martedì 15 ottobre 2019

IL BACKSTAGE DI CERTI INCONTRI: PAPA FRANCESCO RACCONTATO DAI GESUITI


IL BACKSTAGE DI CERTI INCONTRI:
PAPA FRANCESCO RACCONTATO DAI GESUITI

Padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, spiega perché i resoconti delle conversazioni tra Bergoglio e i suoi confratelli nei vari Paesi stanno assumendo un'importanza crescente. Quelli in Africa, ad esempio...



Dal 19 al 26 novembre va in Thailandia e in Giapppone. Fino al 27 ottobre è impegnato nel Sinodo per l'Amazzonia. Al di là degli appuntamenti ufficiali, viaggi e impegni di papa Francesco sono spesso arrichiti da incontri che offrono cifre interpretative di quel dato evento, spesso addirittura dell'intero Pontificato. Così, le riunioni con i confratelli gesuiti nelle terre visitate dal Pontefice. 
Papa Francesco, 82 anni, con il gesuita padre
Antonio Spadaro, 53 direttore de La Civiltà Cattolica.
Da tempo, i dettagliati resoconti di queste chiacchierate vengono pubblicati da La Civiltà Cattolica. Padre Antonio Spadaro, 53 anni, anch'egli gesuita, direttore della prestigiosa rivista, spiega a Famiglia Cristiana il "dietro le quinte", a partire dagli incontri avvenuti in Mozambico e in Madagascar.

«Non sono interviste al Papa, ma conversazioni. Quando può, durante i suoi viaggi apostolici Francesco s'incontra con i gesuiti. Si tratta di momenti sostanzialmente informali. Il motivo per cui ho iniziato a trascriverle e a chiedere al Santo Padre il permesso di pubblicarle, è perché mi sono reso conto che, come anche le omelie di Santa Marta, contengono elementi importanti, riflessioni che hanno il calore dell'immediatezza, sintesi profonde. Spesso sono la prima cassa di risonanza dei pensieri e dei sentimenti dei suoi viaggi. La conversazione con i gesuiti in Mozambico è molto profonda, perché nella risposta alla prima domanda il Papa dice che è importante superare una situazione di divisione all’interno delle società. Nel momento in cui i gesuiti gli chiedono qual è la priorità della Compagnia di Gesù per aiutare la società a superare le divisioni, il Papa indica gli esercizi spirituali, per aiutare le persone a unire e riconciliare. Ecco, questa è una cosa molto importante: lo spirito di Dio aiuta nella riconciliazione. Il Papa ripete la parola “unire” cinque volte. La vita spirituale è ciò che abilita una persona a vivere la propria situazione e il proprio impegno, anche il proprio impegno politico. In questo senso si colloca anche la sua risposta che in qualche modo sostiene quello che La Civiltà Cattolica ha pubblicato in due articoli, uno sull’ecumenismo dell’odio e l’altro contro la teologia della prosperità. Cioè in fondo dice con grande chiarezza che religione e fondamentalismo sono due cose completamente diverse. Radicalmente diverse: il fondamentalismo è il cancro della religione. Si sostiene il dialogo interreligioso. Bisogna in buona sostanza stare molto attenti a quelle forme di vita che si definisceono o si autodefiniscono evangeliche, ma evangeliche non sono, anzi, sono esattamente l’opposto, come ad esempio le teorie che ritengono che una persona amata da Dio è necessariamente prospera, ricca. Questo è il punto: questo è esattamente il contrario del Vangelo».

Il Papa distingue tra evangelizzazione e proselitismo.

«Questo è un altro grande tema che Francesco sottolinea molto spesso. Il punto fondamentale è che l’evangelizzazione libera, il proselitismo ingabbia. Noi siamo fatti per essere liberi, non per essere schiavi. Il Papa è assolutamente favorevole all’evangelizzazione, che lascia appunto libera la coscienza di aderire alla bellezza del Cristianesimo, a Gesù, al messaggio del Vangelo. Invece è allergico a tutte quelle forme che sembrano conquistare adepti a un cristianesimo ridotto in qualche modo a ideologia o a setta».

Cos'altro l'ha colpita?

«Per la prima volta è stato chiesto al Papa se l’esperienza della sua vita spirituale è cambiata dopo la sua nomina a Pontefice. E lui ha pensato. Ha riflettuto. Poi ha detto che in fondo, no. Certo, cambiano le responsabilità, le prospettive sono diverse. Ma in fondo la presenza profonda di Dio nella sua vita è rimasta quella. Il fatto che adesso si veste di bianco non significa – ha detto – che è diventato santo. Non c’è alcuna magia nel conclave, insomma. Riconosce se stesso peccatore salvato dalla Grazia. Il Papa sta dicendo che l’esperienza di Dio è qualcosa che accompagna l’esistenza. In maniera diversa, ma accompagna sempre l’esperienza. Soprattutto Francesco si riconosce nell’esperienza di Pietro, il primo Papa. E riconosce in lui fragilità che vengono riportate nel Vangelo, negli Atti degli apostoli. E in questo senso trova consolazione: riconoscendosi in Pietro come uomo fragile. Questo in qualche modo aiuta e conforta il Papa, ma anche lo mette in guardia».

