sabato 20 luglio 2019

Spazio e fede - Ricordi e riflessioni a 50 anni da quello che fu "un piccolo passo per l'uomo e un grande passo per l'umanità"

Spazio e fede
Ricordi e riflessioni a 50 anni da quello che fu
"un piccolo passo per l'uomo
e un grande passo per l'umanità"




La Luna, la Bibbia e la Comunione segreta

In occasione del 50° anniversario dello sbarco sulla luna si moltiplicano i riferimenti a Paolo VI. Ma non è questo l’unico legame fra spazio e Cristianesimo. La storia delle missioni spaziali da sempre è anche una questione di fede.

«Tutto questo è possibile solo con il sangue, il sudore e le lacrime di un gran numero di persone. Tutto ciò che si vede siamo noi tre, ma sotto la superficie ci sono migliaia e migliaia di altre persone». A dirlo, il 23 luglio 1969, durante l’ultima notte trascorsa nello spazio prima del rientro sulla Terra, Michael Collins, l’astronauta che insieme a Neil Armstrong e a Edwin “Buzz” Aldrin porta a compimento la conquista della Luna con la missione Apollo 11. Punto di arrivo e al tempo stesso di partenza di un’avventura sofferta, di un’epopea nella quale si uniscono genio e sacrificio, vittorie epocali e sconfitte pagate anche a prezzo della vita.

Non stupisce che spazio e fede siano da sempre profondamente legati, anche quando nello sguardo dell’uomo al cielo la tecnologia sembra aver avuto la meglio sulla poesia. Fra le pagine più note – e maggiormente rievocate in questi giorni – vi è certamente quella che ha per protagonista Paolo VI, spettatore e insieme attore di una giornata unica nella storia dell’umanità.

La “serata spaziale” di Montini inizia attorno alle 22.00 di domenica 20 luglio 1969 alla Specola Vaticana di Castel Gandolfo, dove il Papa osserva la Luna con il telescopio Schmidt in dotazione alla struttura, insieme all’allora direttore dell’osservatorio astronomico vaticano, il gesuita irlandese Daniel O’Connell. L’obiettivo è puntato sullo stesso Mare della Tranquillità dove, di lì a poco, sarebbero sbarcati i tre cosmonauti. Rientrato nel proprio appartamento, per il Papa è il momento di unirsi ai circa 900 milioni di spettatori – 20 milioni solo in Italia – che nel mondo seguono l’allunaggio grazie alle diverse televisioni nazionali. In Italia – e in Vaticano – la diretta coincide con la celeberrima “veglia” Rai di 28 ore dallo Studio 3 di via Teulada, guidata da Tito Stagno, con i commenti di Andrea Barbato e di Ruggero Orlando, inviato a Huston. Insieme a Paolo VI ci sono padre O’Connell e il sostituto della segreteria di Stato, mons. Giovanni Benelli.

Al grido “Ha toccato!” l’Italia intera esulta. Per la cronaca, l’entusiasmo di Stagno lo porta ad annunciare l’allunaggio con quasi un minuto di anticipo, innescando un battibecco con Orlando che copre persino una delle due storiche frasi pronunciate quel giorno da Neil Armstrong: «Qui base della Tranquillità, l’Aquila è atterrata». Ma poco importa. 
Il Papa alza le mani, quasi un gesto liberatorio, una delle immagini del suo pontificato che entreranno nella storia. Pochi minuti dopo, Paolo VI rivolge ai cosmonauti un messaggio fra i più poetici, eppure meno noti, sul nostro satellite. «Onore, saluto e benedizione a voi, conquistatori della Luna, pallida luce delle nostre notti e dei nostri sogni», dice il Papa. «Portate ad essa, con la vostra viva presenza, la voce dello spirito, l’inno a Dio, nostro Creatore e nostro Padre». Già in precedenza Paolo VI aveva fatto riferimento all’impresa, invitando a pregare per gli astronauti ed auspicando che «nell’ebbrezza di questo giorno fatidico» non ci si scordasse dei tanti traguardi ancora da conquistare sulla Terra, primo fra tutti la pace. Il disco con la registrazione del messaggio di augurio del Papa, insieme a quelli di altri 72 capi di Stato, viene lasciato dagli astronauti sulla superficie lunare.

