venerdì 20 aprile 2018

Visita Pastorale di Papa Francesco ad Alessano (Lecce) e a Molfetta (Bari) nel 25° anniversario della morte di S. E. Mons. Tonino Bello - seconda parte (cronaca, foto, testi e video)

VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AD ALESSANO (LECCE), NELLA DIOCESI DI UGENTO-SANTA MARIA DI LEUCA, E A MOLFETTA (BARI) NELLA DIOCESI DI MOLFETTA-RUVO-GIOVINAZZO-TERLIZZI, NEL 25.mo ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI S.E. MONS. TONINO BELLO 
- seconda parte (cronaca, foto, testi e video)
20 APRILE 2018


Papa Francesco è atterrato alle 11.05 a Molfetta con l'elicottero proveniente da Alessano per la seconda tappa della visita in terra di Puglia sulle orme della figura di don Tonino Bello. Decine di migliaia di fedeli lo hanno atteso in un clima di entusiasmo e preghiera fin dalle prime ore della prima mattina.

Il Pontefice è atterrato nel piazzale adiacente l’antico Duomo di Molfetta, di fronte all’Adriatico. Al suo arrivo è stato accolto dal vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, monsignor Domenico Cornacchia, e dal sindaco Tommaso Minervini.

Quindi con un cambio di programma dettato dal ritardo accumulato rispetto alla tabella di marcia, ha subito raggiunto il palco predisposto per la celebrazione. Il previsto giro in papamobile per salutare i fedeli presenti nelle banchine del Porto è stato infatti rinviato alla fine della Messa. Con lui concelebrano una trentina di vescovi provenienti dalla Puglia e da fuori regione.

Papa Francesco impugna il pastorale in legno di ulivo che fu di don Tonino Bello.






CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA
OMELIA DEL SANTO PADRE
Porto di Molfetta
Venerdì, 20 aprile 2018

Le Letture che abbiamo ascoltato presentano due elementi centrali per la vita cristiana: il Pane e la Parola.

Il Pane. Il pane è il cibo essenziale per vivere e Gesù nel Vangelo si offre a noi come Pane di vita, come a dirci: “di me non potete fare a meno”. E usa espressioni forti: “mangiate la mia carne e bevete il mio sangue” (cfr Gv 6,53). Che cosa significa? Che per la nostra vita è essenziale entrare in una relazione vitale, personale con Lui. Carne e sangue. L’Eucaristia è questo: non un bel rito, ma la comunione più intima, più concreta, più sorprendente che si possa immaginare con Dio: una comunione d’amore tanto reale che prende la forma del mangiare. La vita cristiana riparte ogni volta da qui, da questa mensa, dove Dio ci sazia d’amore. Senza di Lui, Pane di vita, ogni sforzo nella Chiesa è vano, come ricordava don Tonino Bello: «Non bastano le opere di carità, se manca la carità delle opere. Se manca l’amore da cui partono le opere, se manca la sorgente, se manca il punto di partenza che è l’Eucaristia, ogni impegno pastorale risulta solo una girandola di cose»[1].

Gesù nel Vangelo aggiunge: «Colui che mangia me vivrà per me» (v. 57). Come a dire: chi si nutre dell’Eucaristia assimila la stessa mentalità del Signore. Egli è Pane spezzato per noi e chi lo riceve diventa a sua volta pane spezzato, che non lievita d’orgoglio, ma si dona agli altri: smette di vivere per sé, per il proprio successo, per avere qualcosa o per diventare qualcuno, ma vive per Gesù e come Gesù, cioè per gli altri. Vivere per è il contrassegno di chi mangia questo Pane, il “marchio di fabbrica” del cristiano. Vivere per. Si potrebbe esporre come avviso fuori da ogni chiesa: “Dopo la Messa non si vive più per se stessi, ma per gli altri”. Sarebbe bello che in questa diocesi di Don Tonino Bello ci fosse questo avviso, alla porta delle chiese, perché sia letto da tutti: “Dopo la Messa non si vive più per se stessi, ma per gli altri”. Don Tonino ha vissuto così: tra voi è stato un Vescovo-servo, un Pastore fattosi popolo, che davanti al Tabernacolo imparava a farsi mangiare dalla gente. Sognava una Chiesa affamata di Gesù e intollerante ad ogni mondanità, una Chiesa che «sa scorgere il corpo di Cristo nei tabernacoli scomodi della miseria, della sofferenza, della solitudine»[2]. Perché, diceva, «l’Eucarestia non sopporta la sedentarietà» e senza alzarsi da tavola resta «un sacramento incompiuto»[3]. Possiamo chiederci: in me, questo Sacramento si realizza? Più concretamente: mi piace solo essere servito a tavola dal Signore o mi alzo per servire come il Signore? Dono nella vita quello che ricevo a Messa? E come Chiesa potremmo domandarci: dopo tante Comunioni, siamo diventati gente di comunione?

Il Pane di vita, il Pane spezzato è infatti anche Pane di pace. Don Tonino sosteneva che «la pace non viene quando uno si prende solo il suo pane e va a mangiarselo per conto suo. […] La pace è qualche cosa di più: è convivialità». È «mangiare il pane insieme con gli altri, senza separarsi, mettersi a tavola tra persone diverse», dove «l’altro è un volto da scoprire, da contemplare, da accarezzare»[4]. Perché i conflitti e tutte le guerre «trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti»[5]. E noi, che condividiamo questo Pane di unità e di pace, siamo chiamati ad amare ogni volto, a ricucire ogni strappo; ad essere, sempre e dovunque, costruttori di pace.

