mercoledì 27 giugno 2018

Rapporto Istat: oltre 5 milioni di italiani in povertà assoluta e oltre 9 milioni in povertà relativa. - Ai poveri si devono attenzione, vicinanza e soprattutto rispetto: mai strumentalizzarli a fini politici.

Rapporto Istat: oltre 5 milioni di italiani in povertà assoluta. 
È record dal 2005

L’anno scorso si stimano in povertà assoluta 1 milione e 778mila famiglie residenti (6,9% del totale) rispetto a 1 milione e 619mila famiglie del 2016 (6,3% del totale). La percentuale corrisponde a 5 milioni e 58mila persone in povertà assoluta (8,4% del totale) rispetto a 4 milioni e 742mila persone del 2016 (7,9%). È il valore più alto registrato dall’Istat dall’inizio delle serie storiche nel 2005


Dal 2005, cioè da quando è iniziata la serie storica delle rilevazioni, la quota di poveri assoluti in Italia non era mai stata così elevata. Il rapporto diffuso dall’Istat per il 2017 stima un’incidenza del 6,9%, se si considerano le famiglie, dell’8,4%, se si guarda agli individui. Nel 2016 le quote erano rispettivamente del 6,3% e del 7,9%. In numeri e non in percentuali, vuol dire che lo scorso anno i poveri assoluti – cioè coloro che non possono acquisire beni e servizi essenziali per uno standard di vita minimamente accettabile – erano oltre 5 milioni (5 milioni e 58mila per la precisione) e le famiglie nella medesima condizione 1 milione e 778mila.

L’Istat valuta in ben due punti percentuali la parte di questo aumento dovuta alla crescita dell’inflazione. Evidentemente anche il lieve incremento dei prezzi che c’è stato (pur decisamente inferiore a quello che gli economisti considerano auspicabile in questa fase) ha finito per pesare in modo decisivo su chi già era in difficoltà e non è riuscito a salire sul treno della “ripresina”.

Ma i dati generali, per quanto eloquenti, non dicono tutto. L’aumento della povertà assoluta è stato più intenso nel già penalizzato Mezzogiorno: dall’8,5% del 2016 si è passati al 10,3%. E nella stessa area del Paese sono i grandi comuni, centro delle aree metropolitane, i più colpiti: da un anno all’altro l’incidenza della povertà assoluta è quasi raddoppiata (dal 5,8% al 10,1%). Soffrono particolarmente anche i comuni più piccoli, quelli al di sotto dei 50mila abitanti. Ma la crescita della povertà si fa sentire anche nei centri e nelle periferie delle aree metropolitane del Nord.

Nelle famiglie a fare la differenza è la presenza di minori e di anziani da assistere, ma soprattutto il numero dei figli: nei nuclei con almeno un figlio minore la quota dei poveri assoluti sale già al 10,5%, ma balza al 20,9% (uno su cinque) in quelli con tre o più figli. L’incidenza della povertà assoluta tra i minori è in lieve diminuzione (dal 12,5% al 12,1%) ma resta su valori molto elevati e investe un milione e 208 mila persone.

Se si prende in considerazione l’età della persona di riferimento della famiglia in termini di reddito, si conferma la maggiore protezione offerta dalle pensioni e, viceversa, l’impatto negativo dei problemi occupazionali. Il valore minimo (4,6%) si riscontra nelle famiglie in cui la persona di riferimento ha più di 64 anni, il massimo (9,6%) se tale persona ne ha meno di 35.


Un’altra variabile fondamentale per interpretare i dati dell’Istat è quella della nazionalità. Tra le famiglie di soli italiani, l’incidenza della povertà assoluta, sia pure in aumento (dal 4,4% al 5,1%), si colloca al di sotto del valore medio, in quelle di soli stranieri arriva al 29,2% (quasi una su tre), con una punta superiore al 40% nel Mezzogiorno.

L’Istat stima in aumento nel 2017 anche la povertà relativa. Una condizione che esprime in sé un forte disagio sociale, ma rappresenta anche un potenziale bacino di ulteriore incremento della povertà assoluta. La soglia di povertà relativa per una famiglia di due componenti – a titolo di esempio – è pari alla spesa media mensile pro-capite nel Paese, e nel 2017 è risultata di 1.085,22 euro (+2,2% rispetto al valore della soglia nel 2016, quando era pari a 1.061,35 euro). Le famiglie composte da due persone che hanno una spesa mensile pari o inferiore a tale valore – semplificando quelle che possono spendere in due quanto mediamente spende una persona sola – sono classificate come povere in termini relativi. La soglia, naturalmente, viene modulata in modo diverso a seconda di alcune variabili, dal numero dei componenti della famiglia all’area geografica di residenza.

Per quanto riguarda la condizione di povertà relativa nel 2017, dunque, il rapporto dell’Istat calcola 3 milioni 171mila le famiglie (con un’incidenza pari al 12,3%), per un totale di 9 milioni 368mila individui (15,6% dell’intera popolazione). Tra questi, 4 milioni 669mila donne (15,1%), 2 milioni e 156mila minori (21,5%) e circa un milione e 400mila anziani (10,5%).

Si registra quindi un significativo aumento dell’incidenza della povertà relativa tra le famiglie (era del 10,6% del 2016) e tra gli individui (era del 14 % due anni fa).

Il peggioramento è stato più deciso nel Mezzogiorno, dove si è passati dal 19,7% al 24,7%, per le famiglie, dal 23,5% al 28,2%, per gli individui. Nelle regioni meridionali, in sostanza, una famiglia su quattro è in povertà relativa.

