domenica 30 settembre 2018

"Un cuore che ascolta - lev shomea" - n. 44/2017-2018 (B) di Santino Coppolino

"Un cuore che ascolta - lev shomea"
Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)


Traccia di riflessione
sul Vangelo della domenica
di Santino Coppolino


Vangelo:  
Mc 9,38-43.45.47-48



Parola chiave della pagina del Vangelo di questa settimana è "NOME", che nella cultura ebraica rappresenta la realtà profonda e singolare della persona, l'individuo stesso, la sua essenza e la sua stessa presenza. Il termine (haShem) viene utilizzato anche per indicare Dio, onde evitare di pronunciarne il Nome (YHWH).  La prima parte del brano è un avvertimento che Gesù dà alla sua comunità perché eviti di esercitare forme autoritarie di monopolio (Ecclesiolatrìa), sapendo cogliere ed apprezzare la presenza vivificante dello Spirito Santo di Dio anche al di fuori della propria Comunità. Agire nel Nome di Gesù significa assumere i suoi stessi atteggiamenti, comportarsi come lui, fare le sue scelte, seguire il suo cammino. L'unico segno di autenticità e di appartenenza del cristiano al Regno di Dio è proprio il sigillo del Nome di Gesù e l'unico suo potere è quello di porsi dietro al suo Signore, unico Maestro, nel servizio ai fratelli. Il contrario del servizio, cioè dell'agire nel suo Nome, è lo scandalo, cioè la pietra di inciampo con cui facciamo cadere i fratelli sul cammino della sequela. Dietro le immagini della mano, del piede e dell'occhio, ai quali bisogna rinunciare, si nascondono le insormontabili barriere che impediscono la sequela come servizio ai fratelli. La mano, che invece di operare per il bene è usata per afferrare e possedere; il piede, che ci conduce per vie di perdizione, e l'occhio che ci fa desiderare ciò che non dovremmo. Se questi tre organi del corpo umano - buoni in se stessi - sono di impedimento al servizio, e perciò alla sequela, essi vanno necessariamente amputati. Diversamente non si entra nel Regno e la nostra sarà una vita degna della Geenna, il luogo della non realizzazione e del fallimento totale.