mercoledì 30 maggio 2018

29/30 maggio i vescovi africani in pellegrinaggio a Lampedusa

29/30 maggio 
i vescovi del Burkina Faso-Niger per due giorni in pellegrinaggio a Lampedusa per pregare Dio per le vittime delle migrazioni nel Mediterraneo e per ringraziare la popolazione dell'isola per l'accoglienza di tanti anni.


Preghiera e ringraziamento: con questi due obiettivi una rappresentanza dei vescovi della Conferenza episcopale del Burkina-Niger a margine della Visita ad Limina di questi giorni in Vaticano, ha deciso di trasferirsi a Lampedusa e, nell'isola siciliana, ricordare tutti i migranti vittime dei naufragi nel Mediterraneo.

Due giorni intensi di incontri, a partire da martedì pomeriggio, con la visita al centro di accoglienza di Lampedusa e al monumento Porta d'Europa, quindi in serata la Santa Messa nella Parrocchia dell'isola. Mercoledì invece i vescovi, accompagnati da rappresentanze istituzionali nazionali e locali, hanno reso omaggio alle migliaia di vittime dei naufragi con la sosta al cimitero e al Molo della Madonnina da cui partono tanti i soccorsi e al quale approdano altrettante vite in cerca di un futuro. Al termine della giornata quindi il lancio di una corona di fiori in mare a bordo di una motovedetta del Corpo della Capitaneria per rendere omaggio ai tanti che in quel mare hanno perso la vita
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A guidare la delegazione dei vescovi africani, il presidente della Conferenza episcopale Burkina-Niger, mons Paul Y. Ouedraogo, arcivescovo di Bobo-Dioulasso in Burkina Faso.

Si tratta della prima volta che dal continente africano una delegazione di alto livello - insieme ai vescovi c'è una rappresentanza del governo del Burkina Faso - si reca a Lampedusa per attirare l'attenzione sul dramma delle migrazioni, come ha spiegato il cardinale nel suo discorso, che riportiamo integralmente: 

"Qui sulla Porta d'Europa dell'isola di Lampedusa giungono i superstiti della grande traversata. Questo monumento ci ricorda tutti coloro che, per fuggire un destino incerto, hanno lasciato casa loro e si sono incamminati nel deserto fino al mare. 
Molti sono morti nel deserto, lontano dagli occhi di tutti. Non ne conosciamo il numero. Molti altri sono morti tra le acque del Mediterraneo. Di costoro conosciamo almeno una stima: dagli anni Novanta circa 34.000. Sono uomini, donne e bambini che giacciono sul fondo del mare senza aver toccato la riva. 
Infatti dalla fine degli anni Novanta questa isola è uno dei principali approdi dei tanti sbarchi provenienti dall’Africa, il nostro continente, ma anche dall’Oriente. 
Noi oggi siamo qui per commemorare tutti coloro che non ce l’hanno fatta, per ricordare le loro vite, davanti a questa porta d’Europa. 
I numerosi relitti sparsi per l`isola ricordano tante storie dolorose. Questa isola così vicina all'Africa è il primo approdo europeo, rappresenta la speranza, potremmo dire una “porta della vita”
Ci sono altri luoghi simili in Africa, dall’altra parte del mare, ma molto diversi. Ci sono altre “porte”: quelle del “non ritorno” da cui passavano gli schiavi che venivano portati via per sempre durante la tratta. Come a Gorée, come a Ouidah: porte senza speranza. Questa invece è una porta di speranza, di vita. 
Tanti responsabili europei si sono recati in questo luogo per riconoscere a Lampedusa il nome di grande porta dell`Europa aperta verso il Sud. La porta di una casa comune, un pezzo d`Italia che apre all’Europa. Qui Europa e Africa conoscono un nuovo incontro, di cui tanto si discute nella politica di oggi. Molti dicono in Europa che i migranti “sono troppi”, che l’Europa non ce la fa ad accogliere tutti. Ma anche in Africa molti responsabili si disinteressano della sorte di chi fugge e rischia la vita. 
Credo che nessun responsabile africano sia mai venuto qui a Lampedusa. Noi ci siamo anche per dire che la responsabilità di tante vite perdute e anche di quelle che sono arrivate, è anche africana. Non ci si può disinteressare di una folla così grande di persone che scappa perché pensa che non ci sia futuro nel proprio paese e lo va a cercare altrove. Siamo dunque qui per dimostrare il nostro interesse e la nostra presa di responsabilità. 
Dai due lati del mare ci si è troppo abituati alle morti in mare. Non ci si commuove più. Bisogna interrompere la catena di morti. L’Europa dei responsabili pensa a difendersi dai rifugiati; l’Africa dei responsabili chiude gli occhi e gira la testa dall’altra parte. Questo duplice atteggiamento di negazione non può continuare. 
Papa Francesco ha compiuto proprio qui il suo primo viaggio fuori Roma dopo la sua elezione. E’ stata una scelta particolare: recarsi in periferia, sull'estrema frontiera meridionale dell'Europa, verso Sud, a pregare per i caduti in mare. Ha gettato così il suo sguardo verso il grande Sud: le miserie, le guerre, il fondamentalismo ma anche la contraddizione tra grandi ricchezze e povertà. Lo ha fatto a partire dal dolore dei migranti, conseguente rispetto alla scelta di una Chiesa povera, amica dei poveri. 
Guardare ai poveri è premessa di uno sguardo universale. Da africani siamo venuti qui sui passi del Papa, per dire che in questo luogo, davanti a queste vite che cercano salvezza e a queste morti, deve potersi ricreare un nuovo spirito di convivenza tra Europa e Africa. 
Proprio in questo luogo può nascere una nuova solidarietà tra i due continenti, non basata solo sugli interessi economici o politici ma sul diritto alla vita. E in questa prospettiva come africani vogliamo anche noi prenderci la nostra parte di responsabilità: se tanta gente fugge dai propri paesi è perché in Africa non c’è ancora sufficiente democrazia, non c’è ancora giusta convivenza, non esiste ancora abbastanza uguaglianza che faccia posto a tutti. Lo testimoniamo noi del Burkina Faso dove recentemente c’è stato un cambiamento in senso più democratico. Ma ora è necessario anche lottare contro la corruzione e gli interessi occulti, e in questa lotta c’è bisogno dell’aiuto di tutti. 
Non posso terminare questo mio messaggio senza ringraziare i lampedusani e gli italiani che hanno salvato, soccorso e accolto così tanti africani e gente di altra provenienza. Un particolare ringraziamento alla Comunità di Sant’Egidio, alle chiese protestanti e alla chiesa cattolica italiane per aver creato i “corridoi umanitari” che permettono passaggi sicuri e senza rischio per i più vulnerabili. Sono una strada di speranza per l’avvenire. 
A loro e a voi lampedusani, siciliani e italiani la nostra riconoscenza: il vostro impegno di umanità sarà certamente ricordato per sempre. Rappresenta quella scintilla dell’umano che può salvarci tutti".