mercoledì 27 febbraio 2019

Allarme xenofobia, razzismo e intolleranza. Non possiamo arrenderci!!!


Allarme xenofobia, razzismo e intolleranza.
Non possiamo arrenderci!!!




Allarme dell'Onu: nel mondo ondata di xenofobia e razzismo

Il mondo è alle prese con "una ondata di xenofobia, razzismo e intolleranza" ed i diritti umani stanno perdendo terreno a livello globale: lo ha detto oggi il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, nel suo discorso di apertura del Consiglio per i diritti umani dell'Onu a Ginevra. Guterres ha espresso allarme di fronte a ciò che ha definito un "restringimento dello spazio civico", sottolineando che negli ultimi tre anni sono stati uccisi oltre1.000 tra giornalisti e attivisti per i diritti umani. "False narrazioni su rifugiati e migranti" Guterres ha puntato il dito sulla vasta campagna che a suo giudizio è stata mobilitata contro il Global Compact sulle migrazioni delle Nazioni Unite, un testo non vincolante che mira a migliorare le pratiche per la gestione dei flussi di rifugiati e migranti. "Abbiamo visto", ha detto, "come il dibattito sulla mobilità umana, ad esempio, è stato avvelenato con false narrazioni che collegano rifugiati e migranti al terrorismo e li hanno trasformati in capri espiatori per molti dei mali della società". "L'odio sta etrando nelle democrazie liberali, rigurgiti di antisemitismo" Il segretario generale Onu ha dunque annunciato l'iniziativa, che sarà guidata dal suo consigliere speciale per la prevenzione del genocidio Adama Dieng, al Consiglio dei Diritti umani dell'Onu. "L'odio sta entrando nella normalità, nelle democrazie liberali e nei sistemi autoritari allo stesso modo", ha affermato. "Alcuni importanti partiti politici e leader stanno 'tagliando e incollando' nelle proprie campagne di propaganda ed elettorali idee dalle frange", ha aggiunto. I governi di tutto il mondo stanno osservando con preoccupazione il clima politico, incancrenito da discorsi razzisti e di istigazione all'odio. Francia e Germania, in particolare, hanno lanciato l'allarme nelle ultime settimane per i rigurgiti di antisemitismo". 
(fonte: Rai News 25/02/2019)

Un 'nuovo antisemitismo' si aggira per l’Europa. Nei momenti di crisi, quando cresce la paura e si alzano i muri, non vengono colpiti solo gli immigrati, ma torna anche il 'nemico innocente' di sempre, l’ebreo. Troppo simili e insieme considerati diversi, gli ebrei inquietano cuori e menti chiusi nei propri timori. Nel dopoguerra, dopo la Shoah, è stata eretta una sorta di barriera per impedire il discorso razzista e antisemita; ma oggi, appena finite le iniziative per gli ottanta anni delle leggi razziali italiane, si assiste a una sorta di 'liberazione' della violenza verbale e della denigrazione, dell’insulto del pregiudizio, insomma dell’ostilità verso il bersaglio di sempre. Cimiteri profanati, scritte ingiuriose, cori allo stadio.

Il web diffonde messaggi e meme che confermano l’avversione. Cresce in Italia e in Europa questo odio sottile, banalizzato e diffuso che può portare in ogni momento a gesti o atti criminosi. Le ingiurie a Alain Finkielkraut (peraltro spesso polemico verso la società aperta e l’immigrazione) da parte dei gilets jaunes a Parigi ha provocato una reazione morale e una forte preoccupazione: dietro quegli attacchi 'antisionisti' si nasconde un vero antisemitismo? La questione è molto complessa.
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Si devono individuare le zone d’ombra che fanno dell’antisemitismo un nodo cruciale, una sorta di luogo simbolico in cui si gioca la possibilità di apertura all’altro e alle differenze, oppure la chiusura nel pregiudizio e nell’intolleranza. L’altro viene destoricizzato, ridotto a simbolo, categorizzato anziché considerato nella sua specificità e nei suoi tratti di comune umanità. L’odio globale – fosse verso ebrei, musulmani, rom, immigrati, donne o altri – va contrastato in tutte le sue forme.



