"Cristiani che hanno paura di crescere"
(video e testo)
Non si può essere cristiani solo a determinate condizioni, cristiani «a patto che...». È l’atteggiamento stigmatizzato da Papa Francesco nell’omelia della messa celebrata la mattina di martedì 8 ottobre nella cappella di Casa Santa Marta. Parlando di quei cristiani che giudicano tutto partendo «dalla piccolezza del loro cuore», il Pontefice ricorda come il Signore si avvicini con misericordia a tutte le realtà umane: egli è venuto per salvare il mondo, non per condannarlo.
La prima lettura liturgica del giorno, tratta dal libro del profeta Giona, prosegue il racconto iniziato ieri e che si concluderà domani. Essa descrive il rapporto conflittuale tra Dio e Giona stesso. Il Papa richiama alla memoria il brano precedente in cui si legge la prima chiamata del Signore che vuole inviare il profeta a Ninive per esortare quella città alla conversione. Ma Giona aveva disobbedito al comando e se ne era andato da un’altra parte, lontano dal Signore, perché quel compito per lui era troppo difficile. Si era poi imbarcato per Tarsis e durante la tempesta suscitata dal Signore era stato gettato in mare, perché colpevole di quella sciagura, ma poi era stato inghiottito da una balena e quindi, dopo tre giorni e tre notti, rigettato sulla spiaggia. «E Gesù — nota Francesco — prende questa figura di Giona nel ventre del pesce per tre giorni come immagine della propria Resurrezione».
Nella lettura di oggi la seconda chiamata: Dio parla di nuovo a Giona e questa volta Giona obbedisce, va a Ninive e quella gente crede alla sua parola e vuole convertirsi tanto che, si legge, Dio «si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece».
«Il testardo Giona, perché questa è la storia di un testardo, il testardo Giona ha fatto bene il proprio lavoro — commenta Francesco — e poi se n’è andato». Domani vedremo come la storia va a finire e cioè come Giona si arrabbia contro il Signore perché troppo misericordioso e perché compie il contrario di ciò che aveva minacciato di fare per bocca dello stesso profeta. Giona rimprovera il Signore e il Papa cita le parole della lettura: «Signore, non era forse questo che dicevo quando ero nel mio Paese? Per questo motivo mi affrettai a fuggire a Tarsis, perché so che tu sei un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore e che ti ravvedi riguardo al male minacciato. Or dunque, Signore — prosegue il Papa nella citazione —, toglimi la vita: io con te non voglio lavorare più, perché meglio è per me morire che vivere». E prosegue: «È meglio morire che continuare questo lavoro di profeta con te, che alla fine fai il contrario di quello che mi hai mandato a fare».
E Giona se ne va fuori dalla città, si costruisce una capanna e da lì aspetta di vedere che cosa farà il Signore. Giona sperava che Dio distruggesse la città. Il Signore allora gli fa crescere vicino una pianta di ricino per fargli ombra. Ma presto fa in modo che quel ricino si secchi e muoia. Giona è nuovamente sdegnato nei confronti di Dio per quel ricino. Tu hai pietà per una pianta, gli dice il Signore, per la quale non hai fatto nessuna fatica e io non dovrei avere pietà di una grande città come Ninive?
Quello tra il Signore e Giona è un dialogo serrato, tra due testardi: «Giona, testardo con le sue convinzioni della fede — osserva Papa Francesco — e il Signore testardo nella sua misericordia: non ci lascia mai. Bussa alla porta del cuore fino alla fine, è lì. Giona, testardo perché lui concepiva la fede con condizioni; Giona è il modello di quei cristiani “a patto che”, cristiani con condizioni. “Io sono cristiano ma a patto che le cose si facciano così” — “No, no, questi cambiamenti non sono cristiani” — “Questo è eresia” — “Questo non va” ... Cristiani che condizionano Dio, che condizionano la fede e l’azione di Dio».
Francesco sottolinea come questo “a patto che” faccia rinchiudere tanti cristiani nelle proprie idee portandoli a compiere «il brutto cammino dalla fede all’ideologia». «E oggi ce ne sono tanti, così», prosegue, e questi cristiani hanno paura: «di crescere, delle sfide della vita, delle sfide del Signore, delle sfide della Storia» attaccati alle «loro convinzioni, nelle loro prime convinzioni, nelle proprie ideologie». Sono i cristiani che, afferma ancora il Papa, «preferiscono l’ideologia alla fede» e si allontanano dalla comunità, «hanno paura di mettersi nelle mani di Dio e preferiscono giudicare tutto, ma dalla piccolezza del proprio cuore». E indica due figure della Chiesa oggi: «la Chiesa di quegli ideologi che si accovacciano nelle proprie ideologie» e la Chiesa «che fa vedere il Signore che si avvicina a tutte le realtà, che non ha schifo: le cose non fanno schifo al Signore, i nostri peccati non gli fanno schifo, Lui si avvicina come si avvicinava ad accarezzare i lebbrosi, i malati. Perché — conclude — Lui è venuto per guarire, Lui è venuto per salvare, non per condannare».
(Fonte: "L'Osservatore Romano)
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Servizio TG2000
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