venerdì 13 settembre 2019

COMUNITÀ CRISTIANE PROFETICHE SE MISSIONARIE di Mario Menin

COMUNITÀ CRISTIANE 
PROFETICHE SE MISSIONARIE 
di Mario Menin


Editoriale della rivista
"MISSIONE OGGI"
Luglio-Agosto 2019








Il grande profeta Isaia descrive con un’immagine molto suggestiva la missione della profezia nell’Antico Testamento: “Sentinella, quanto resta della notte?”. È compito del profeta scrutare i segni dei tempi, anche quelli della “notte”, quando gli altri dormono e non riescono ad intercettare l’aurora. Una figura senz’altro affascinante, di cui si avverte il bisogno anche oggi, sia nella Chiesa, sia nella società. Nella Chiesa, perché, priva della profezia, si lascerebbe prendere in ostaggio dalla “notte”, come è già successo lungo la sua storia, anche nella prima metà del Novecento, in Italia e nel resto dell’Europa. L’assenza di questa sentinella ha messo a rischio la navigazione della barca della Chiesa, soprattutto quando è caduta nella tentazione di ammainare l’unica vela in grado di farla procedere controvento: la profezia evangelica! Nella società civile, perché, senza profezia, anche la democrazia più avanzata rischia di lasciarsi ipnotizzare dalle paure della “notte”, imboccando le vie della necropolitica, in nome di risorgenti nazionalismi e razzismi che sono la negazione dei valori fondamentali della nostra civiltà – e del cristianesimo che li ha ispirati –: libertà, uguaglianza e fraternità.

La grande differenza tra la profezia nell’Antico Testamento e nel Nuovo è che nell’Antico erano profeti i singoli, mentre nel Nuovo tutta la comunità, senza particolari monopoli. Purtroppo la Chiesa cattolica viene da una lunga storia di monopolizzazione clericale dei carismi e servizi – anche di quello profetico – per cui si è trasformata in una grande moltitudine governata dall’alto, con la conseguenza dell’appiattimento, dell’inattività e passività della maggior parte dei laici. 
In controtendenza papa Francesco, in più occasioni, riprendendo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, ci ha ricordato come la dimensione profetica appartenga ad ogni credente, in virtù del battesimo, e di conseguenza a tutta la Chiesa, pena il prevalere del clericalismo e del legalismo. In altre parole, non basta un papa profeta – e Francesco senz’altro lo è – per fare una Chiesa profetica; non bastano nemmeno dei vescovi profeti – e alcuni senz’altro lo sono. Per fare una Chiesa profetica c’è bisogno di mettere fine alla lunga storia di monopolizzazione clericale della profezia, riprendendo decisamente il cammino sinodale inaugurato dal Concilio, affinché la Chiesa sia profetica in tutto il suo corpo – in capite et in membris –, altrimenti condannato all’insignificanza nella società e nel mondo. 

Papa Francesco ha suggerito alla Chiesa italiana la “scelta missionaria” come primo segno profetico, capace di farla uscire dall’insignificanza. Una scelta declinabile in cinque punti, più volte offerti alla considerazione dei vescovi da parte del mondo missionario italiano, anche in occasione dell’ultima Assemblea Generale (20-23 maggio 2019):
a) dare il primo posto alla Parola di Dio, messa con fiducia in mano ai laici, in modo che si incarni più facilmente nella vita quotidiana;
b) fare una scelta preferenziale dei poveri, delle nostre periferie, geografiche ed esistenziali, luogo teologico essenziale per una lettura più autentica del Vangelo;
c) privilegiare le piccole comunità cristiane, o gruppi del Vangelo, o comunità ecclesiali di base in tutte le diocesi e parrocchie;
d) aprirsi all’accoglienza amorosa degli stranieri e di tutte le differenze culturali e religiose, valorizzando in questo ambito la presenza nelle nostre comunità di preti e religiosi/e che vengono come fidei donum dalle nuove Chiese del Sud del mondo e di tutti i cristiani che ci portano nuovi stili di Chiesa;
e) favorire una formazione diversa dei preti e diaconi, dando un volto meno clericale al loro ministero, e curare una preparazione diversa dei seminaristi che li abiliti come futuri pastori-missionari nelle loro comunità.