giovedì 23 maggio 2019

I “mangiabambini”: la riflessione sull’accoglienza di Alberto Maggi

I “mangiabambini”: la riflessione sull’accoglienza
di Alberto Maggi

Basta dare uno sguardo alla storia dell’umanità, anche recente, per vedere come la solidarietà, la generosità siano valori che fioriscono nei momenti di grande difficoltà, sociale ed economica, per poi appassire e svanire in quelli di sovrabbondanza...": su il Libraio.it l'intervento del biblista Alberto Maggi, che ci riporta a quanto avvenuto nell'Italia del dopoguerra, ricordando la vicenda dei cosiddetti “treni della felicità”, e si inserisce nell'odierno dibattito sull'accoglienza


“Vogliamo rendervi nota, , fratelli, la grazia di Dio concessa alle Chiese della Macedonia, perché, nella grande prova della tribolazione, la loro gioia sovrabbondante e la loro estrema povertà hanno sovrabbondato nella ricchezza della loro generosità. Posso testimoniare, infatti, che hanno dato secondo i loro mezzi e anche di là dai loro mezzi, spontaneamente, domandandoci con molta insistenza la grazia di prendere parte a questo servizio a vantaggio dei santi” (2 Cor 8,1-4)”. Queste parole le scrive Paolo per ringraziare le comunità cristiane della Macedonia per la loro grande generosità – pur nella loro indigenza – nella colletta per la chiesa di Gerusalemme che si trovava in cattive acque (Rm 15,26-28). Chi si aspetta generosità dai ricchi resta deluso, se sono ricchi è perché non sono generosi. Per questo i ricchi sono esclusi dalla comunità di Gesù (“È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”, Mc 10,25). Nella comunità di Gesù c’è posto solo per i signori ma non per i ricchi. Mentre il ricco è colui che ha e trattiene per sé, il Signore è colui che dona e condivide quel che ha.

Basta dare uno sguardo alla storia dell’umanità, anche recente, per vedere come la solidarietà, l’accoglienza, la generosità siano valori che fioriscono nei momenti di grande difficoltà, sociale ed economica, per poi appassire e svanire in quelli di sovrabbondanza, come se il benessere portasse in sé i germi dell’egoismo che chiude all’altro. A riprova di questo c’è un tema di grande attualità, quello dell’ostilità e del rifiuto all’accoglienza del migrante, del profugo, del bisognoso. Oggi anche tra i cristiani l’accoglienza di chi necessita aiuto trova sempre più difficoltà a essere praticata per via delle tossine che egoismi e interessi socio-politici hanno inoculato, riuscendo a infettare anche la vita del credente, dimentico di essere seguace di colui che ha detto di se stesso “Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35.43).

Ma non è sempre stato così.

C’è un episodio, purtroppo quasi sconosciuto, della storia italiana, che rende orgogliosi della generosità della quale sono stati capaci gli italiani, soprattutto le donne. Subito dopo la fine della guerra, l’Italia era in condizioni pietose, le città erano devastate dai bombardamenti, sia dei “nemici”, ma forse ancora più, di quelli degli “alleati”, macerie ovunque, strade interrotte, linee ferroviarie inesistenti o precarie (da Roma a Milano il treno impiegava ben trentotto ore), scarsità di cibo, di indumenti, di medicinali. Mancava tutto, ma non la generosità.

E sono state le donne, categoria umana che ha sempre una marcia in più, a organizzare un’incredibile catena di solidarietà verso i bambini del sud Italia che, arretrato e povero prima della guerra, ora si trovava in condizioni disperate di fame, ai limiti della sopravvivenza. Molti di questi bambini erano figli di braccianti che lavoravano, quando potevano, a giornata, e mangiavano una sola volta al giorno. Molti di essi non avevano mai visto l’acqua corrente in casa, le lenzuola o le coperte nel letto, la carne da mangiare. Queste donne, comuniste dell’Unione Donne Italiane, con incredibile capacità organizzativa si dichiararono disposte ad accogliere nelle loro famiglie, che certamente non erano benestanti, ma modeste o povere, i bambini del sud, malnutriti, malvestiti, traumatizzati dagli orrori della guerra, per un certo periodo di tempo, dal 1945 al 1952. Organizzarono il trasporto in treni, chiamati dall’allora sindaco di Modena i “Treni della felicità”, e per anni più di settantamila bambini dal sud salirono per la prima volta su un treno verso il misterioso nord, nell’ “Alta Italia”. Qui, nelle campagne delle Marche, della Toscana e soprattutto dell’Emilia Romagna, le famiglie comuniste in una gara di generosità accolsero questi bambini spauriti e smarriti non come ospiti, ma come un figlio in più, perché da sempre la saggezza contadina e popolare ha creduto che dove mangia uno possono mangiare anche in due. Quando si ha poco è facile condividere, ma la generosità diventa difficile quando si ha tanto o troppo. Fu l’incontro tra due mondi, modi diversi e spesso incomprensibili di parlare, in quanto sia i bambini che le famiglie ospitanti parlavano solo il dialetto, di vivere, di mangiare. Inoltre questi bambini erano stati terrorizzati dai loro parroci che avevano cercato di dissuaderli dal partire, dicendo che i comunisti affamati li avrebbero mangiati, o trasformati in sapone. Le povere creature ci credevano, e avevano paura di stringere la mano di chi li accoglieva perché il prete aveva detto loro che i comunisti cominciavano mangiando prima un dito, poi l’altro, poi tutta la mano. Altri, che non avevano mai visto una vasca da bagno, non ne volevano sapere di entrarci per paura di finire bolliti e trasformati in sapone, e altri ancora si nascondevano quando vedevano in casa accendere il forno per paura di finire arrostiti. Alcuni la notte restavano svegli per paura di essere squartati vivi durante il sonno e divorati dalla famiglia che li aveva accolti. Poi, dopo un certo periodo, la diffidenza svanì e si accorsero che i comunisti non mangiavano i bambini, ma mangiavano con loro, condividendo il poco o il molto che avevano. E nel giro di pochi mesi, ma a volte l’accoglienza si protrasse per anni, questi bambini, curati, vaccinati, nutriti, rifiorirono, e quando tornarono a casa erano quasi irriconoscibili per quanto stavano bene, ben vestiti, e soprattutto con nel cuore un’esperienza che segnerà positivamente tutta la loro esistenza. Per gli italiani del centro-nord, il frutto dell’accoglienza dei bambini del sud fu quello di scoprire che in realtà non esiste un Nord e un Sud, rivali o pieni di pregiudizi gli uni verso gli altri, ma una sola Italia, unita dalla generosità. Questa pagina di storia rende onore all’Italia e al valore dell’accoglienza e stimola a essere ancora capaci di fare cose buone.

Ci si può chiedere perché, se questo miracolo di solidarietà, di generosità e altruismo è stato possibile nella disastrata Italia del dopoguerra, non si possa ripetere oggi in una società opulenta che getta nell’immondizia quintali di generi alimentari. Quel che è stato possibile per i bambini del sud, non si può fare oggi, almeno per i figli dei migranti, ospiti dei centri di accoglienza?

Per saperne di più rimando al bellissimo libro I treni della felicità (Ediesse) dello scrittore Giovanni Rinaldi, e al film-documentario del regista Alessandro Piva Pasta Nera.

(fonte: Il Libraio 22/05/2019)