sabato 6 ottobre 2018

«L’ipocrisia dei giusti è la paura di lasciarsi amare da Gesù. Siamo fieri di essere cristiani, ma viviamo come pagani» - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)

S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
5 ottobre 2018
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m. 

Papa Francesco:
La fede non è un'abitudine”


Non si può essere cristiani «a metà», lasciando Gesù tra le mura della chiesa ed evitando di testimoniare la propria fede «nella famiglia, nell’educazione dei figli, nella scuola, nel quartiere». Da questa «ipocrisia dei giusti» Papa Francesco ha messo in guardia nella messa celebrata venerdì mattina, 5 ottobre, a Santa Marta.

La meditazione del Pontefice ha preso spunto dal brano evangelico di Luca (10,13-16) proposto dalla liturgia, nel quale Gesù «rimprovera tre città — Betsàida, Corazìn, Cafàrnao — perché non hanno ascoltato la sua parola. Soltanto hanno udito, ma quella parola non è entrata nel cuore loro, perché non hanno creduto nei segni, nei miracoli che ha fatto». Il monito del Signore è esplicito: «Ma se in quelle città pagane come Tiro e Sidòne, avessi io fatto questi miracoli, sicuro avrebbero creduto. Ma voi no».

Francesco ha fatto notare che Gesù «sembra arrabbiato». E ha ricordato che subito dopo, nello stesso vangelo, egli «parla della conversione, con la predica del profeta Giona: “E voi, non vi convertite?”». Si tratta, ha sottolineato, di «un rimprovero forte di Gesù a queste città, a questi popoli che, avendolo lì, vedendo i suoi prodigi, sempre sono nella logica del “Sì sì, ma... Mai si sa”, e non danno il passo di riconoscerlo come Messia».

Dietro «questo rimprovero — ha constatato il Papa — c’è un pianto», perché Gesù «è addolorato per essere respinto, per non essere ricevuto». Il Signore «vuole bene a questa gente, ma si sente addolorato». Dunque «dietro il rimprovero c’è il pianto di Gesù» ha ribadito Francesco, ricordando quando il Signore «dalla montagna vide Gerusalemme lontana, e pianse». In effetti «Gesù voleva arrivare a tutti i cuori, con un messaggio che non era un messaggio dittatoriale, ma era un messaggio d’amore. E Gesù pianse, perché questa gente non era stata capace di amare».

A questo punto il Pontefice, attualizzando la sua riflessione, ha proposto di cambiare «un po’ i personaggi di questo avvenimento: invece di Corazìn, Betsàida, Cafarnao — queste città — mettiamo noi, mettiamo io: io che ho ricevuto tanto dal Signore. Ognuno di noi». Da qui l’invito all’esame di coscienza: «Ognuno pensi alla propria vita. Che ho ricevuto tanto dal Signore. Sono nato in una società cristiana, ho conosciuto Gesù Cristo, ho conosciuto la salvezza, sono stato educato, educata, alla fede. E con quanta facilità mi dimentico, e lascio passare Gesù». Un atteggiamento che contrasta con quello di «altra gente che subito ascolta l’annuncio di Gesù, si converte e lo segue». Invece, ha riconosciuto il Papa, «noi siamo “abituati”». E «quest’abitudine ci fa male, perché riduciamo il Vangelo a un fatto sociale, sociologico, e non a un rapporto personale con Gesù».

In realtà, ha continuato Francesco, «Gesù parla a me, parla a te, parla a ognuno di noi. L’appello di Gesù è per ognuno di noi». E allora viene da chiedersi: «Come mai quei pagani che, appena sentono la predica di Gesù, vanno da lui, e io che sono nato, sono nata, qui, in una società cristiana, e per me il cristianesimo è come fosse un’abitudine sociale, una veste che ho indosso e poi la lascio?». È così che «Gesù piange su ognuno di noi quando noi viviamo il cristianesimo formalmente, almeno non realmente».

In questo modo, ha incalzato il Papa, «siamo un po’ ipocriti». È «l’ipocrisia dei giusti». C’è infatti «l’ipocrisia dei peccatori, ma l’ipocrisia dei giusti è la paura dell’amore di Gesù, la paura di lasciarsi amare». In sostanza, ha osservato il Pontefice, «quando noi facciamo questo, cerchiamo di gestire noi il rapporto con Gesù». È come se gli dicessimo: «Sì, io vado alla messa ma tu fermati nella chiesa che io poi vado a casa». Dunque, ha rimarcato, «Gesù non torna con noi a casa: nella famiglia, nell’educazione dei figli, nella scuola, nel quartiere... No, Gesù rimane là. O rimane nel crocifisso o l’immaginetta, ma qui».

In conclusione il Papa ha rinnovato ai fedeli la proposta di «una giornata di esame di coscienza», raccomandando loro come «ritornello» spirituale le parole rivolte dal Signore alle città che non seguivano i suoi insegnamenti: «“Guai a te, guai a te”, perché ti ho dato tanto, ho dato me stesso, ti ho scelto per essere cristiano, essere cristiana, e tu preferisci una vita a metà e metà, una vita superficiale: un po’ sì di cristianesimo e acqua benedetta ma niente di più». In realtà, ha spiegato, «quando si vive questa ipocrisia cristiana, quello che noi facciamo è cacciare via Gesù dal nostro cuore. Facciamo finta di averlo con noi, ma lo abbiamo cacciato via. Siamo cristiani, fieri di essere cristiani, ma viviamo come pagani».

«Ognuno di noi pensi: “Sono Corazìn? Sono Betsàida? Sono Cafarnao?”» è stata l’esortazione di Francesco. Con l’invito, «se Gesù piange», a «chiedere la grazia di piangere anche noi: “Ma Signore tu mi hai dato tanto. Il mio cuore è tanto duro che non ti lascia entrare. Signore ho peccato di ingratitudine, sono un ingrato, sono una ingrata”». Questa, ha detto, «sia la preghiera di oggi. E apriamo il cuore, e chiediamo allo Spirito Santo che ci spalanchi le porte del cuore, affinché Gesù possa entrare, affinché noi non solo udiamo Gesù, ma ascoltiamo e riceviamo il suo messaggio di salvezza e rendiamo grazie per tante cose buone che ha fatto per ognuno di noi».
(fonte: L'Osservatore Romano)

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