venerdì 4 gennaio 2019

"Solo donando la vita la troviamo" Mons. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna - Solenne Te Deum di fine anno

"Solo donando la vita la troviamo"
Mettiamo tutto nelle mani di Dio e seguiamo Gesù, il nostro tempo, Colui che la vita la vuole piena, che insegna ad amare e non si stanca di crederlo possibile anche contro noi stessi! 
... Solo la bontà libera l'uomo dal suo essere lupo


Mons. Matteo Zuppi, 


Arcivescovo di Bologna

Solenne Te Deum di fine anno

San Petronio, 31 dicembre 2018




Si uniscono nella celebrazione della fine di un anno una consapevole tristezza e una gioia profonda. Ci fermiamo, ma non da soli: insieme al Padre, per capire con Lui, vero specchio della nostra anima e interpretazione migliore del nostro profondo, chi siamo, chi siamo stati e per cercare il senso del nostro vagare i cui passi, come si esprime il salmo, sono da Lui contati! 
E' un rito, certo, che come i riti ci aiutano a vivere. In realtà ne abbiamo bisogno: ci liberano dalla tirannia dell'io, scandiscono la nostra vita, ci sottraggono dal potere della cronaca che schiaccia compulsivamente sul presente ed enfatizza il protagonismo, per poi farci scoprire amaramente che siamo solo qualcosa di effimero e passeggero. Fermiamoci, nel silenzio e nella meditazione, per ascoltare il Padre, per affidarci a Lui, per pregare, cioè ascoltare la sua volontà di amore e non cercare di imporre a Lui la nostra! Fermiamoci per lodare il Padre, che è ringraziare per quello che è non solo per quello che ci ha dato. 
Misurare il tempo ci aiuta a viverlo meglio. Fermarci – che spesso crediamo sia perdere tempo – è il primo modo per non sprecarlo. Quanto sarebbe importante nella vita ordinaria perdere tempo per ascoltare il Signore che ci parla al cuore, per capire i suoi sentimenti e trovare con Lui i nostri, per riempire le valli di abbandono o per sanare le ferite della solitudine! Chi si ferma con il Signore si ferma con il prossimo. Chi ascolta Dio, presta attenzione alla domanda del prossimo. Regaliamo un po' del nostro cuore e tempo a chi, potremmo ben dire, non aspetta altro! Questa sera vogliamo guardare insieme il futuro, pensare al tempo che abbiamo davanti e al tempo oltre il tempo, al fine della nostra vita e alla fine di questa - le due cose sono molto collegate e non dovremmo mai pensarle separate. Farlo ci aiuta a vivere bene ogni giorno, quel giorno, davvero così breve, che è la nostra vita. Guardare al futuro ci rende consapevoli del nostro presente, che non è una successione di immagini e di emozioni. Impariamo a leggere, come si suole dire, i segni dei tempi, i modi con cui il Signore parla alla nostra vita. Anche perché a volte i giorni diventano improvvisamente pochi, finiscono, come è avvenuto a quanti ci precedono nel cammino, nomi che ricordiamo questa sera affidandoli al Signore prima e ultima lettera della nostra vita. Avvertiamo, ed è salutare, la vanità del nostro agitarci, anche se una certa deformazione del digitale lo amplifica facendo illudere. Sentiamo amarezza per il tempo che abbiamo dissipato, confrontandolo anche con quanti non lo hanno o non lo hanno avuto perché non viene valorizzato, come accade ai tanti scartati o perché il mistero del male e le chiare responsabilità degli uomini lo hanno rubato loro e continuano drammaticamente a farlo sotto gli occhi di tutti, spegnendo la vita e con essa cancellando la possibilità di esprimere quello che essi avevano dentro di sé. Il tempo è nostro, ma come tutto quello che siamo e abbiamo perché non finisca dobbiamo ricordarci che è donato e che solo capendo il senso del dono e quindi donandolo a nostra volta non si perde. E' proprio vero che la vita è breve e, come cantava qualcuno "non c'è tempo, non vale la pena, per agitarsi e combattere"; mentre un altro interrogava tutti su quando l'uomo finalmente imparerà a vivere e a farlo senza ammazzare o senza lasciarlo fare, aggiungo. Mettiamo tutto nelle mani di Dio e seguiamo Gesù, il nostro tempo, Colui che la vita la vuole piena, che insegna ad amare e non si stanca di crederlo possibile anche contro noi stessi! Ci affidiamo, con tutta la nostra volontà e responsabilità, alla provvidenza di Dio, dopo esserci aiutati più che possiamo! La sua provvidenza ci libera dai giudizi apocalittici sul presente e sul futuro. Certo, le domande e le inquietudini sono tante e non vogliamo certo affatto ignorarle: la pace, le guerre a pezzi, il clima di intolleranza, l'incertezza sul futuro inaccettabile soprattutto pensando ai giovani ma anche a chi si avvicina alla pensione e non ha sicurezze alcune; la violenza nelle parole e nel digitale che facilmente scambiamo come realtà ma anche può diventare drammaticamente