"Il Papa assediato": questo punto ha attirato l'attenzione di tutti…

«Sì, si sono dette tante cose su questa espressione molto forte di Francesco. È anche una bella immagine. Ma non bisogna essere superficiali. La risposta del Papa va collocata all’interno di quanto detto qualche istante prima. Si tratta della risposta a una domanda sull’Apostolato della preghiera, un'opera dei gesuiti che ha come compito fondamentale quello di pregare e di far pregare per il Papa. E lui ha affermato che sente come importantissimo che si preghi per lui proprio perché lui si sente vulnerabile, come Pietro. E non è la prima volta che il Papa lo dice. Chiede sempre, sistematicamente, che la gente preghi per lui. Ricordo il viaggio che fece in Colombia, quando davanti alla nunziatura una ragazzina parlò della vulnerabilità, lui rispose dicendo di sentirsi vulnerabile. Ma questa vulnerabilità non è affatto legata a uomini o gruppi di persone, o nemici. Il Papa è sempre molto refrattario ad avvertire il peso di questi attacchi. È molto libero. Questo l’ho sperimentato tante volte: è di una serenità incredibile. Gli attacchi non lo feriscono. Il Papa non si sente assediato da nessuna persona o gruppi di persone. Non è questo il problema: non sono gli attacchi umani, quanto piuttosto il rendersi conto che c’è il demonio attivo nel mondo. E quindi le tentazioni ci sono. E che ci sono anche le insidie compiute dentro la Chiesa. Quindi non si riferiva ad attacchi da parte dei media o sui social network: non sono certo questi i problemi del Papa! Semmai la sua è una visione profondamente spirituale, legata agli esercizi spirituali, come dicevo prima, dove Sant’Ignazio vede il campo del capitano buono, Gesù, e il campo del nemico, il demonio, come lo definisce lui. Quindi l’immagine dell’assedio non l’ha inventata il Papa, ma è qualcosa che gli deriva da Sant’Ignazio, il quale parla della vita come un terreno di scontro tra due eserciti. Questo è l’assedio di cui lui parla. E per superare questo assedio c’è bisogno della preghiera».

Il clericalismo da riconoscere e contrastare: un altro tema forte.

«Nella conversazione con Gesuiti in Africa, il Papa arriva anche a disegnare diciamo delle vignette, per cui vede, non so, la figura di sacerdoti con la lunga talare e col cappello in testa a forma del pianeta Saturno. Non ce l’ha con un modo o l’altro di vestire, ma ritiene che ci sia una forma di attaccamento a immagini che oggi non dicono più niente alla gente, o che la gente ritiene persino ridicolo, e che serve anche a volte a nascondere dei problemi più profondi. Nel discorso introduttivo del Sinodo per l'Amazzonia ha usato espressioni simili, lamentandosi di chi aveva preso in giro un indo che durante l'offertorio della Messa si era presentato con un copricapo colorato fatto di piume. «Ditemi: che differenza c’è tra il portare piume in testa e il “tricorno” che usano alcuni ufficiali dei nostri dicasteri?», ha commentato. Ma la cosa che il Papa condanna nel clericalismo è il confondere il servizio presbiterale con la potenza presbiterale. Il clericalismo è quello che trasforma la vita evangelica in una scalata, in un arrampicamento, come dice lui, in un tentativo di ascesa e di dominio. Quindi, su questo afferma che la Chiesa ha bisogno di una profonda conversione. Fa anche degli esempi, come sempre».

Xenofobia e razzismo dilaganti, infine...

«Il Papa dice che la xenofobia e l’aporofobia, cioè quella paura nei confronti di chi è povero e indifeso, è frutto di una mentalità populista degenerata. La xenofobia distrugge l’unità di un popolo. Lo dice molto bene in questa risposta che ritengo preziosa, una tra le più preziose della conversazione: che a volte abbiamo l’idea di un Paese, lui dice, come se fosse una sala operatoria, dove tutto è sterile. Tutti gli strumenti devono essere sterili, incontaminati, protetti, puliti. Un Paese deve essere fatto solo da gente della mia razza, della mia famiglia, della mia cultura, come se ci fosse paura a macchiare, a sporcare, a infettare un Paese o una cultura, mentre sappiamo, al contrario, che ci sono delle esperienze storiche straordinarie che sono nate proprio dalla mescolanza delle culture, degli incontri. Il Papa lo chiama meticciato. Questo significa un immenso rispetto per le culture, ma anche mettere da parte quegli atteggiamenti di paura, di preoccupazione nei confronti dell’altro. E lui racconta la sua esperienza, l’esperienza dell’America Latina, che in fondo è il frutto di incroci, mutazioni, che ha generato anche nell’incontro tra la cultura spagnola e quella dei popoli indigeni un’originalità, che è il meticciato, e che rende quelli che sono adesso i popoli dell’America Latina, mettendo insieme (lui dice proprio così) lo spagnolo, l’indio, il missionario, il conquistatore, tutto insieme. Quindi bisogna guardarsi da una cultura da sala operatoria, perché è asettica e vuol essere non microbica. Immagini molto belle. Il Papa ha allergia per tutto ciò che è sterilizzato, asettico».

*Tutte le fotografie pubblicate in questo servizio sono di Antonio Spadaro/La Civiltà Cattolica. Per gentile concessione.