domenica 14 ottobre 2018

Oscar Romero, testimone, martire e santo

Oscar Romero, testimone, martire e santo

Domenica 14 ottobre 2018 a Roma la canonizzazione dell’arcivescovo di San Salvador ucciso nel 1980 mentre celebrava la messa.


Lunedì 24 marzo 1980, alle ore 18,25, mentre sta celebrando la santa messa, appena terminata l’omelia, l’arcivescovo di San Salvador, Oscar Arnulfo Romero, è colpito al cuore da un colpo di arma da fuoco. Caricato su una vettura, muore poco dopo in ospedale. Viene così messa a tacere la voce che nella nazione centroamericana denuncia senza paura violenze, sequestri, omicidi, indicando responsabilità e complicità. Si tratta di una voce scomoda per le oligarchie politiche ed economiche che si definivano cattoliche e sostenevano di lottare per la difesa della civiltà cristiana contro il comunismo. Per i poveri e gli oppressi è invece una voce amica e fedele, l’unica difesa contro i soprusi e le prepotenze.

Maestro e testimone
Il paradosso della vicenda di Oscar Romero è che quest’uomo della tradizione, questo pastore d’anime che aveva del vescovo una visione classica e tridentina e che per gran parte della sua vita non ha avuto alcuno interesse per la politica e per le questioni sociali, ad un certo punto, rifacendosi ai documenti del Concilio, a quelli di Medellin e a Paolo VI, ha compreso sempre più chiaramente, di fronte alle violenze che colpivano i suoi sacerdoti e i suoi fedeli, che era proprio dovere illuminare le realtà terrene con gli insegnamenti del Vangelo. Quando si rese conto delle sofferenze del suo popolo, ne ebbe compassione e da buon pastore se ne fece carico. Andò consapevolmente incontro alla morte e non vi si sottrasse: la logica evangelica gli chiedeva questo e lui vi aderì.

La sua opera di evangelizzazione e promozione umana, oggi sempre più riconosciuta e valorizzata, trovò ostacoli enormi. Fu osteggiata violentemente dal potere politico e da quello economico. I suoi confratelli vescovi del Salvador, ad eccezione di mons. Arturo Rivera y Damas, fecero di tutto per farlo destituire dalla guida della diocesi più grande del Paese, accusandolo di essere un sovversivo e di fare politica. Le stesse forze della guerriglia rivoluzionaria ad un certo punto lo criticarono aspramente poiché invitava tutti alla conversione e condannava ogni forma di violenza, anche quella rivoluzionaria, esortando a percorrere le strade della nonviolenza.

In una realtà fortemente polarizzata, divisa tra pochi ricchi e molti poveri, Oscar Romero è stato maestro e testimone: con la parola ha guidato e orientato il proprio popolo; con la testimonianza si è esposto in prima persona e si è schierato al fianco di chi era povero e oppresso. Ha parlato e agito senza odio, cercando di esortare tutti alla conversione. Da una terra dove scorreva il sangue, dove gli oppositori erano fatti scomparire, dove i diritti umani erano calpestati, la voce di Romero, libera e autorevole, ha oltrepassato le frontiere ed è stata sentita in tutto il mondo.

Educato dai crocifissi della storia
La lapide posta sulla tomba di Romero riporta semplicemente il suo motto episcopale: sentir con la Iglesia. Il suo desiderio è stato, infatti, fin dall’inizio del suo ministero sacerdotale, quello di vivere il messaggio cristiano restando fedelmente ancorato alla Chiesa. Il Concilio Vaticano II e la Conferenza di Medellin l’hanno costretto progressivamente ad interrogarsi sulle condizioni di vita del suo popolo, sulle violenze a cui era soggetto. Soprattutto nei tre anni in cui è stato arcivescovo di San Salvador, Romero ha sempre più chiaramente sentito il grido del proprio popolo, oppresso nei diritti fondamentali, e a questo popolo ha prestato la propria voce, indicandogli la strada della conversione e della nonviolenza per uscire dal dramma che stava vivendo.

Si schierò così, sempre più decisamente, in difesa dei poveri e degli oppressi, convinto del fatto che i valori evangelici andassero incarnati e non solo affermati, che non bastasse raccogliere i moribondi e i sofferenti, ma che fosse anche necessario denunciare le situazioni di violenza strutturale e istituzionalizzata, indicare in modo preciso le responsabilità dei sequestri, dei soprusi e dei massacri. L’incontro con i “crocifissi” della storia lo ha condotto all’essenzialità dell’annuncio e ad abbracciare la croce. La sua scomodità risiedeva nell’adesione piena e fedele al messaggio sociale cristiano che, con il Concilio, aveva esortato la Chiesa a rivolgersi a tutti, ma con un occhio di riguardo per i poveri e gli oppressi.

Agli inizi di marzo 1983, in piena guerra civile, Giovanni Paolo II si è recato in Salvador in visita pastorale. Il programma, per volere delle autorità politiche, non prevedeva la visita alla tomba di Romero, ma il papa fu irremovibile e, dopo aver atteso che si aprisse la cattedrale, che era stata chiusa per ordine della giunta militare, poté pregare sulla tomba dell’arcivescovo assassinato.

Un vescovo martire
Dove possiamo situare la figura di Romero nella storia della Chiesa del Novecento? Certamente fra quelle dei testimoni e dei martiri, proprio come è stato fatto sul frontone della porta ovest dell’abbazia anglicana di Westminster, a Londra, dove, fra le dieci statue di “martiri” del Novecento, quella di Romero è posta tra la statua di Dietrich Bonhoeffer e quella di Martin Luther King. E come è stato fatto anche nella chiesa di San Bartolomeo a Roma, sull’isola Tiberina, una chiesa voluta da Giovanni Paolo II come memoriale dei martiri e testimoni della fede del XX secolo: qui, nell’icona posta sull’altare maggiore, tra i martiri rappresentati vi è anche Oscar Arnulfo Romero e tra le memorie custodite in un altare laterale vi è il messale che utilizzava l’arcivescovo di San Salvador.

Per saperne di più:
Anselmo Palini, Oscar Romero. “Ho udito il grido del mio popolo”, editrice Ave di Roma, ristampa rivista e aggiornata novembre 2018, arricchita dalla prestigiosa postfazione del cardinale salvadoregno Gregorio Rosa Chavez.
Anselmo Palini, Una terra bagnata dal sangue. Oscar Romero e i martiri di El Salvador, Paoline 2017, con prefazione di José M. Tojeira e postfazione di don Vicente Chopin, teologi salvadoregni

(fonte: CITTÀ NUOVA, articolo di Anselmo Palini 12/10/2018)

Vedi anche il post precedente: