lunedì 12 marzo 2018

L’ANZIANO ELI E IL GIOVANE SAMUELE Aurelio Antista, carmelitano

L’ANZIANO ELI E IL GIOVANE SAMUELE
a cura di Aurelio Antista,
carmelitano

P. Aurelio Antista
(foto di repertorio)

Secondo dei 
MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2018
"Trasmettere è generare 
Il compito degli adulti verso le nuove generazioni"
promossi 
dalla Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto

7 febbraio 2018





Samuele è uno dei personaggi più singolari e determinanti del Primo Testamento perché si colloca all’origine di due istituzioni fondamentali di Israele: il Profetismo e la Monarchia.
Samuele vive in un tempo di crisi e di incertezza, quando il passato non è ancora tramontato e il nuovo, il futuro non lo si intravede ancora con chiarezza. Questo periodo di transizione richiede la presenza e l’azione di una personalità carismatica e ricca come quella di Samuele, appunto.
Egli è una figura complessa e multiforme: citata 123 volte nell’AT e 3 volte nel NT, riveste ruoli diversi: Sacerdote (1Sam 7,9), Giudice (1Sam 7,15), e soprattutto Profeta. Quest’ultima funzione gli si attacca addosso come un nome proprio, così da rendere familiare a tutto il popolo il titolo Nabì Samuel, il Profeta Samuele. E’ il profeta più ascoltato nella storia di Israele. In questa molteplicità di ruoli Samuele mostra una personalità matura ed equilibrata. E questo perché egli è “uomo di Dio”. Più tardi, infatti, nel libro del Siracide, Samuele è chiamato “L’amato dal Signore” (Sir 46,3).

1.  Samuele: un figlio domandato e donato
Cerchiamo, allora, di conoscere da vicino quest’uomo maturo, saggio, amato dal Signore di nome Samuele. Come spesso avviene nella tradizione biblica, all’origine di personaggi famosi e illuminati, c’è un intervento diretto di Dio: ad esempio, il dono della maternità ad una donna sterile. E’, appunto, il caso di Anna, madre di Samuele.
Anna è moglie di Elkana un uomo che ha due mogli. L’altra si chiama Peninna. Anna vive con dolore la sua condizione anche perché è sterile, e in più si sente frustrata perché incapace di competere con la rivale, la quale ha figli e figlie e non manca di umiliarla a motivo della sua sterilità. Ogni anno Elkana con tutta la famiglia si reca al Tempio di Silo dove c’è il sacerdote Eli e i suoi figli Cofni e Pincas. In uno di questi pellegrinaggi Anna si prostra alla presenza del Signore e lo prega con intensità; gli chiede il dono di un figlio con questo voto: “Signore, se darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò al Signore tutti i giorni della sua vita” (1Sam 1,10-11). Anna prega sottovoce muovendo solo le labbra. Eli, che la osserva da lontano, ritiene che sia ubriaca, le si avvicina e la rimprovera: “Fino a quando rimarrai ubriaca? Liberati dal vino che hai bevuto”. Ma Anna gli risponde: “Io sono una donna affranta e non ho bevuto vino; sto solo sfogandomi davanti al Signore”. Ricevuta la spiegazione della donna, Eli le dice una parola di consolazione e di speranza: “Va’ in pace e il Dio di Israele ascolti la domanda che gli hai fatto”. “Possa la tua serva trovare grazia ai tuoi occhi”, gli risponde la donna.
Anna è molto credente. La sua sarà, magari, una religiosità popolare che si esprime nel voto; però ha il senso profondo di Dio come di colui che è al di là di tutto e può tutto, e a lui si affida con abbandono totale. Con fede, appunto.
Eli mostra di essere un sacerdote maggiormente preoccupato di assicurare il buon ordine nel Tempio, che di star vicino alla gente e di comprenderne i problemi e le esigenze. Quando vede Anna comportarsi in quel modo, invece di accertarsi di ciò che sta accadendo, la rimprovera. Tuttavia Eli è un uomo la cui parola è determinante; infatti, la fede di Anna è tanto grande che, quando il sacerdote le dice di andare in pace, si sente riempire il cuore di serenità: “Se ne andò per la sua strada, mangiò e il suo volto non fu più come prima”. La sua certezza di essere esaudita dal Signore è stata confermata dalle parole del sacerdote.
Nel prosieguo del racconto è detto che “tornato a casa Elkana si unì a sua moglie e il Signore si ricordò di lei. Così al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele. Perché –diceva- dal Signore l’ho impetrato” (1,19-20). Per alcuni anni la madre cresce ed educa il figlio; poi, dopo averlo svezzato, lo porta al Santuario di Silo lo affida al sacerdote Eli dicendogli: “Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho chiesto. Perciò anch’io lo dono al Signore. Per tutti i giorni della sua vita egli è ceduto al Signore” (1,27-28).
Per ben 4 volte il testo fa riferimento allo “svezzamento” del bambino. “L’essere svezzato”, nel linguaggio biblico indica l’età e la condizione di uno che si apre alla vita ed è in grado di assumersi delle responsabilità. Ovviamente aiutato da una guida, da qualcuno che lo accompagni.
Samuele diventa il segno della nuova presenza di Dio in mezzo al suo popolo: infatti, egli viene “chiesto” al Signore perché possa essere “donato” al Signore. L’autore sacro ripete più volte il verbo donare. Samuele, quindi, è “frutto” del dono reciproco che si fanno l’uno all’altra il Signore e Anna; ma questo riguarda anche il popolo di cui Dio è il Signore. La scena della “presentazione” lo evidenzia in modo chiaro: “Per tutti i giorni della sua vita, egli è ceduto al Signore” (1,28) e così “il fanciullo rimase a servire il Signore” (2,11). Si intuisce, quindi, che Samuele non solo colma il bisogno di maternità di Anna, ma anche l’esigenza che c’è in Israele di un profeta che trasmetta al popolo la parola del Signore.
La crescita e la formazione di Samuele avviene nel Tempio sotto la guida di questo anziano sacerdote il quale trasmette al giovane la fede nel Signore e le tradizioni dei Padri.

