lunedì 23 settembre 2019

Visita ad Albano di Papa Francesco: «Nessun ostacolo fa dimenticare a Gesù l’essenziale, l’uomo da amare e salvare... Se evitiamo chi ci sembra perduto non siamo di Gesù. Chiediamo la grazia di andare incontro a ciascuno come a un fratello e di non vedere in nessuno un nemico.» (foto,testi e video)


VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE FRANCESCO AD ALBANO
Piazza Pia
Sabato, 21 settembre 2019


Per raggiungere Albano, cittadina dei Castelli Romani, meta della sua 28ma visita pastorale in Italia, Papa Francesco è partito in auto da Casa Santa Marta alle 16.30.
In un giorno particolarmente significativo per il proprio itinerario vocazionale, nella festa liturgica dell’apostolo san Matteo, al suo arrivo, davanti alla cattedrale, è stato accolto dal vescovo, mons. Marcello Semeraro, dal parroco della cattedrale, mons. Adriano Gibellini, e dal sindaco della città, Nicola Marini. Quindi il sindaco consegna a Papa Francesco le chiavi della città e gli mostra il “murale” a ricordo della visita, realizzato da Mauro Pallotta – in arte Mau Pal – e raffigurante il Santo Padre intento a “pulire” l’ambiente.




Dopo un momento di preghiera in cattedrale insieme ai sacerdoti, alle ore 18 il Santo Padre presiede la Concelebrazione Eucaristica. 

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA







OMELIA

L’episodio che abbiamo ascoltato avviene a Gerico, la famosa città distrutta ai tempi di Giosuè che, secondo la Bibbia, non si sarebbe più dovuta ricostruire (cfr Gs 6): sarebbe dovuta essere “la città dimenticata”. Ma Gesù, dice il Vangelo, “entra e attraversa” Gerico (cfr Lc 19,1). E in questa città, che sta sotto il livello del mare, non teme di raggiungere il livello più basso, rappresentato da Zaccheo. Questi era un pubblicano, anzi il «capo dei pubblicani», cioè di quei giudei odiati dal popolo che riscuotevano i tributi per l’Impero romano. Era «ricco» (v. 2) ed è facile intuire come lo fosse diventato: a spese dei suoi concittadini, sfruttando i suoi concittadini. Ai loro occhi Zaccheo era il peggio, l’insalvabile. Ma non agli occhi di Gesù, che chiama per nome proprio lui, Zaccheo, che significa “Dio si ricorda”. Nella città dimenticata, Dio si ricorda del più grande peccatore.

Il Signore, anzitutto, si ricorda di noi. Non ci dimentica, non ci perde di vista nonostante gli ostacoli che possono tenerci lontani da Lui. Ostacoli che non sono mancati nel caso di Zaccheo: la sua bassa statura, fisica e morale, ma anche la sua vergogna, per cui cercava di vedere Gesù nascosto tra i rami dell’albero, probabilmente sperando di non essere visto. E poi le critiche esterne: in città a motivo di quell’incontro «tutti mormoravano» (v. 7) - ma credo che ad Albano sia lo stesso: si mormora… Limiti, peccati, vergogna, chiacchiere e pregiudizi: nessun ostacolo fa dimenticare a Gesù l’essenziale, l’uomo da amare e salvare.

Che cosa ci dice questo Vangelo nell’anniversario della vostra Cattedrale? Che ogni chiesa, che la Chiesa con la maiuscola esiste per mantenere vivo nel cuore degli uomini il ricordo che Dio li ama. Esiste per dire a ciascuno, anche al più lontano: “Sei amato e sei chiamato per nome da Gesù; Dio non ti dimentica, gli stai a cuore”. Cari fratelli e sorelle, come Gesù non abbiate paura di “attraversare” la vostra città, di andare da chi è più dimenticato, da chi sta nascosto dietro i rami della vergogna, della paura, della solitudine, per dirgli: “Dio si ricorda di te”.

Vorrei sottolineare una seconda azione di Gesù. Oltre a ricordarsi, a riconoscere Zaccheo, Egli anticipa. Lo vediamo nel gioco di sguardi con Zaccheo. Questi «cercava di vedere chi era Gesù» (v. 3). È interessante che Zaccheo non cercava solo di vedere Gesù, ma di vedere chi era Gesù: cioè di capire che tipo di maestro fosse, quale fosse il suo tratto distintivo. E lo scopre non quando guarda Gesù, ma quando viene guardato da Gesù. Perché mentre Zaccheo cerca di vederlo, Gesù lo vede per primo; prima che Zaccheo parli, Gesù gli parla; prima di invitare Gesù, Gesù viene a casa sua. Ecco chi è Gesù: colui che ci vede per primo, colui che ci ama per primo, colui che ci accoglie per primo. Quando scopriamo che il suo amore ci anticipa, che ci raggiunge prima di tutto, la vita cambia. Caro fratello, cara sorella, se come Zaccheo stai cercando un senso alla vita ma, non trovandolo, ti stai buttando via con dei “surrogati di amore”, come le ricchezze, la carriera, il piacere, qualche dipendenza, lasciati guardare da Gesù. Solo con Gesù scoprirai di essere da sempre amato e farai la scoperta della vita. Ti sentirai toccato dentro dalla tenerezza invincibile di Dio, che commuove e smuove il cuore. Così è stato per Zaccheo e così è per ciascuno di noi, quando scopriamo il “prima” di Gesù: Gesù che ci anticipa, che ci guarda per primo, che ci parla per primo, che ci aspetta per primo.

