (Shab. b. 75a). La buona notizia del Natale è per questi. Dio in Gesù si manifesta come un Signore che non è buono, ma esclusivamente buono, un Padre che ama i suoi figli non perché questi lo meritino, ma perché Lui è buono. L’amore del Padre non è concesso come un premio per i meritevoli, ma come un dono per i bisognosi. Il Dio che in Gesù si manifesta, è come il medico che non è venuto per i sani ma per i malati, non per i giusti ma per i peccatori (Mt 9,13). Un Dio che in Gesù “non spezza la canna incrinata”, e neanche spegne “una fiamma smorta” (Mt 12,10), che non taglia e getta nel fuoco l’albero che non porta frutto (Mt 3,10), ma cerca di rianimarlo, zappando attorno alle radici e mettendo il concime per vivificarlo (Lc 13,8).

La buona notizia del Natale è che Dio non sta dalla parte dei potenti, che è venuto a rovesciare dai loro troni, né dalla parte dei ricchi, che rimanda a mani vuote, ma è venuto a innalzare gli umiliati e a ricolmare di beni gli affamati (Lc 1,52-53), perché “quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto… (1 Cor 1,28), e come una pietra, che gli uomini scartano perché giudicano non adatta alla costruzione, proprio quella Dio usa come la più importante (Mt 21,42). Per questo, nel vangelo di Giovanni, saranno i samaritani, il popolo disprezzato dai Giudei, e ritenuto una razza bastarda (2 Re 17,6.24), tanto da essere trattati peggio dei pagani, e considerati nemici di Dio, quelli che riconosceranno e accoglieranno Gesù, quale “salvatore del mondo” (Gv 4,42).

*Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere.
Maggi ha pubblicato diversi libri, tra cui: Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita, Roba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi, L’ultima beatitudine – La morte come pienezza di vita, Di questi tempi e Due in condotta.