2. Una voce nella notte
Fermiamo la nostra attenzione sul cap. 3 del primo libro di Samuele che contiene il racconto del suo incontro con il Signore, la missione che da lui riceve e il ruolo di guida e di discernimento di Eli.
Ascoltiamo la pagina di 1 Sam 3, 1-21.
E’ un testo che cattura l’attenzione di chi lo legge o lo ascolta. Un testo che si gusta già al primo contatto per la sua semplicità e il chiaro svolgimento. 
In apertura ci viene offerto un quadro deprimente che descrive la realtà: “La parola del Signore era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti”. Il Signore tace, non fa sentire la sua voce perché non c’è chi lo ascolta: né il popolo, né i custodi primari dell’Alleanza: i sacerdoti. Il popolo è distratto perché coltiva altri interessi e perché impegnato in lotte intestine e divisioni tra le tribù; mentre i sacerdoti Cofni e Pincas, figli di Eli, “erano uomini perversi; non riconoscevano il Signore né le usanze dei sacerdoti nei confronti del popolo” (2,12). Ad esempio: nei sacrifici prendevano dalla pentola, con un forchettone, quella parte di carne che non spetta a loro (cf. 2,12-14). Ma facevano anche di peggio: “Essi giacevano con donne che prestavano servizio all’ingresso della tenda del convegno” (2,22). L’anziano padre li rimprovera ripetutamente ma senza la necessaria determinazione e autorevolezza. Ed essi non lo ascoltano. Come dire che i figli di Eli sono sacerdoti immorali e lontani dal popolo; invece di aiutarlo a onorare il Signore, danno cattivo esempio e sfruttano la gente che si reca al Tempio per offrire i sacrifici.
Le visioni non erano frequenti”, come dire che manca nel popolo e in chi lo guida una visione di futuro illuminato dalla Parola di Dio; manca un progetto di vita per il quale spendersi.
In questo contesto di sterilità morale, spirituale e sociale, e di povertà di relazioni umane, il fanciullo Samuele è affidato alle cure e alla formazione di Eli. Samuele è addetto al servizio del Tempio nelle vesti di “ministrante” o “chierichetto”, diremmo oggi; e lo fa con dedizione e diligenza.
Il Tempio di Silo custodisce l’Arca del Signore, segno quasi sacramentale della presenza di Dio in mezzo al popolo. Il giovane vivendo nel Tempio ha quindi occasione di stare particolarmente vicino a Dio, ma senza avere esperienza diretta di lui. Vale anche per Samuele l’affermazione che “in quel tempo la parola del Signore era rara, le visioni non erano frequenti”.
Ma proprio in questa situazione di buio e di sterilità, tempo di decadenza religiosa e morale, avviene qualcosa di nuovo e di inatteso: il Signore prende l’iniziativa per rivelarsi al giovinetto e, tramite lui, a tutto il popolo. E’ notte, Eli riposa nella sua stanza. Anche Samuele è coricato al suo posto. Il Signore lo chiama per nome: “Samuele”. Il ragazzo prontamente risponde “eccomi”, poi si alza e corre da Eli e gli dice: “Mi hai chiamato, eccomi!” Il sacerdote, a sua volta, lo rassicura: “Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire”. La scena si ripete allo stesso modo per tre volte. Questo fatto si presta a qualche sottolineatura: da parte di Dio, la paziente attesa del ritmo di crescita e di apertura del giovane; da parte di Samuele, la prontezza all’ascolto e la piena disponibilità all’obbedienza espresse in quell’eccomi ripetuto più volte; da parte dell’anziano sacerdote, l’incapacità, sulle prime, di cogliere l’azione di Dio e, in un secondo tempo, il suo discernimento dell’intervento divino e l’apertura a coglierne il messaggio.
Da qui il suggerimento a Samuele, circa la risposta da dare alla voce se lo chiamerà ancora: “Parla, Signore perché il tuo servo ti ascolta”. Consegnando questa risposta, Eli fa di Samuele “un discepolo di Dio”, e non più “un discepolo proprio”. Quando il Signore lo chiama per la quarta volta, Samuele prontamente risponde: “Parla perché il tuo servo ti ascolta”. E così avviene l’incontro a tu per tu con il Signore, un incontro, una esperienza che cambia totalmente la vita di Samuele e lo rende profeta e portavoce di Dio in mezzo al popolo.
Singolare la forza di questa espressione: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”. Samuele la riceve da Eli che, a sua volta, la riceve dalla tradizione religiosa di Israele. “Parla”: è Dio colui che parla; “il tuo servo ti ascolta”: l’uomo è anzitutto ascolto e accoglienza. In una brevissima frase è descritta tutta l’antropologia teologica della Bibbia: l’uomo è ascolto di una parola che Dio pronuncia.
Così, il giovane Samuele passa da una esistenza buona, di servizio, ad una coscienza profonda del mistero dell’uomo e di Dio: l’uomo è accoglienza, Dio è iniziativa, parola, comunicazione, dono di sé, amore.
Il senso della Parola di Dio che Samuele acquisisce con il passare del tempo, diventa per lui qualcosa di connaturale: “In seguito il Signore si mostrò altre volte a Samuele, dopo che gli si era rivelato in Silo”  (3,21). Pertanto, a partire da una religiosità devozionistica, Samuele giunge alla familiarità col mistero di Dio. E’ il cammino attraverso il quale si va formando in lui “il profeta”, un cammino di bontà, di onestà sincera, di ascolto, di accoglienza della Parola al cui servizio pone tutta la sua vita e le sue energie.