Meno di tre mesi dopo, Armstrong, Aldrin e Collins, insieme alle rispettive consorti, sono a Roma. È il 16 ottobre 1969. Per Collins, nato al numero 16 di via Tevere, quartiere Salario, è un ritorno a casa. Forse una magra consolazione per lui, unico dei tre astronauti a non essere sceso dal modulo lunare. «Con la più grande gioia nel cuore diamo il benvenuto a voi, che superando le barriere dello spazio, avete messo piede su un altro mondo del Creato», li saluta Paolo VI. «Con la vostra intrepida avventura, l’uomo ha compiuto un altro passo verso una maggiore conoscenza dell’universo: con le sue parole, signor Armstrong: un passo gigante per l’umanità». Ma un bel viaggio anche per la bandiera della Città del Vaticano, portata sulla Luna (e ritorno) dall’Apollo 11 ed esposta oggi ai Musei Vaticani insieme ad alcuni frammenti di roccia lunare, dono del presidente Nixon. Il “viaggio romano” dei tre astronauti si conclude con un intervento all’Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, riunita proprio in quei giorni.

Il kit per la “Comunione lunare”
di Buzz Aldrin: il calice e una borsa.
Per quanto Paolo VI impersoni uno dei momenti di maggiore vicinanza tra l’esplorazione spaziale e la fede, non rappresenta l’unico legame della missione Apollo 11 con il Cristianesimo, sebbene per lo più con riferimento a diverse denominazioni protestanti. Basti pensare, ad esempio, che Buzz Aldrin trova la maniera di ricevere, a modo suo, il sacramento dell’Eucaristia prima di scendere sulla Luna. Il tutto grazie ad un “kit” (foto) preparato appositamente per lui dal pastore Dean Woodruff della Chiesa presbiteriana di Webster, Texas, contenente il pane e il vino benedetti nel corso della precedente liturgia domenicale. Ancora oggi la Chiesa di Webster conserva il calice usato sulla Luna e commemora ogni anno la “Comunione lunare” nella domenica più vicina al 20 luglio (quest’anno, domenica 21 luglio). Il gesto di Aldrin si svolge in forma strettamente privata, per non dire segreta, anche in ragione della causa legale intentata contro la Nasa dall’attivista atea Madalyn Murray O’Hair, fondatrice e presidentessa dell’associazione American Atheists. All’origine del contenzioso, la lettura di alcuni versetti, dall’1 al 10, del primo capitolo del libro della Genesi da parte dell’equipaggio dell’Apollo 8, mentre la navicella orbitava intorno alla Luna (audio Nasa). Era il 24 dicembre 1968 e la Bibbia quella cosiddetta “di re Giacomo”, traduzione in inglese per eccellenza.

Le preghiere negli appunti di Buzz Aldrin
La causa legale, e la conseguente prudenza adottata dalla Nasa, influenzano anche le parole “politically correct” pronunciate da Aldrin durante i preparativi per la discesa sulla superficie lunare e meticolosamente preparate su un biglietto che l’astronauta porta con sé (foto). «Houston, qui è il pilota del LEM “Aquila” che parla. Vorrei chiedere alcuni momenti di silenzio. Passo. Vorrei invitare ogni persona che ascolta, dovunque e chiunque sia, a contemplare per un momento gli eventi delle ultime ore e a ringraziare a modo suo personale». Nondimeno, Aldrin è molto chiaro per quanto lo riguarda. «Il mio modo – scrive nei propri appunti, sebbene non lo annunci pubblicamente – sarà prendere gli elementi della Santa Comunione». Sul retro del biglietto Aldrin annota un versetto del Vangelo secondo Giovanni, 15,5. «Gesù disse: “Io sono la vite, voi siete i tralci. Chi rimane in me e io in lui, porterà molto frutto; perché non potete fare nulla senza di me». Seguono i versetti 3 e 4 del Salmo 8, particolarmente appropriati alla situazione, scritti con un inchiostro diverso e che Aldrin cita tre giorni dopo, durante una trasmissione televisiva a bordo della Columbia, la sera prima del rientro sulla Terra. «Quando considero i tuoi cieli, l’opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai ordinato; che cosa è l’uomo, perché te ne ricordi, e il figlio dell’uomo, perché lo visiti?».
(fonte: Caffestoria.it, articolo di Simone M. Varisco La Luna, la Bibbia e la Comunione segreta 16/07/2019)


