Novena di Natale
a cura di Antonio Savone
IV giorno
La mia stessa anagrafe
È soltanto una forma di regressione infantile a portarci qui, stanotte? No, non credo. Questa notte porta con sé un richiamo misterioso ma senz’altro tenace. Qualcosa che è tutto da ascoltare, da scrutare, da riconoscere e da accogliere. Anche se non poche esperienze vorrebbero attenuarla se non addirittura spegnerla, c’è una luce che per quanto flebile, continua ad attirarci stanotte e a farci credere che qualcosa, forse, potrebbe assumere un orientamento diverso.
Ne avessi la possibilità vorrei con discrezione ascoltare le ragioni del cuore di ciascuno.
Tu perché sei qui? E tu? E tu?
Probabilmente ciascuno ha la sua risposta personale. Qualcuno, forse, non riesce neppure a capire bene per quale motivo sia qui. Qualunque esso sia, a me piace pensare che esso sia l’opportunità mediante la quale Dio stesso vi ha suggerito di lasciare il caldo delle vostre case e raggiungere questa nostra Chiesa. Risposte diverse, certo, ma verosimilmente racchiudibili in una certezza che in questa notte, più che in ogni altra circostanza, sentiamo palpitare più viva dentro di noi. Qual è questa certezza? L’ho trovata molto ben espressa nelle parole che il papa ha rivolto in piazza di Spagna lo sorso 8 dicembre: “Per quanto l’uomo possa cadere in basso, non è mai troppo in basso per Dio”. Ero a Viggiano quel pomeriggio dell’8 dicembre, per la chiusura dell’anno giubilare ed ero insieme ad altri amici sacerdoti che guardavano la diretta in tv. Mentre lavoravo al computer, con la coda degli occhi, di tanto in tanto, davo una sbirciatina al televisore. Ricordo ancora cosa ha attraversato il mio cuore quando ho ascoltato quel passaggio, tanto è vero che non sono riuscito a trattenermi dal commentare ad alta voce: che bello!
“Per quanto l’uomo possa cadere in basso, non è mai troppo in basso per Dio”. Ecco ciò che celebriamo stanotte. Ecco il centro della nostra fede! Dio sceglie di scrivere suo figlio nella mia stessa anagrafe, nella mia stessa situazione di emergenza e di precarietà. Dio mi attende proprio in ciò da cui più rifuggo.
“Quod non assumptum, non redemptum” ripetevano le prime generazioni cristiane, vale a dire: non può conoscere pienezza di maturazione se non ciò che viene riconosciuto e accolto. Che cosa di me, della mia storia, io faccio fatica a riconoscere e perciò lo rimuovo? Per assumere è necessario discendere, spogliarsi. L’appuntamento con Dio è sempre in ciò che di più impensato possa esserci nella mia vita. Non fu forse così per i pastori? Una notte qualsiasi quella notte, come tante altre, apparentemente, eppure… Penso a questa nostra notte, non diversa dalle altre, eppure… C’è un luogo in cui Dio fissa il suo appuntamento con me, per ciascuno ha un nome e un volto particolari quel luogo. Ed è proprio ciò che più scarterei perché inadatto, inadeguato, indegno.
Ciò che celebriamo stanotte ci chiede di non distogliere lo sguardo da ciò con cui più facciamo fatica a stare a contatto. Lo sappiamo: ci seduce il pensiero magico di soluzioni che percorrono altre vie. Ci affascina la prospettiva di uno sconto sul pedaggio da pagare per stare al mondo. Ma questa è solo una prospettiva illusoria che i vari maghi di turno propongono per continuare ad esercitare indisturbati il loro potere.
Stanotte, ci è chiesto un esercizio di verità.
Stanotte, come non mai, ridiventiamo consapevoli che un possibile riscatto per noi non è nella forza dispiegata dall’alto, non è in un discorso sapiente. Abbiamo visto troppe volte cosa ha prodotto il dispiegamento della forza; abbiamo toccato con mano non poche volte che per quanto un discorso dotto ci affascini, rischia di restare lettera morta. Altra deve essere la strada se Dio stesso, per raggiungerci, l’ha fatta sua. Qualcosa di nuovo può accadere se facciamo spazio alla fragilità di un bambino, se diamo voce all’irrilevante, all’infante (ciò e chi non ha voce per parlare in maniera distinta). A scaldare il cuore e a muovere i passi è qualcuno che parla la nostra stessa lingua, qualcuno che sceglie di ripartire da dove siamo noi, qualcuno che si è messo nei mie panni. Quante volte a chi ci prospettava una certa soluzione che a noi sembrava impercorribile, abbiamo risposto: prova a metterti nei miei panni! Stanotte ci troviamo proprio di fronte a uno che spogliandosi dei suoi, indossa i miei panni, qualcuno che come tutti noi ha conosciuto sulla sua pelle la gioia dell’essere riconosciuto e il dolore dell’essere rifiutato, qualcuno che ha assunto la partita della vita senza sconti né corsie preferenziali.
Imparare ad essere contenti dei nostri panni se Dio stesso si è spogliato dei suoi per poterli indossare.
(fonte: A casa di Cornelio)