3.  Il contenuto della rivelazione
Torniamo per un attimo al dialogo notturno tra il Signore e il giovane Samuele. Il contenuto della rivelazione di Dio ci appare deludente oltre che amaro. Ci saremmo aspettati un oracolo riguardante il suo futuro di profeta, la promessa di grandi opere che avrebbe compiuto nel tempo, o altro di particolarmente significativo. E invece no! Il contenuto di quanto gli viene rivelato in quella notte, riguarda la fine del santuario di Silo e della famiglia di Eli. Una notizia che proprio lui, l’allievo, il discepolo deve comunicare al maestro. Un compito davvero ingrato e difficile da assolvere, per Samuele.
“Che cosa significa per la vita di Samuele” questo annuncio difficile da dare?, si chiede il card. Martini nel suo commento di questa pagina biblica: “A me sembra che sia importante. Il ragazzo ha vissuto fino a quel momento quasi sotto il timore di Eli, nella minorità, nell’obbedienza e forse nella paura di esprimersi. Il Signore gli chiede di prendere posizione come adulto, di saper dire delle cose spiacevoli.
E’ una tappa determinante per l’esistenza di una persona passare da una condizione passiva ad una condizione nella quale si devono affrontare situazioni difficili uscendo da un ordinamento ricevuto. E in questo consiste proprio la missione profetica: non accontentarsi di ciò che pensa l’opinione comune, ma avere la libertà e il coraggio di pronunciare, quando è necessario, parole diverse e scomode. Naturalmente occorre una grazia particolare di Dio, ed è la grazia con la quale inizia la missione profetica di Samuele!” (C.M. Martini, Samuele, Profeta religioso e civile, p. 47).
Il mattino dopo, Eli chiede a Samuele: “Che discorso ti ha fatto il Signore? Non tenermi nascosto nulla”. Dopo un attimo di esitazione Samuele gli racconta tutta la verità. La reazione di Eli alla rivelazione manifesta la sua grandezza d’animo e la serena obbedienza a Dio: “E’ il Signore! , commenta, faccia ciò che a lui pare bene”(3,18).
E così avviene la “consegna”: con la poca autorità che gli rimane, Eli fa l’investitura ufficiale di Samuele quale “profeta del Signore”, e lo proclama davanti a tutto il popolo, “da Dan fino a Bersabea”, cioè dal nord al sud del paese. “Samuele acquistò autorità perché il Signore era con lui, né  lasciò andare a vuoto una sola delle sue parola (3,19).

