sabato 15 dicembre 2018

La messa non è finita di Massimo Gramellini - Dal 26 ottobre nella chiesa protestante di Bethel, all’Aja, non si interrompe la preghiera comune e non si fermano le celebrazioni presiedute da un ministro per salvare una famiglia armena. (commenti, cronaca e video)


La messa non è finita
di Massimo Gramellini

Se cercate una storia di Natale, questa non la batte nessuno. C’è una famiglia braccata, ci sono i pastori e, al posto della capanna, direttamente una chiesa. La famiglia braccata si chiama Tamrazyan, marito, moglie e tre bambinelli piuttosto cresciuti: il più giovane va al liceo. Sono scappati dall’Armenia per salvare la pelle, ma dopo nove anni di protezione il governo olandese ha esaurito la quota prevista di rifugiati e ha invitato i Tamrazyan a tornarsene in patria. E qui entra in scena il primo pastore, Axel Wick, ministro di culto protestante all’Aia. Padre Wick ne sa una più del diavolo e si ricorda di una norma che vieta alla polizia di entrare «nei luoghi destinati a riunioni religiose, o riflessive di natura filosofica, durante le cerimonie o le riflessioni». Una legge che mette sullo stesso piano una funzione religiosa e un simposio di liberi pensatori spiega perché il Nord Europa rimane il lembo più evoluto del pianeta. Ma non divaghiamo. Il pastore dell’Aia recupera le liturgie degli ultimi dieci anni, le rilega in un unico gigantesco papiro e, alle 13 e 30 del 26 ottobre, davanti alla famiglia Tamrazyan al completo, si mette a dire messa. Dopo cinquanta giorni non ha ancora smesso un minuto. Preti e laici di tutte le fedi e di tutte le lingue si danno il cambio sull’altare. 

Fuori dalla chiesa, la polizia aspetta che smettano. Dentro la chiesa, i pastori aspettano il miracolo. Forse non si rendono conto di averlo già fatto.
(fonte: Corriere 15/12/2018)

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In una chiesa dell’Aja le celebrazioni non si interrompono più per evitare l’espulsione di una famiglia armena

Il motivo è legato alla necessità di proteggere una famiglia di armeni che, rifugiatisi nel Paese quasi nove anni fa, hanno visto respinta la loro richiesta di asilo e dovrebbero quindi lasciare l’Olanda dove in questi anni i tre figli sono cresciuti, hanno studiato. Sasun e Anousche Tamrazyan con i loro tre figli, Hayarpi, Warduhi e Seyran, hanno chiesto aiuto alla comunità protestante di cui sono membri

La chiesa all'Aja.
È dal 26 ottobre che nella chiesa protestante di Bethel, all’Aja, non si interrompe la preghiera comune e non si fermano le celebrazioni presiedute da un ministro. Il motivo è legato alla necessità di proteggere una famiglia di armeni che, rifugiatisi nel Paese quasi nove anni fa, hanno visto respinta la loro richiesta di asilo e dovrebbero quindi lasciare l’Olanda dove in questi anni i tre figli sono cresciuti, hanno studiato. Sasun e Anousche Tamrazyan con i loro tre figli, Hayarpi, Warduhi e Seyran, hanno chiesto aiuto alla comunità protestante di cui sono membri. “Quello che sta succedendo all’Aja è il segnale di un problema più grande: la posizione dei bambini richiedenti asilo che sono cresciuti nei Paesi Bassi e che tuttavia sono espulsi”.

È Dirk Gudde, presidente del Consiglio delle Chiese nei Paesi Bassi, a spiegare al Sir la situazione che si è creata. Poiché una legge olandese vieta di interrompere alle forze dell’ordine una celebrazione religiosa in un luogo di culto, da quella data si celebra senza sosta nella piccola chiesa. 

La famiglia è ospitata nei locali adiacenti.

Lì Hayarpi, la figlia più grande, segue on line i corsi di econometria all’università di Tillburg che stava frequentando. “È una studentessa di grande talento e desiderosa di studiare Ho avuto il privilegio di averla ai miei corsi”, ha dichiarato il professore David Schindler. “Lei e la sua famiglia saranno deportati non appena si fermeranno le celebrazioni nella chiesa di Bethel. Bisogna tenere questi talenti in Olanda”. Sul suo blog Hayarpi scrive anche preghiere e poesie. A sorreggere il pastore di questa piccola comunità si è coinvolta tutta la Chiesa protestante, e da tutta l’Olanda arrivano colleghi che si alternano a guidare i riti. “Anche altre Chiese hanno dichiarato la loro solidarietà e molti ministri e laici collaborano, compresi non pochi cattolici”. La mobilitazione e l’impegno si muovono però anche sul fronte politico: “Il Consiglio delle Chiese il 5 dicembre ha scritto una lettera al primo ministro Mark Rutte e al ministro della giustizia Mark Harbers, con la richiesta di applicare l’Accordo per l’amnistia dei bambini (Regeling Kinderpardon) del 2013 che rivendica il rispetto dei diritti dei bambini che vivono nel Paese da oltre cinque anni” spiega ancora Gudde.“Questo Accordo però al momento non funziona e meno del 10% delle domande di amnistia è accolto”.

Questa forma di protezione tra le mura di una chiesa (Kerkasiel) “è riconosciuta dal Consiglio delle Chiese come mezzo legittimo in situazioni di gravi ingiustizie” dice ancora Gudde.

La vicenda sta toccando i cuori: tante persone (e adesso tanti gruppi giovanili) si attrezzano per questa incredibile staffetta di solidarietà e di protezione e si organizzano per assistere alle celebrazioni, giorno e notte. La notizia di questa celebrazione “da Guinness” sta avendo una incredibile copertura internazionale e, aggiunge Gudde, “la settimana scorsa è stata deposta una nuova richiesta sostenuta da 250 mila firme perché il caso venga affrontato in Parlamento”.
(fonte: Sir, articolo di Sarah Numico 14 dicembre 2018)

Il servizio del Tg2000 del 20 novembre scorso a tre settimane dall'inizio della celebrazione

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