“Al mio: ‘ha toccato’, ha toccato il suolo lunare, Paolo VI aprì le braccia e benedì lo schermo, quella benedizione me la presi anch’io”: Tito Stagno, ricorda la sua cronaca dello sbarco sulla Luna, evento al quale assistette anche papa Montini, davanti alla televisione come milioni e milioni di italiani quella sera nella quale – come disse Paolo VI – “La fantascienza diventò realtà”. (fonte: TV2000)

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Pallida luce dei nostri sogni

· Cinquant’anni fa l’uomo sulla Luna ·

«Qui, parla a voi astronauti, dalla sua specola di Castel Gandolfo, vicino a Roma, il Papa Paolo VI. Onore, saluto e benedizione a voi, conquistatori della Luna, pallida luce delle nostre notti e dei nostri sogni! Portate ad essa, con la vostra viva presenza, la voce dello spirito, l’inno a Dio, nostro Creatore e nostro Padre. Noi siamo a voi vicini con i nostri voti e con le nostre preghiere. Vi saluta con tutta la Chiesa cattolica il Papa Paolo VI».

Era una domenica sera, 20 luglio 1969, quando san Paolo VI rivolse queste parole agli astronauti dell’Apollo 11. Una televisione era stata sistemata nella cupola del telescopio vaticano Schmidt, la più nuova e la più grande delle quattro cupole del telescopio gestito dall’Osservatorio nei giardini pontifici estivi di Castel Gandolfo; per il Papa fu un breve tragitto dalla sua residenza estiva nel Palazzo pontificio. Da lì, diede un’occhiata alla Luna attraverso uno dei telescopi della Specola e poi, alle 22.17 ora di Roma, vide gli astronauti atterrare e sentì la famosa frase: «L’Aquila è atterrata». Dopodiché si unì agli altri leader del mondo parlando agli astronauti sulla Luna.

Uno degli attuali membri della Specola era presente a quell’evento di cinquant’anni fa. Il gesuita Chris Corbally, che allora aveva 23 anni e non era ancora membro titolare del personale della Specola; stava trascorrendo lì l’estate mentre lavorava per la sua laurea in astronomia.

«Lo ricordo distintamente», dice padre Corbally, che ora studia spettroscopia stellare con il telescopio vaticano di avanzata tecnologia in Arizona. «Ero nei giardini di Castel Gandolfo, in piedi sulla terrazza tra le cupole dell’Osservatorio Vaticano Schmidt e i telescopi Carte du Ciel, circondato dai tecnici televisivi della Rai, e guardavo un monitor con un collegamento speciale dagli Usa che aveva appena trasmesso l’atterraggio del modulo lunare dell’Apollo 11. Nella cupola Schmidt c’era Papa Paolo VI che guardava la stessa trasmissione dell’atterraggio e salutava gli astronauti. Era assistito da monsignor Benelli (allora Sostituto della Segreteria di Stato) e dal direttore dell’Osservatorio vaticano padre Daniel O’Connell. Che momento!».

Oltre a salutare gli astronauti in inglese, san Paolo VI lesse anche una benedizione in italiano per la missione, ricordando le celebrazioni mondiali ispirate dall’atterraggio sulla Luna e auspicando onori speciali a tutti coloro che avevano reso possibile l’allunaggio. Poi il Papa salutò le altre persone presenti nelle cupole del telescopio.

«Il Papa venne sulla terrazza per ringraziare l’equipe televisiva per aver reso possibile la trasmissione terra-luna». Padre Corbally ricorda: «tutti i presenti erano in fila per stringere la mano al Papa e ricevere una medaglia di ringraziamento. Naturalmente io mi sono unito alla fila e sono stato puntualmente presentato al Papa da padre O’Connell. Questi gli ha spiegato che ero un gesuita britannico, che studiavo fisica alla Bristol University ed ero interessato a far parte dello staff dell’Osservatorio. Può immaginare che ho custodito come un tesoro la medaglia che ricevetti in quell’occasione» (ne affidò la custodia ai genitori).

Da quella sera di cinquant’anni fa, la nostra comprensione della Luna e anche lo stesso Osservatorio vaticano sono notevolmente cambiati.
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Ma, sebbene la politica e l’economia dell’esplorazione spaziale si siano evolute, la motivazione di fondo per cui noi uomini vogliamo andare sulla Luna rimane fondamentalmente la stessa.

