giovedì 28 marzo 2019

Papa Francesco in Campidoglio ROMA CITTÀ APERTA di Enzo Bianchi

Il Papa in Campidoglio 
ROMA CITTÀ APERTA 
di Enzo Bianchi








Quasi tre millenni di accoglienza e integrazione: «diverse popolazioni e persone provenienti da ogni parte del mondo, appartenenti alle più varie categorie sociali ed economiche» hanno potuto nel corso dei secoli vivere a Roma. «Senza annullarne le legittime differenze, senza umiliare o schiacciare le rispettive peculiari caratteristiche e identità», l' Urbe è divenuta la casa comune, il luogo di una possibile fraternità quotidiana. Così papa Francesco in visita al Campidoglio ha orientato la storia della città. È stata per il Papa l' occasione di un discorso sulla polis, alla polis: un discorso pacato, senza denuncia dei mali della città e tuttavia un richiamo alla sua vocazione di luogo per eccellenza di costruzione e manifestazione dell' umano, di terreno fecondo per l' espressione dell' ethos. Papa Francesco non ha nascosto i lati più travagliati e oscuri della millenaria storia di Roma né le difficoltà degli ultimi decenni nell' amministrare una realtà complessa e carica di un patrimonio artistico e culturale così vasto e fragile. Ma ha preferito evidenziare la storica vocazione della città a essere luogo centripeto, capace di attirare tutti, anche lo straniero, il diverso: questa vocazione al riconoscimento dell' altro offre un' identità dinamica costruita e rinnovata in un costante processo di mutamento. La collocazione geografica di Roma non la pone in prima fila nel fronteggiare gli arrivi di nuovi abitanti alla ricerca di «un tetto, una terra e un lavoro», ma il suo ruolo nevralgico ne fa uno spazio privilegiato del secondo livello dell' accoglienza autentica: il luogo dell' integrazione, dell' accettazione delle differenze come arricchimento di un' identità radicata nella storia e aperta al mutamento.

Questo, per Francesco, significa per Roma «essere all' altezza della sua storia e affrontare la sfida dell' accoglienza».

Una storia fatta anche di conflitti, eppure che ha avuto come cifra fondante l' accoglienza dei discendenti dei profughi troiani, che ha visto la persecuzione dei primi cristiani trasformarsi in incubatrice della diffusione del cristianesimo, che ha irradiato di vie di comunicazione, che ha visto i "barbari" sottomessi divenire il nerbo rinnovato della sua stessa civiltà.

La vocazione a essere «maestra di accoglienza» e di integrazione significa anche ricevere turisti e pellegrini, renderli partecipi di un passato che da pietre e musei deborda nelle piazze e si rispecchia nei volti dei suoi abitanti. Ma significa ancor più prendersi cura di quanti abitano le periferie e patiscono maggiormente un degrado che ferisce il cuore prima ancora che lo sguardo. In questa affascinante sfida, l' essere al contempo «capitale d' Italia e centro del cristianesimo» significa difendere un' identità non malgrado, bensì grazie all' apertura al mondo e alla fame e sete di giustizia di tanti suoi abitanti. È proprio in questa vocazione a essere «città dei ponti e mai dei muri» che Roma e i suoi cittadini possono e debbono esercitarsi ogni giorno a non temere «la bontà e la carità», così da costruire insieme una polis degna di tal nome, «una società pacifica, capace di moltiplicare le forze, di affrontare i problemi con serietà e con meno ansia, con maggiore dignità e rispetto per ciascuno e di aprirsi a nuove occasioni di sviluppo». Così, agli abitanti di Roma - cattolici e non - il Papa ha ricordato che sono tutti fratelli oltre che concittadini, chiamati a essere «artigiani di fraternità e solidarietà» ed è questa vocazione che chiede di trovare ogni giorno una creativa convergenza di orizzonte nella polis.
(Fonte: La Repubblica - 27.03.2019)
    
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