domenica 15 luglio 2018

UNA CHIESA AL FEMMINILE NEL NOME DI ROSALIA di Rosario Giuè

UNA CHIESA AL FEMMINILE 
NEL NOME DI ROSALIA  

di Rosario Giuè



“Palermo celebra ogni anno la sua patrona, Santa Rosalia. Chi è Rosalia? Le fonti storiche non ci dicono molto, quasi nulla. Tuttavia una cosa è certa: Rosalia, ormai un simbolo, è una donna. Ma la celebrazione di Rosalia avviene all’interno di un mondo religioso al maschile. La Chiesa che celebra Rosalia è una Chiesa strutturata al maschile. Non una struttura neutra, bensì patriarcale e maschilista. Non è vero che le strutture sono neutre. Esse sono frutto di processi storici. E nel nostro caso di una teologia malata che di fatto immagina ed elabora un “Dio con la barba” (espressione di una teologa). Avendo Dio la barba c’è chi è più uguale delle altre.

Rosalia è una discepola del Vangelo. Ma ciò non conta. Ciò che conta e che la rende tristemente diseguale è che lei è una donna. Una donna certo da esaltare, da elogiare, ma da tenere ai margini del potere. Una donna alla quale riconoscere lo specifico femminile, ma uno “specifico” femminile elaborato e imposto da un pensiero e da uno sguardo maschile. Per cui il maschio può dire a Rosalia: «Tu sei questa, tu sei così, perché te lo dico io. E a me lo dice il mio Dio, il mio Dio con la barba». Ma le donne nella Chiesa devono essere ancora le «fragole sulla torta»?

Molte donne non si allontanano dal Vangelo di Gesù ma da una Chiesa che insegue e annuncia ancora oggi un Dio misogino. Così continua ad accadere che, in nome di Dio, a Rosalia è lasciato il compito di pregare o di educare, mentre i maschi assicurano per sé il compito di predicare, di celebrare, di benedire e, più ancora, di decidere per tutti e tutte. Si tratta di una divisione di ruoli decisa dall’universo maschile che Rosalia non può nemmeno contestare «perché si è fatto sempre così. E se non ti conviene te ne vai». Ma la misoginia non è un evento frutto del caso o un evento atmosferico. E’ un peccato strutturale storico, una forma di razzismo, contro il quale Rosalia grida e dal quale vuole essere liberata.

E’ facile comprendere che in un contesto di dipendenza e/o di subordinazione possano verificarsi situazioni di maltrattamenti e di violenza sulle donne nella stessa Chiesa. Anche casi di molestie o violenza su suore. Una violenza taciuta dalla comunità per viltà, per salvare l’immagine, per un falso perdonismo, per meschini gioghi di forza o per colpevolizzazione. Rosalia vorrebbe essere ascoltata, dopo essere stata schiacciata e distrutta nella sua intimità, ma ha paura di parlare: ha paura di non essere creduta, di non essere presa sul serio, paura di ciò che si potrebbe pensare di lei. La violenza nella Chiesa è un mondo su quale finora solo in poche occasioni pubbliche è stato gettato lo sguardo. Si tratta di violenza ora fisica, ora psichica e, certo, spirituale. Bisognerebbe aiutare a far risalire la parola dal fondo della tomba, dal fondo della manipolazione e della dipendenza, come sta avvenendo nella società civile. Bisognerebbe aiutare Rosalia e le sue sorelle a parlare e a rinascere. E, ove necessario, a denunziare.
In ogni caso Rosalia, se deve stare in silenzio, non può essere contenta. Non se ne fa nulla dell’essere venerata. Se le donne continuano ad essere discriminate sulla base di pregiudizi che li confinano dentro la sfera dell’accudire, Rosalia non può tacere.

Se si continua a chiedere alle donne di accettare la legge “naturale” di un ruolo di “complementarietà” decisa dall’universo sessista e gerarchico, allora Rosalia non vuole più essere portata in trionfo. Se si continua a fare passare il messaggio che tutto ciò si fonda su ciò che ha detto e fatto Gesù: di fronte a tanta miopia allora Rosalia scende dal carro e se ne va in giro per le periferie esistenziali a solidarizzare con le sue sorelle escluse o sfruttate. Perché, fino a quando non si riconosce la comune dignità umana e battesimale, traendone le conseguenze, non c’è molto da essere festeggiata.

Sì, è vero: a tante donne tutto ciò non interessa. E allora? Interessa a molte altre. E se anche interessasse a una sola donna, se anche interessasse solo a una Santa Rosalia dei nostri tempi, sarebbe questo un serio motivo per non cambiare? Avanti, un pò di coraggio: ri-pensiamo Dio. Se gli togliamo la barba, perché Dio è Spirito, molte cose possono cambiare nella Chiesa. E così si renderà l’annuncio del Vangelo più credibile nella e per la società”.

(Pubblicato su "La Repubblica/Palermo" - venerdì 13 luglio 2018).