Analogamente a quanto avviene per la povertà assoluta, l’incidenza della povertà relativa si mantiene elevata per le famiglie con 4 componenti (19,8%) e per quelle con 5 o più componenti (30,2%). In generale, si tratta per lo più di coppie con tre o più figli per le quali l’incidenza di povertà è pari al 27,1% a livello nazionale e al 37,2% nel Mezzogiorno. Nel Sud le famiglie di soli stranieri in povertà relativa arrivano al 59,6%, ma per questa tipologia di famiglie l’incidenza è nettamente più rilevante (34,5%) anche sul piano nazionale.

Mai strumentalizzare i poveri.
Inutili piatte risposte

di Francesco Riccardi


La ripresa economica non è bastata: le persone in povertà assoluta sono cresciute nel 2017 fino a superare i 5 milioni, triste record dal 2005. Non è stata una sorpresa, però. Semmai la conferma che nelle società moderne la crescita del Pil non è di per sé sufficiente a far emergere dalla miseria chi si ritrova ai margini perché non attrezzato – per grado di istruzione, età o condizione di provenienza – ad affrontare i sempre più veloci cambiamenti sociali e del lavoro.


La marea, quando anche si alza – come accaduto nel 2016 e nel 2017 con il Pil a +0,9 e +1,5% – non fa automaticamente galleggiare meglio tutte le barche. Anzi, i processi di ristrutturazione che si accompagnano alle fasi di ripresa, spesso finiscono per sommergere quelle più fragili. E così è successo lo scorso anno: i poveri assoluti sono aumentati in particolare per cinque categorie (spesso intersecate): gli abitanti del Mezzogiorno, i giovani, gli operai, gli stranieri e le famiglie con figli. Si tratta di gruppi sociali che più degli altri hanno sofferto le conseguenze della crisi, ma soprattutto che scontano una minore "copertura" in termini di welfare e opportunità. Basta considerare come l’incidenza della povertà assoluta sia inversamente proporzionale all'età: i bambini, soggetti non tutelati da adeguate politiche familiari, e i giovani, schiacciati dal precariato, registrano un tasso doppio (9,6%) rispetto a coloro che hanno più di 64 anni e per la maggior parte possono godere di una pensione (4,6%). È la riprova che per tutelare le fasce più deboli della popolazione occorrono misure specifiche. E un approccio di tipo multidimensionale perché, pur restando l’elemento fondamentale, non è più solo la mancanza di lavoro a determinare la caduta nella miseria, ma questa coinvolge anche famiglie in cui la persona di riferimento è occupata. A causa di salari troppo bassi, di rapporti discontinui o per il minor grado d’istruzione. Tanto che l’incidenza della povertà assoluta nelle famiglie con "persona di riferimento operaia" è quasi tripla rispetto ai nuclei con un pensionato e così pure per quelle con licenza elementare rispetto ai diplomati.

I dati Istat sono riferiti al 2017 e dunque non danno ancora conto degli effetti di una misura come il Reddito di inserimento, partita operativamente a gennaio 2018 e che solo da questa domenica assume un carattere pienamente universale, senza più essere rivolta a specifiche categorie di persone. Si può immaginare, però, sulla base dei primi dati del monitoraggio effettuato a marzo, che l’incidenza sul fenomeno sarà ancora limitata per almeno tre ragioni su cui ci siamo soffermati più volte in passato. La prima è che gli stanziamenti dedicati al Rei (2 miliardi di euro circa) non permettono di raggiungere neppure la metà dei 5 milioni di bisognosi; la seconda è che gli importi previsti sono troppo bassi (187 euro al mese per una persona); la terza che si sta ancora mettendo a punto la "macchina" dell’accompagnamento delle persone al di fuori della povertà.

Questi ben noti limiti, però, non devono essere l’alibi per buttare a mare quanto già fatto, quanto piuttosto lo stimolo, ora più urgente data l’emergenza della crescita delle povertà, per portare a compimento e potenziare l’intervento avviato. Il vicepremier Luigi Di Maio ieri ha rilanciato il progetto del Reddito di cittadinanza impegnandosi a renderlo operativo già dal prossimo anno. Le etichette – e le rivendicazioni politiche – per chi è in stato di bisogno contano davvero poco, anzi nulla. E dunque ben venga l’idea, come nel progetto dei Cinque stelle, di rendere assai più consistente il sussidio monetario ed estenderne il bacino dei beneficiari. A patto, però, di evitare alcuni errori fondamentali. Il primo è quello di puntare tutto e solo sul lavoro, la sua ricerca attraverso i Centri per l’impiego (Cpi). Occorre invece conservare un approccio appunto multidimensionale al problema, rafforzando non solo i Cpi ma tutti i servizi sociali di accompagnamento.

Il secondo errore è quello di avviare un mega intervento, insostenibile sul piano finanziario e distorcente delle retribuzioni e del mercato del lavoro. Il terzo: illudersi che basti la flat tax a far galleggiare meglio tutti. Non è così, anzi le diseguaglianze rischiano di aumentare. Il quarto errore, infine, sarebbe cedere alla tentazione leghista di escludere dal programma i residenti stranieri. I bisognosi non si distinguono per colore o per cittadinanza: non lo permettono le norme europee e italiane, come stabilito da diverse sentenze, non lo consente la nostra umanità. Ai poveri si devono attenzione, vicinanza e soprattutto rispetto: mai strumentalizzarli a fini politici.