venerdì 22 marzo 2019

La tragedia annunciata. Rogo nella nuova tendopoli San Ferdinando, morto un migrante. Alex Zanotelli: BASTA BARACCOPOLI. RESTITUIAMO DIGNITÀ AI MIGRANTI

La tragedia annunciata. 
Rogo nella nuova tendopoli San Ferdinando,
morto un migrante

La tendopoli si trova a poca distanza dalla vecchia baraccopoli, abbattuta definitivamente il 7 marzo scorso, dopo che, in un anno, si erano registrate tre vittime sempre a causa di incendi


Un nuovo morto in un incendio a San Ferdinando. Questa volta a bruciare è stata una tenda della nuova tendopoli dove il 7 marzo sono stati trasferiti parte dei lavoratori immigrati che vivevano nella baraccopoli smantellata 15 giorni fa. La vittima è Sylla Noumo, 32 anni, originario del Senegal.

L'incendio è scoppiato attorno alle 6 e ha riguardato una tenda aggiunta a quella della struttura originaria realizzata nel 2017. La nuova tendopoli doveva ospitare 450 persone ma dopo i trasferimenti di due settimane fa si è arrivati a 850. Per fare questo si sono aggiunte molte tende occupando spazi di sicurezza e vie di fuga. Inoltre mentre le tende messe nel 2017 dalla Protezione civile regionale sono di ultima generazione e ignifughe, quelle aggiunte sono vecchie e non ignifughe.

Quella bruciata è proprio una di quelle aggiunte. Si trovava sul fondo della tendopoli, vicino alla tenda-moschea, difficile da raggiungere proprio per mancanza di spazi di sicurezza. Così malgrado l'intervento dei vigili del fuoco del presidio fisso per il ragazzo, si dice ventenne, non c'è stato scampo. È il quarto morto bruciato a San Ferdinando in poco più di un anno.

E il trasferimento era scattato proprio dopo l'ultimo, Moussa Ba, morto il 16 febbraio. Ma si continua a morire tra le fiamme. A conferma che una vera e sicura soluzione per gli immigrati ancora non c'è.
(fonte: Avvenire, articolo di Antonio Maria Mira venerdì 22 marzo 2019)


BASTA BARACCOPOLI. 
RESTITUIAMO DIGNITÀ AI MIGRANTI
di Alex Zanotelli


Non avevo mai visto la baraccopoli di San Ferdinando, un comune della piana di Gioia Tauro (Reggio Calabria). Fino all’11 gennaio. Quel giorno ero a Riace per mettere a punto il progetto della fondazione “È stato il vento” (che è a buon punto e ha lo scopo di far ripartire l’esperienza di Riace sull’accoglienza e l’integrazione dei migranti) e nel pomeriggio ho incontrato Mimmo Lucano che si è offerto di accompagnarmi.

Nella baraccopoli, meglio chiamarla tendopoli perché sono perlopiù ambienti costruiti con teli di plastica, vivono duemila migranti, quasi tutti africani, che raccolgono arance. Non so nemmeno come descriverlo questo posto, tanto è inospitale e inadatto a viverci. Ci hanno pensato i migranti a spiegarci che la misura è colma: «Siamo stanchi chi essere fotografati, di finire sui giornali e poi tutto rimane così com’è». Hanno ragione.

Nel corso della visita, abbiamo parlato con molti migranti e poi ci siamo confrontati con alcuni sindacalisti dell’Unione sindacale di base. È nata così l’idea di creare un comitato per la demolizione della baraccopoli. Ci siamo dati appuntamento il 1° di febbraio a San Ferdinando per rendere pubblica questa decisione. In una sala traboccante di gente, c’erano il sindaco Andrea Tripodi, l’ex sindaco Giuseppe Lavorato, amatissimo dalla gente, che ha fatto un gran bel intervento, e altri sindaci della Piana di Gioia Tauro.

Prima di intervenire, ho chiesto semplicemente un momento di silenzio per le vittime della baraccopoli, uccisi in questi anni dalle forze dell’ordine, dal fuoco e dal razzismo. E ho ricordato i loro nomi: Sekine Traorè (maliano), Becky Mose, Soumaila Sacko (maliano) e Jaithe Surawa. Jaithe, un ragazzino del Gambia, 18 anni, aveva lasciato scritto ne suo quaderno: «Nella mia vita voglio fare cose belle». Becky Mose, giovane nigeriana, era passata da Riace e aveva avuto la carta d’identità firmata dal sindaco Mimmo Lucano.

Quindi ho ribadito che è inaccettabile che in Italia ci sia una situazione degradata come questa, contraria alla dignità umana. Non possiamo trattare così i braccianti agricoli migranti. Durante il dibattito, è emerso che l’Unione europea ha dato un milione di euro per cominciare dare delle case decenti a queste persone. Non si è mosso nulla, eppure ci sono 35mila appartamenti vuoti nella Piana e in governo non ha mai fatto niente… Tra l’altro nel 2018 la prefettura di Reggio Calabria voleva costruire un altro campo vicino all’inceneritore di Gioia Tauro: il colmo dei colmi!

Alla fine abbiamo deciso di lanciare ufficialmente il comitato per la demolizione della baraccopoli. La Regione Calabria ha messo a disposizione delle risorse per il trasferimento dei migranti negli appartamenti della Piana. Il problema dobbiamo risolverlo noi e lo dobbiamo fare umanamente. Va trovata una soluzione per restituire dignità a queste persone e per farle uscire dal giro nefando del caporalato, gestito dalla ’ndrangheta. Una delle leve per cambiare questa situazione è di sindacalizzare i migranti e di farli dialogare con i braccianti calabresi. Creando un fronte comune contro la ’ndrangheta.

Tutto questo non è avvenuto, è intervenuto prima Salvini e da stamattina le ruspe (nella foto) hanno iniziato a demolire le baracche. I loro occupanti sono altrove. In pochi hanno accettato di entrare nei Cas o negli Sprar, la maggior parte si è dispersa nei dintorni, nell'attesa che i militari se ne vadano. In molti non hanno più nemmeno un rifugio in plastica e lamiera dove passare la notte.
(fonte: Nigrizia - INCONTRI E VOLTI - MARZO 2019)