martedì 23 aprile 2019

L'impegno della Pasqua di Enzo Bianchi


L'impegno della Pasqua

di Enzo Bianchi



“Perché questa notte è diversa da tutte le altre notti?”. Così l’altra sera il più piccolo di ogni famiglia ebraica ha aperto la serie di domande al cuore del seder pasquale, la liturgia domestica che fa memoria dell’uscita del popolo d’Israele dall’Egitto e dalla condizione di schiavitù. Diversa, radicalmente diversa perché notte dell’inaudito, del sogno sempre vivo del prevalere della libertà sulla schiavitù, della luce sulle tenebre, della vita sulla morte.

Purtroppo oggi i credenti sembrano ignorarlo, ma la Pasqua è una festa di liberazione: un gruppo di migranti nelle terre del Medioriente, accolti in Egitto dopo la loro corsa verso il pane, sono diventati ben presto schiavi, ma grazie alla loro fede nel Dio “goel, liberatore”, sono usciti dall’oppressione del faraone verso una terra di libertà. Migranti erano dunque i nostri padri e in realtà in questa condizione – ripetono i cristiani – restiamo anche noi, sempre impegnati nell’incessante ricerca di una terra abitabile nella libertà, nella giustizia e nella fraternità.

Anche per questo, in un certo senso, ogni notte di Pasqua è diversa anche da tutte le notti di Pasqua che l’hanno preceduta nel corso dei secoli. Diversa non certo perché muta il mistero celebrato dagli ebrei e poi dai cristiani. Eppure ogni Pasqua è diversa perché è diverso ciascun credente che la celebra, diverso dai suoi fratelli e sorelle nella fede e diverso da se stesso nel mutare delle stagioni e degli anni. Più in profondità ancora, ogni notte di Pasqua è diversa anche perché diversa la società all’interno della quale i cristiani la celebrano, non solo per la differenza esistente tra paesi in cui essi sono stati storicamente maggioranza e paesi in cui sono minoranza più o meno esigua e più o meno osteggiata o perseguitata.

No, la diversità della Pasqua la ritroviamo anche nel profondo mutamento avvenuto negli ultimi decenni anche in Italia, paese di antica cristianità in cui fino a poco tempo fa era semplicemente impossibile che ci si vantasse in pubblico di infrangere i comandamenti o di sconfessare impudicamente con discorsi e azioni di odio il messaggio delle beatitudini evangeliche. Invece ora, a seguito della crisi politica ed economica conosciuta da tutto l’occidente e in particolare dal nostro paese, si sono sviluppati risentimenti, rancore e cattiveria, fomentati e fatti emergere senza la minima vergogna: la povertà è diventata una colpa e gli esclusi, gli “scarti”, gli emarginati sono diventati i “delinquenti” da far sparire perfino dalla vista, numeri e non persone di cui diffidare e da cui difendersi.

Così un nuovo elemento di diversità si è imposto nella Pasqua del nostro paese: la celebrazione del mistero della risurrezione diviene manifestazione della cura della chiesa per il diverso. Mai sono mancati nella storia i testimoni della carità cristiana, ma i sofferenti verso i quali si chinavano erano quasi sempre appartenenti alla medesima comunità di fede, quindi sentiti e percepiti come “nostri”.. La voce di autorevole pastori, a cominciare da papa Francesco,– si leva con forza, anche a costo di sfidare un buon numero degli stessi cattolici praticanti, per non parlare di chi concepisce il suo essere cristiano come difesa identitaria di un campanile che sembra mandare solo lugubri rintocchi di resistenza a un nemico creato dall’immaginario collettivo. Occupa sempre più la scena una politica che non si nutre di cultura e non conosce nessun umanesimo ma è fatta di insulti, maldicenze, rozzezze che rendono impossibile ogni confronto.

Eppure, se c’è un elemento universale nel tempo e nello spazio dell’annuncio cristiano è l’equivalenza tra amore di Dio e amore del prossimo che si spinge fino all’amore per i nemici, se c’è un volto di Cristo che non muta nella storia è quello impresso in ogni essere umano sofferente o indifeso: il debole, lo straniero, l’orfano e la vedova, il malato, il carcerato, l’affamato e l’assetato, l’ignudo, in una parola “il diverso” o, con un termine ricorrente nel Vangelo, “il piccolo”. E, proprio in virtù di questa presenza del loro Signore nei più poveri, la Pasqua dei cristiani, sempre diversa, ha una tonalità immutabile: è festa di speranza per tutti, nessuno escluso, nessuno emarginato, nessun messo “dopo” un “prima” che significherebbe “mai”.

Pasqua allora non può significare “contemplazione”, memoria di eventi passati, ma richiede un impegno a quanti la celebrano: impegno a una indignazione efficace e a un sussulto delle coscienze che provochino una nuova resistenza di fronte alla cultura della discriminazione, della violenza, dell’illegalità. Il fatto che i cristiani, come singoli e come comunità, siano sovente gravemente mancanti nel testimoniare ogni giorno questa “opzione preferenziale per i poveri” non potrà mai giustificare lo stravolgimento del Vangelo e del messaggio della croce e della resurrezione, l’abusarne per brandirli come arma contro i diversi, gli altri, quelli che siamo sempre tentare di schiacciare pur di non occupare noi l’ultimo posto. L’apertura a chi fugge da fame e guerra, l’accoglienza dello straniero e del povero, il rispetto della dignità umana non sono solo iscritti nella legge del mare, nella Costituzione o nelle dichiarazione universale dei diritti umani: sono iscritti con parole di fuoco nel Vangelo stesso, sono il cuore del messaggio della Pasqua, della vita più forte della morte, della vittoria dell’amore.

Pubblicato su: La Repubblica 21/04/2019