Intolleranza, paura, e razzismo. Episodi violenti in crescita secondo alcuni dati. E i casi di Melegnano e Foligno entrano in questo conto. 
Il servizio di Marco Burini per Tg2000
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Xenofobia. Difendere i confini dalle erbacce xenofobe
di Marco Impagliazzo*

Una trasmissione su Radio3, qualche giorno fa, ricordando il centenario della nascita di Primo Levi, dava voce a Fabrizio Gifuni, che aveva letto brani delle sue opere in una commovente cerimonia svoltasi nel campo di internamento di Fossoli (dove Levi transitò prima di essere avviato ad Auschwitz). La conduttrice ha scelto di denunciare in diretta il fatto che giungessero vari messaggi violenti di italiani non proprio 'brava gente': «Si diceva 'Basta con questi ebrei'. Rispetto a qualche anno fa, un peggioramento. E questi sms arrivavano quando parlavamo di rom. Dunque, la platea dell’odio si allarga».

È questa la realtà di una parte dell’Italia di oggi. Sembra che gli episodi di xenofobia e di razzismo si siano velocemente moltiplicati. Sono di questi giorni le notizie relative alle scritte contro l’adozione di un senegalese a Melegnano, al pestaggio di un ragazzino di origine egiziana a Roma, al ferimento di un bambino rom di 11 anni alla stazione Termini («perché mi hanno rotto»), nonché all’assurdo 'esperimento sociale' messo in atto in una scuola di Foligno su un bambino di pelle più scura. Nemmeno la scuola, ormai, sembra del tutto immune dal virus del razzismo.

Anch’io voglio partire da Primo Levi. In una lettera recentemente pubblicata su 'la Stampa' in cui il giovane chimico, appena tornato in Italia, scriveva ai parenti per raccontare quanto aveva vissuto nel lager, Levi aggiungeva, descrivendo il suo impatto con la patria: «Il fascismo ha dimostrato di avere radici profonde, cambia nome e stile e metodi, ma non è morto». Non so se il fascismo è eterno, per riprendere il titolo di un intelligente pamphlet di Umberto Eco, ma certo è vivo e vegeto. Così come la xenofobia e il razzismo. Il problema è che abbiamo preferito non rendercene conto. Il fatto è che le pulsioni xenofobe, i comportamenti razzisti, si sposano bene con un tempo segnato dal vittimismo e dal rancore, in una stagione in cui sembra impossibile tessere legami con l’altro. Come se tanti dicessero: 'Il mondo di oggi non va bene, sento nostalgia di un passato più semplice, rivendico il diritto del fastidio verso questo o quello, anzi di gettare la colpa su di loro'.

Il nostro mondo di monadiimpaurite si è costruito un nuovo razzismo. Si grida: 'Io non posso, e comunque non voglio, essere insieme a lui, a lei, a loro'. Questa versione più moderna, apparentemente più accettabile, di un male antico, ha attecchito, si è fatta strada, è stata sdoganata a livello politico e mediatico e infine ha rotto gli argini. E allora le parole si fanno pietre. Il 'buonismo' è dipinto come un male. Tutto è scusabile perché si tratta di difendere i confini. Chissà, forse è davvero ora di 'difendere i confini'. Cioè di impedire che una cultura umanista antica di duemila anni venga messa all’angolo dai luoghi comuni e dalle pulsioni 'di pancia'. Di chiamare le erbacce della contrapposizione e del disprezzo, che abbiamo lasciato crescere indisturbate insieme agli alberi di una cultura umanista e solidale, roba infestante e dannosa. Se non faremo finta di niente e riconosceremo le radici profonde di un nuovo razzismo guardando con fermezza al male oscuro del-l’Italia di oggi potremo farcela. Non saremo soli nel difendere l’umanità. E, come suggerisce l’esperienza, le necessità economiche, professionali e di cura di un Paese che invecchia rapidamente, ci ricorderanno con la forza dei numeri e della realtà che non c’è nessuna salvezza possibile nell’esclusione, nell’autosufficienza, nel vittimismo. Abbiamo bisogno degli altri e gli altri saranno sempre diversi da noi. Qualche giorno fa ero alla presentazione de 'Il caso Kaufmann', il romanzo di Giovanni Grasso. Una storia vera e tragica, una storia di razzismo nella Germania delle leggi di Norimberga. Ebbene, la presentazione si svolgeva a Palazzo Barberini, sotto la volta dipinta da Pietro da Cortona, che raffigura 'Il trionfo della Divina Provvidenza'. Alzando gli occhi, si poteva vedere come, alla fine, il Furore è vinto dalla Mansuetudine e la Ragione prevale sulla Forza Bruta. Lavoriamo con la pazienza dell’artigiano di pace perché questo sia presto il destino italiano ed europeo.