realtà; la crisi economica così pesante per chi non ha lavoro e la povertà di tanti che vivono per strada o cercano un posto come i profughi, tutti "nostri" perché tutti indicati come fratelli più piccoli di Cristo. Non vogliamo essere fatalisti, cioè lasciare la vita al caso come ultima espressione del nostro potere. Solo donando la vita la troviamo. Riconoscerci come questa sera figli davanti al Padre ci rende davvero protagonisti, perché solo l'amore che abbiamo ricevuto e che ci rende liberi, spiega il senso del nostro camminare e ci dona la piena responsabilità e decisività delle nostre scelte. Il nostro è un Padre, non un padrone, una dipendenza o un'entità diffusa senza volto, terribile o inutile perché lontano. Senza Padre ci arrendiamo facilmente, passando dall'onnipotenza al nichilismo, dal millenarismo per cui vogliamo ottenere subito quello che desideriamo alla rassegnazione per cui niente vale la pena e tutto è ridotto solo al mio consumo. 
Questa sera, allora, nella grandezza ma anche nell'intimità e familiarità di questa casa che ci ricorda come siamo insieme a tutta la città degli uomini, ci presentiamo insieme – e quanto è importante - per ringraziare e per guardare con speranza il tempo e l'anno che verrà. Vorrei chiedere due cose. 
La prima: cerchiamo e amiamo quello che ci unisce e mettiamo da parte quello che divide, anche se qualcuno pensa di trarre dalla divisione convenienze immediate se fa sentire forti e importanti, o di difendere le proprie ragioni. La divisione indebolisce tutti e la vera ragione è quella di vivere insieme. Alla fine saremo tutti insieme nella casa di Dio, che è una sola, per tutti e lì saremo finalmente una cosa sola anche se sempre tutti diversi. Iniziamo a viverlo fin da oggi. E' possibile: è il fine e la fine della nostra vita! Mettiamo da parte quello che divide cercando ostinatamente e a volte faticosamente quello che unisce. In nome della propria verità si offende l'altro, financo la propria madre Chiesa! La divisione non è mai bene, perché sempre alleata con il diavolo, il divisore. Cerchiamo quello che unisce, non per un ribasso di convinzioni o per un compromesso mediocre, anzi, ma per scoprire la bellezza che c'è nel prossimo e per essere tutti più forti perché insieme. Cerchiamo quello che unisce perché tutti possano trovare risposta alla loro domanda di senso e di amore e perché divisi siamo più deboli e finiamo per usare i mezzi che pure abbiamo "per scarsi e rachitici fini" invece di accogliere la vita di tutti e di ognuno e per farlo dal suo inizio al suo compimento. Cerchiamo quello che unisce perché altrimenti restiamo soli, diventiamo isole, finiamo per credere che possiamo vivere senza il prossimo. E non è mai buono che l'uomo sia solo. Insieme possiamo piantare alberi che saranno bellissimi per chi verrà dopo di noi. Per pensare seriamente a sé dobbiamo pensare al dopo di noi! 
Vorrei chiedere una seconda cosa, a me stesso e a tutti: una bontà perseverante. Non scambiamola per bonarietà, passività, dabbenaggine, pigro accondiscendere che rifugge i conflitti con la pretesa di fare il bene e in realtà facendo pagare i conti a chi viene dopo! Buonismo e cattivismo sono speculari. La bontà è incredibilmente forte, ha i tempi lunghi (rende davvero galantuomini) perché un uomo buono affronta la vita vera, non scappa dai problemi, non si accontenta di una rapida esibizione di sé, non perde tempo a raccogliere i sassi per tirarli a sua volta contro chi li ha lanciati contro di lui ma vince il male con la bontà, perché vuole che la vita fiorisca. Solo una bontà perseverante fa parlare la lingua che tutti capiscono. Non una bontà ideale, irenica, fuori dal mondo, ma da uomini e donne veri, forti come è chi è davvero buono. Solo la bontà libera l'uomo dal suo essere lupo. Essa vede i difetti altrui, che a volte sono insopportabili e che tanto dividono, ma, nutrita di pazienza non ne resta prigioniera e ci aiuta ad esercitare la bellissima ed indispensabile arte di vivere insieme. E in questo ci aiuta il buon umore che è l'occhio benevolo e benedicente di Dio, che osserva quello che c'è di strano nell'esistenza, a volte proprio di comico. Il buon umore "aiuta ad essere buoni, perché dopo avere riso è più facile tornare a impegnarsi con serietà", diceva Guardini, "illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza, sorride e fa sorridere, trasmette umanità". 
Gesù, primo e ultimo nostro amante, la nostra unica verità, uomo e Dio, ci conduca nella pienezza del tempo e nella storia, ci aiuti a vivere i nostri giorni con il suo amore e a farlo con bontà perseverante già qui, perché qui inizia la vita oltre la vita.


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