sabato 5 maggio 2018

Bergoglio e il discernimento, le radici dei documenti papali di oggi

Bergoglio e il discernimento, le radici dei documenti papali di oggi

Nella “premessa” alle lettere di due antichi prepositi gesuiti, gli spunti per Evangelii gaudium e Amoris laetitia

Jorge Bergoglio

Nei momenti di tribolazione non si discute, si discerne. Nelle situazioni più difficili e più complesse, il grande rischio è la confusione delle idee. «La confusione si annida nel cuore: è l’andirivieni dei diversi spiriti. La verità o la menzogna, in astratto, non sono oggetto di discernimento. Invece lo è la confusione». Lo scriveva l’allora padre gesuita Jorge Mario Bergoglio nel 1987, in una breve prefazione a otto lettere di due prepositi generali della Compagnia di Gesù (“Las cartas de la tribulación”, Buenos Aires, Diego de Torres, 1988).

Nel quaderno numero 4029, in distribuzione da domani, “La Civiltà Cattolica” ripropone quella prefazione ormai introvabile. Preziosa non solo come curiosità storica, ma per la sua rilevanza dal punto di vista delle radici culturali di papa Francesco. Quando ci chiediamo da dove nascano le sue convinzioni a proposito del discernimento, è anche in testi come questo che dobbiamo andare a cercare.

A fianco un’immagine dell’originale della prefazione di Jorge Mario Bergoglio firmata nel 1987 “Las cartas de la tribulaciòn” custodita nell’Archivio dei gesuiti a Roma (Arsi) e ora tradotta per la prima volta in italiano nel prossimo numero de “La Civiltà Cattolica”


Siamo di fronte a una lunga e consolidata tradizione di pensiero che dagli Esercizi di Ignazio passa attraverso le riflessioni dei prepositi generali della Compagnia dei secoli scorsi e arriva fino al Papa argentino. E non a caso, la necessità di leggere i segni dei tempi – perifrasi accattivante del discernimento – è nel cuore di Humanae salutis, la Costituzione apostolica con cui Giovanni XXIII indice il Concilio. E poi in alcuni documenti chiavi del Vaticano II in cui il discernimento non solo diventa elemento strutturante dell’identità della Chiesa, ma anche “dovere permanente”, come si legge al n.4 di Gaudium et spes. Insomma, i tanti critici che si sono scagliati contro il Papa per la sua insistenza sul primato del discernimento, per i suoi inviti a formare le coscienze e «non a pretenderle di sostituirle» (Al, 37), dovrebbero ricordare che queste convinzioni non sono il pensiero isolato e stravagante di un uomo, la solida e coerente trama della tradizione.

E Bergoglio da lì attinge. Quando parla di discernimento in Evangelii gaudium oppure in Amoris laetitia, papa Francesco ricorda idealmente anche le lettere di due padri generali della Compagnia di Gesù, il fiorentino Lorenzo Ricci (eletto generale nel 1758) e l’olandese Jan Roothaan (eletto nel 1829). «A entrambi – scrive Bergoglio nella prefazione del 1987 – è toccato di guidare la Compagnia in tempi difficili, di persecuzione». Ricci si trovò a dover gestire le conseguenze della soppressione dei gesuiti decisa da papa Clemente XIV (il francescano conventuale Lorenzo Ganganelli) nel 1773. Roothaan fu costretto a confrontarsi con i contraccolpi culturali derivanti dell’illuminismo e del liberalismo negli anni della Compagnia di Gesù risorta dopo la soppressione. Entrambi, annota Bergoglio, si trovarono a vivere sconvolgenti momenti di tribolazione e finiscono per proporre ai gesuiti proprio una “dottrina della tribolazione” che è quella capacità di fermarsi a riflettere quando la confusione delle idee può rischiare di suggerire strategie inopportune, o irrigidimenti poco produttivi, o ancora di adeguarsi al comune modo di pensare.

Ecco perché queste lettere – si legge ancora nella prefazione – «sono un trattato di discernimento in epoca di confusione e di tribolazione». Il parallelo tra quanto Bergoglio scriveva allora e le riflessioni sul tema di cui ha intessuto le Esortazioni apostoliche dei nostri anni, è davvero significativo. Al n.50 di Evangelii gaudium parla per esempio del “discernimento evangelico”, che non è buon senso, o virtù della prudenza o semplice capacità di giudizio corretto, ma capacità di esercitare la propria libertà nel prendere decisioni per comprendere la volontà di Dio nella nostra vita, non in astratto, ma in quel momento specifico, in quel determinato stato di vita. E quando al n.301 di Amoris laetitia spiega, a proposito del cammino penitenziale a cui sono chiamati i divorziati risposati, che «i presbiteri hanno il compito di "accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo gli insegnamenti della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo», difficile non cogliere il collegamento con un altro passaggio della premessa del 1987, quando sottolinea che «è proprio del Superiore aiutare il discernimento». 

Sul nuovo numero di “Civiltà Cattolica”, il direttore padre Antonio Spadaro, introducendo il testo ritrovato – approfonditi nello stesso fascicolo della rivista anche da padre Diego Fares in un’analisi intitolata “Contro lo spirito di accanimento” – ricorda che le lettere dei due antichi prepositi generali hanno già costituito «la spina dorsale dell’omelia» pronunciata da papa Francesco nella Chiesa del Gesù a Roma per la celebrazione per il 200° anniversario della ricostituzione della Compagnia di Gesù (1814-2014). Conversando poi con i confratelli gesuiti, in occasione del viaggio in Cile, il 16 gennaio scorso, il Papa ha di nuovo ricordato queste lettere come «meraviglia di criteri di discernimento». E, ancora, gli stessi scritti sono serviti per la «Lettera ai vescovi del Cile», consegnata proprio un mese fa dopo gli episodi di pedofilia. Un nuovo “testo di tribolazione” che mostra quanto quelle parole continuino ad illuminare la strada del Papa e della Chiesa.