Insieme col Pane, la Parola. Il Vangelo riporta aspre discussioni attorno alle parole di Gesù: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?» (v. 52). C’è un’aria di disfattismo in queste parole. Tante nostre parole assomigliano a queste: come può il Vangelo risolvere i problemi del mondo? A che serve fare del bene in mezzo a tanto male? E così cadiamo nell’errore di quella gente, paralizzata dal discutere sulle parole di Gesù, anziché pronta ad accogliere il cambiamento di vita chiesto da Lui. Non capivano che la Parola di Gesù è per camminare nella vita, non per sedersi a parlare di ciò che va o non va. Don Tonino, proprio nel tempo di Pasqua, augurava di accogliere questa novità di vita, passando finalmente dalle parole ai fatti. Perciò esortava accoratamente chi non aveva il coraggio di cambiare: «gli specialisti della perplessità. I contabili pedanti dei pro e dei contro. I calcolatori guardinghi fino allo spasimo prima di muoversi»[6]. A Gesù non si risponde secondo i calcoli e le convenienze del momento; gli si risponde col “sì” di tutta la vita. Egli non cerca le nostre riflessioni, ma la nostra conversione. Punta al cuore.

È la stessa Parola di Dio a suggerirlo. Nella prima Lettura, Gesù risorto si rivolge a Saulo e non gli propone sottili ragionamenti, ma gli chiede di mettere in gioco la vita. Gli dice: «Alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare» (At 9,6). Anzitutto: «Alzati». La prima cosa da evitare è rimanere a terra, subire la vita, restare attanagliati dalla paura. Quante volte don Tonino ripeteva: “In piedi!”, perché «davanti al Risorto non è lecito stare se non in piedi»[7]. Rialzarsi sempre, guardare in alto, perché l’apostolo di Gesù non può vivacchiare di piccole soddisfazioni.

Il Signore poi dice a Saulo: «Entra in città». Anche a ciascuno di noi dice: “Va’, non rimanere chiuso nei tuoi spazi rassicuranti, rischia!”. “Rischia!”. La vita cristiana va investita per Gesù e spesa per gli altri. Dopo aver incontrato il Risorto non si può attendere, non si può rimandare; bisogna andare, uscire, nonostante tutti i problemi e le incertezze. Vediamo ad esempio Saulo che, dopo aver parlato con Gesù, sebbene cieco, si alza e va in città. Vediamo Anania che, sebbene pauroso e titubante, dice: «Eccomi, Signore!» (v. 10) e subito va da Saulo. Siamo chiamati tutti, in qualsiasi situazione ci troviamo, a essere portatori di speranza pasquale, “cirenei della gioia”, come diceva don Tonino; servitori del mondo, ma da risorti, non da impiegati. Senza mai contristarci, senza mai rassegnarci. È bello essere “corrieri di speranza”, distributori semplici e gioiosi dell’alleluia pasquale.

Infine Gesù dice a Saulo: «Ti sarà detto ciò che devi fare». Saulo, uomo deciso e affermato, tace e va, docile alla Parola di Gesù. Accetta di obbedire, diventa paziente, capisce che la sua vita non dipende più da lui. Impara l’umiltà. Perché umile non vuol dire timido o dimesso, ma docile a Dio e vuoto di sé. Allora anche le umiliazioni, come quella provata da Saulo per terra sulla via di Damasco, diventano provvidenziali, perché spogliano della presunzione e permettono a Dio di rialzarci. E la Parola di Dio fa così: libera, rialza, fa andare avanti, umili e coraggiosi al tempo stesso. Non fa di noi dei protagonisti affermati e campioni della propria bravura, no, ma dei testimoni genuini di Gesù, morto e risorto, nel mondo.

Pane e Parola. Cari fratelli e sorelle, ad ogni Messa ci nutriamo del Pane di vita e della Parola che salva: viviamo ciò che celebriamo! Così, come don Tonino, saremo sorgenti di speranza, di gioia e di pace.

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“... Se oggi don Tonino fosse con noi, avrebbe appena un anno in più di Lei, Santo Padre, e come sarebbe felice di ascoltarla e di vedere tradotto, nei suoi gesti, il discorso sulla «Chiesa del grembiule»”. 

Lo ha esclamato alla fine della celebrazione mons. Domenico Cornacchia, vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, ringraziando il Papa per la sua presenza nella diocesi in cui don Tonino Bello è stato vescovo per poco più di un decennio, e dove è morto 25 anni fa.

Venticinque anni fa, proprio in questo giorno, calava sulla nostra città un velo di profonda mestizia per la prematura morte del pastore da tutti amato, stimato e ammirato. Per le strade c’era un grande silenzio. Tutti erano in preghiera per accompagnare il trapasso del Vescovo che profumava di popolo e che veniva acclamato già santo.
Oggi l’atmosfera è diversa. Si respira aria di esultanza perché sentiamo che don Tonino è vicino a noi e con noi glorifica il Cristo buon Pastore, che egli – ne siamo certi - ormai contempla direttamente.
Don Tonino non ci ha mai lasciati. Egli, che era per tutti il santo «della porta accanto» (GE 7), ora è più che mai vivo nel cuore della nostra gente”... 

Leggi il testo integrale del discorso di S.E. Mons. Domenico Cornacchia, Vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, al Santo Padre


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