*Storico, presidente della Comunità di Sant’Egidio
(fonte: Avvenire, 26/02/2019)


È necessaria una nuova strategia globale per combattere l'incitamento all'odio. Il segnale è stato lanciato oggi a Ginevra dal segretario generale dell'ONU, Antonio Guterres. Con dati allarmanti.
Il servizio di Nicola Ferrante per Tg2000
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Xenofobia. L'astiosa banalità del razzismo diffuso
di Maurizio Ambrosini*

Le cronache quasi ogni giorno ci segnalano nuovi casi di xenofobia e razzismo. Il fenomeno è difficile da misurare, perché molti episodi non vengono denunciati o non sono adeguatamente rilevati e approfonditi, ma i diversi osservatori che se ne occupano segnalano un aumento dei casi. Episodi come gli insulti sui muri alla famiglia di Melegnano che ha adottato un ragazzo africano, gli episodi di intolleranza xenofoba sui mezzi pubblici, i cori razzisti da stadio, gesti ambigui o apertamente offensivi persino a scuola indicano che si sta sviluppando un clima culturale in cui diventa sempre più ammissibile esprimere sentimenti di aperta avversione verso persone immigrate, oggi soprattutto africane. Anche senza arrivare alla violenza, che pure a volte entra in gioco, si è sdoganato – come questo giornale segnala da tempo e con crescente allarme – un razzismo diffuso e banalizzato. È importante riflettere su alcune sue caratteristiche. Anzitutto il discorso razzista è facilmente accessibile: chiunque, per il mero fatto di essere italiano, può sentirsi superiore a un medico africano o a un ingegnere cinese. Può gridare a gran voce che i diritti spettano a lui soltanto, che altri ne vanno esclusi perché non hanno il passaporto giusto o il colore della pelle appropriato. Uno slogan come 'prima gli italiani' non è molto lontano da questa visione.

Di qui discende una seconda caratteristica del razzismo, il vittimismo consolatorio: se vivo male e non ottengo risposta alle mie esigenze, magari anche giuste o comunque comprensibili, è perché lo Stato, le leggi, «le élite», e magari «la Chiesa di papa Francesco » proteggono gli immigrati. Non pochi trovano così, in modo facilmente consolatorio, una spiegazione ingiusta all’ingiustizia, all’arretramento sociale e talvolta al proprio fallimento personale. Anche l’insicurezza seminata dalla globalizzazione neoliberista incide: si converte in ansiosa domanda di protezione del proprio ambiente di vita contro ogni presunta minaccia esterna, facilmente identificata nella circolazione di persone diverse e povere. Quando questi sentimenti non sono urlati in solitudine, ma condivisi con altri, si afferma un’altra caratteristica del razzismo: a suo modo, l’individuazione del nemico infiltrato sul territorio produce un senso di comunità. Magari paranoide e malato, ma non meno forte e spesso temibile. Serve egregiamente a dividere il mondo in gruppi ben distinti e contrapposti: da una parte 'noi', gente pacifica e perbene, dall’altra 'loro', di volta in volta dipinti come invasori, profittatori del welfare, violenti aggressori di ragazze indifese. In proposito, la costruzione di categorie collettive, tali per cui tutti gli africani o tutti gli immigrati sono uguali, è un tratto costitutivo dei razzismi. In questo modo le malefatte di qualcuno diventano le colpe di tutti.

Il contrario invece non vale: il buon comportamento di qualche appartenente al gruppo stigmatizzato è eventualmente un’eccezione che non modifica il giudizio generale. Proprio questo meccanismo sorregge il senso della comunità minacciata. Tutto questo potrebbe ancora una volta condurre ad associare il razzismo con condizioni economiche e sociali svantaggiate: una tipica battaglia dei penultimi contro gli ultimi. Magari dei penultimi sotto pressione per il timore del sorpasso. Questo però è vero solo in parte, ed è vero soprattutto per le forme più esplicite e rozze di razzismo. La paura dello sconvolgimento dell’ordine sociale, la produzione di rappresentazioni collettivizzanti dei presunti altri (gli africani, i musulmani…), il senso della perdita di un’identità culturale, da ben altre forze in realtà minacciata, sono sentimenti che attraversano la società e investono anche fasce colte e benestanti. C’è un ultimo tassello da aggiungere: i messaggi che arrivano dall’alto, criminalizzando gli immigrati e banalizzando, minimizzando o giustificando le espressioni razziste, non aiutano certo a dissipare il clima di ostilità verso gli immigrati. Anzi, si può temere che contribuiscano a rendere legittime altre forme di xenofobia.

*Sociologo, Università di Milano e Cnel
(fonte: Avvenire, 26/02/2019)