venerdì 16 agosto 2019

POLITICA. I PIENI POTERI GENERANO SERI PERICOLI di Vladimiro Zagrebelsky

POLITICA
 I PIENI POTERI 
GENERANO SERI PERICOLI 
di Vladimiro Zagrebelsky





Il contesto delle manifestazioni del ministro dell’Interno e vice presidente del Consiglio del ministri, tra spiagge e piazze entusiaste, non dovrebbe portare a sottovalutare la gravità di quanto ha detto, quando ha chiesto agli italiani, «se lo vorranno», di dargli i «pieni poteri» per fare quello di cui l’Italia ha bisogno. È possibile che il senso dell’espressione che ha usato volesse essere piuttosto generico, utile poi a lamentare che quei poteri per salvare l’Italia non gli siano stati dati (dagli altri, dai poteri forti, ecc.).
Tuttavia la posizione istituzionale rivestita e il ruolo di capo del partito che sembra essere di maggioranza relativa consigliano di essere prudenti, prendere sul serio la richiesta e le dichiarazioni del ministro e non lasciarla cadere in mezzo alle sue tante altre. Le non numerose reazioni alla richiesta che il ministro ha rivolto «agli Italiani» hanno segnalato la stretta somiglianza con quanto Mussolini ottenne in Italia e Hitler in Germania. Il ricordo è utile, per indicare come la concentrazione di ogni potere in capo ad uno solo, sia funzionale alla dittatura e incompatibile con ogni forma di democrazia, anche se voluta e autorizzata da un voto popolare.

Tuttavia va detto che proprio la storia europea dell’anteguerra ha prodotto in molti Stati e certo in Italia e Germania un sistema costituzionale che impedirebbe a una anche larga maggioranza di elettori di soddisfare il desiderio del ministro. Fu proprio la facilità con cui il sistema costituzionale vigente fu travolto a indurre nell’immediato dopoguerra a dare alle nuove Costituzioni democratiche il carattere della rigidezza. Insieme alla connivenza del re, la modificabilità con semplici leggi dello Statuto albertino, che definiva il sistema costituzionale della monarchia italiana, facilitò lo stravolgimento delle istituzioni e l’instaurazione della dittatura. Ora invece, non solo la riforma della Costituzione è possibile esclusivamente con gravose procedure, ma sono esclusi dalla possibilità di modifica i suoi principi supremi: diritti fondamentali, forma di repubblica parlamentare, indipendenza della magistratura, separazione dei poteri, controllo di costituzionalità delle leggi, ecc. Nemmeno il popolo potrebbe farlo, poiché la Costituzione (art. 1) prescrive forme e limiti in cui esso esercita la sovranità.
Non possiamo pensare che il ministro, che ha giurato fedeltà alla Costituzione, si proponga di sollecitare dal popolo elettore la sua violazione. Certo sono possibili modifiche legislative che portino a ulteriore accentramento dei poteri governativi. Ma mai si potrebbero eliminare il sistema dei pesi e contrappesi e dei controlli, la competenza del Parlamento, il ruolo proprio delle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile: tutto ciò che il ministro ritiene «palle al piede».
Chiacchiera agostana, quindi? Minaccia impossibile? Scampato pericolo? Non proprio. Il ministro ha manifestato l’opinione che ha del Parlamento e del suo ruolo nel delicato momento della crisi di governo, pretendendone, con intollerabile volgarità, l’immediata convocazione. La riforma della giustizia che egli ora pone in primo piano non riguarda la soluzione del problema gravissimo dei tempi delle decisioni, ma proprio il merito delle decisioni. L’indipendenza della magistratura è insolentita, ogni volta che la decisione dei giudici non piace al ministro. Non si tratta di parole gettate al vento, ma di precisi messaggi politici, destinati a sollecitare e anzi a formare un’opinione pubblica pronta al disprezzo delle istituzioni repubblicane. Le istituzioni della democrazia possono essere lasciate intatte sulla carta, ma svuotate nei fatti, umiliandole, irridendole, paralizzandole e facendone oggetto di divisione e conflitto.

(Fonte: “La Stampa” del 12 agosto 2019)

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