Quando il Presidente Kennedy propose per la prima volta il programma Apollo nel 1961, lo inserì nel quadro di altre imprese umane come scalare le montagne più alte o attraversare i mari più vasti, e disse le famose parole: «Abbiamo deciso di andare sulla Luna. Abbiamo deciso di andare sulla Luna in questo decennio e di impegnarci anche in altre imprese; non perché sono semplici, ma perché sono ardite, perché questo obiettivo ci permetterà di organizzare e di mettere alla prova il meglio delle nostre energie e delle nostre capacità, perché accettiamo di buon grado questa sfida, non abbiamo intenzione di rimandarla».

La missione lunare è un riflesso di tutte queste avventure, siano esse imprese d’ingegneria o di scienza, di arte o di sport. Queste cose non mettono cibo sulle nostre tavole, non ci tengono caldi né ci nutrono bene; piuttosto, sono conquiste specificatamente umane che ci nutrono oltre le nostre pance. Simili attività sono di fatto essenziali per noi esseri umani come creature animali, ma tuttavia più che animali. Come la Scrittura ci ricorda, non si vive di solo pane. Le missioni Apollo sono state cibo per le nostre anime.

Un parametro del successo dell’Apollo 11 è il progresso che produsse nella comprensione scientifica del nostro sistema solare. Prima dell’Apollo, sapevamo che alcune parti della Luna avevano più crateri di altre; ma i campioni dell’Apollo ci hanno consentito di datare esattamente quando quei crateri si sono formati e come il loro tasso di formazione sia cambiato nel tempo. Il che si è rivelato un indizio importante per l’evoluzione del sistema solare.
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Ma l’impresa dello sbarco sulla Luna va al di là della scienza. Andando sulla Luna abbiamo potuto guardare dietro noi stessi con una nuova prospettiva. Di fatto, le immagini più importanti provenienti dalle missioni lunari sono state le fotografie della Terra, vista per una volta come un piccolo marmo con una sottile atmosfera azzurra dove la vita, includendo la vita umana, deve sopravvivere. Quelle immagini ci hanno mostrato un mondo fragile, ma anche un mondo senza confini.

Gli allunaggi sono diventati una metafora di quello che gli uomini possono raggiungere quando dedicano le menti e gli sforzi a un obiettivo, e un rimprovero per tutti gli altri problemi che restano irrisolti. Come dice la lamentela comune: «se possiamo andare sulla Luna, perché non possiamo...» riparare le buche, controllare il clima, curare il comune raffreddore. Ma al di là di questi sentimenti, c’è un senso di speranza. Quando Kennedy propose di andare sulla Luna, nessun americano era mai stato ancora in orbita attorno alla Terra; era meno di quattro anni dopo il primo satellite, e persino gli aerei supersonici avevano poco meno di quindici anni. Ma con la volontà politica l’impossibile fu realizzato. Perciò non dobbiamo rinunciare a risolvere i problemi “impossibili” di oggi, siano essi la povertà o il cambiamento climatico... più posticipiamo la loro soluzione, più alti saranno i costi e gli sforzi richiesti.

Per le persone di fede, comunque, c’è una lezione in più da imparare. Tre giorni dopo lo sbarco sulla Luna, san Paolo VI, durante l’udienza generale del mercoledì, parlò del significato di quella missione. Citò il famoso detto delle Confessioni di sant’Agostino: «Tu, (o Signore), ci hai fatti per Te ed è inquieto il nostro cuore, finché non si riposi in Te». A spingerci ad andare sulla Luna è stata, in ultima analisi, l’irrequietezza che ci fa cercare Dio. Ma poi Paolo VI ha citato anche il salmo 138, ricordandoci che dovunque andiamo, anche ai confini della Terra e al di là di essi, troviamo il volto di Dio. Più grande è il campo d’azione dell’attività umana, più si rivela il campo di azione di Dio. Più impariamo sulla creazione, più apprezziamo la grandezza del suo Creatore.

Come Paolo VI ha detto agli astronauti dell’Apollo 11, la luna è «una pallida luce delle nostre notti e dei nostri sogni». I nostri sogni hanno motivato le missioni lunari. E ancora oggi, cinquant’anni dopo, l’Apollo 11 continua ad accendere la nostra irrequieta immaginazione.