Come Chiesa, chiediamoci se da noi Gesù viene prima: c’è prima Lui o la nostra agenda, c’è prima Lui o le nostre strutture? Ogni conversione nasce da un anticipo di misericordia, nasce dalla tenerezza di Dio che rapisce il cuore. Se tutto quello che facciamo non parte dallo sguardo di misericordia di Gesù, corriamo il rischio di mondanizzare la fede, di complicarla, di riempirla di tanti contorni: argomenti culturali, visioni efficientiste, opzioni politiche, scelte partitiche... Ma si dimentica l’essenziale, la semplicità della fede, quello che viene prima di tutto: l’incontro vivo con la misericordia di Dio. Se questo non è il centro, se non sta all’inizio e alla fine di ogni nostra attività, rischiamo di tenere Dio “fuori casa”, cioè nella chiesa, che è casa sua, ma non con noi. L’invito di oggi è: lasciati “misericordiare” da Dio. Lui viene con la sua misericordia.

Per custodire il “prima” di Dio, ci è d’esempio Zaccheo. Gesù lo vede prima perché egli era salito su un sicomoro. È un gesto che ha richiesto coraggio, slancio, fantasia: non si vedono molti adulti salire sugli alberi; questo lo fanno i ragazzi, è una cosa che si fa da bambini, tutti lo abbiamo fatto. Zaccheo ha superato la vergogna e in un certo senso è tornato bambino. È importante per noi ritornare semplici, aperti. Per custodire il “prima” di Dio, cioè la sua misericordia, non bisogna essere cristiani complicati, che elaborano mille teorie e si disperdono a cercare risposte nella rete, ma dobbiamo essere come i bambini. Essi hanno bisogno dei genitori e degli amici: anche noi abbiamo bisogno di Dio e degli altri. Non bastiamo a noi stessi, abbiamo bisogno di smascherare la nostra autosufficienza, di superare le nostre chiusure, di ritornare piccoli dentro, semplici ed entusiasti, pieni di slancio verso Dio e di amore verso il prossimo.

Vorrei evidenziare un’ultima azione di Gesù, che fa sentire a casa. Egli dice a Zaccheo: «Oggi devo fermarmi a casa tua» (v. 5). A casa tua. Zaccheo, che si sentiva estraneo nella sua città, rientra a casa sua da persona amata. E, amato da Gesù, riscopre la sua gente vicina e dice: «Do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno – e aveva rubato tanto, quest’uomo –, restituisco quattro volte tanto» (v. 8). La Legge di Mosè chiedeva di restituire aggiungendo un quinto (cfr Lv 5,24), Zaccheo dà quattro volte tanto: va ben oltre la Legge perché ha trovato l’amore. Sentendosi a casa, ha aperto la porta al prossimo.

Come sarebbe bello se i nostri vicini e conoscenti sentissero la Chiesa come casa loro! Succede, purtroppo, che le nostre comunità diventino estranee a tanti e poco attraenti. A volte subiamo anche noi la tentazione di creare circoli chiusi, luoghi intimi tra gli eletti. Ci sentiamo eletti, ci sentiamo élite... Ma ci sono tanti fratelli e sorelle che hanno nostalgia di casa, che non hanno il coraggio di avvicinarsi, magari perché non si sono sentiti accolti; forse perché hanno conosciuto un prete che li ha trattati male o li ha cacciati via, ha voluto far pagare loro i sacramenti – una cosa brutta – e si sono allontanati. Il Signore desidera che la sua Chiesa sia una casa tra le case, una tenda ospitale dove ogni uomo, viandante dell’esistenza, incontri Lui, che è venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr Gv 1,14).

Fratelli e sorelle, sia la Chiesa il luogo dove non si guardano mai gli altri dall’alto in basso ma, come Gesù con Zaccheo, dal basso verso l’alto. Ricordate che l’unico momento nel quale è lecito guardare una persona dall’alto in basso è per aiutarla a rialzarsi, altrimenti non è lecito. Soltanto in quel momento: guardarla così, perché è caduta. Guardiamo la gente mai da giudici, sempre da fratelli. Non siamo ispettori delle vite altrui, ma promotori del bene di tutti. E per essere promotori del bene di tutti, una cosa che aiuta tanto è tenere la lingua ferma: non sparlare degli altri. Ma a volte, quando dico queste cose, sento dire: “Padre, guardi, è una cosa brutta, ma mi viene, perché io vedo una cosa e mi viene voglia di criticare”. Io suggerisco una buona medicina per questo – a parte la preghiera –; la medicina efficace è: morditi la lingua. Ti si gonfierà in bocca e non potrai parlare!

«Il figlio dell’uomo – conclude il Vangelo – è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10). Se evitiamo chi ci sembra perduto non siamo di Gesù. Chiediamo la grazia di andare incontro a ciascuno come a un fratello e di non vedere in nessuno un nemico. E se ci è stato fatto del male, restituiamo del bene. I discepoli di Gesù non sono schiavi dei mali passati ma, perdonati da Dio, fanno come Zaccheo: pensano solo al bene che possono fare. Diamo gratuitamente, amiamo i poveri e chi non ha da restituirci: saremo ricchi agli occhi di Dio.

Cari fratelli e sorelle, vi auguro che la vostra cattedrale, come ogni chiesa, sia il luogo in cui ciascuno si senta ricordato dal Signore, anticipato dalla sua misericordia e accolto a casa. Così che nella Chiesa accada la cosa più bella: gioire perché la salvezza è entrata nella vita (cfr v. 9). Così sia.


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Al termine della Santa Messa il vescovo Semeraro ha rivolto il suo saluto al Santo Padre Francesco con parole di affetto, vicinanza e ringraziamento.

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