4.  Quale trasmissione da Eli a Samuele?
Alla luce di questi eventi, mi sembra opportuno delineare meglio la figura e il magistero di Eli nei confronti del giovane Samuele lungo il cammino della sua formazione.
Eli ci viene presentato come un sacerdote tradizionale: uomo del culto, dell’osservanza, custode e gestore del Tempio e delle sue liturgie. La sua attenzione è rivolta al passato: le solite cerimonie, i soliti sacrifici rituali, tutto scontato secondo il detto “Si è fatto sempre cosi!”. La sua preghiera è formale e, quindi, sterile; infatti, non vive un’esperienza di intimità con il Signore e non è abituato a meditare e a gustare la Parola di Dio da cui attingere la luce necessaria che illumina il cammino della vita.
Certo, nel contesto del servizio liturgico Eli proclama e spiega la Parola, ma non crede realmente alla sua trascendenza, né alla sua aderenza alla storia e alla vita concreta del popolo e del singolo credente.
Però Eli è un uomo onesto e integro, fedele alle osservanze della Legge e aperto ad accogliere il divino, anche se personalmente non ha mai fatto l’esperienza di un vero incontro con Dio. Egli rimane chiuso in un orizzonte che sa guardare solo al passato, incapace di aprirsi al futuro e alle novità che Dio prepara e propone a tutti con la sua Parola e con gli eventi della storia.
Eppure, Eli è preoccupato di tenere accesa la lampada nel Tempio: “La lampada di Dio non era spenta”. Questa simboleggia la presenza del Signore in mezzo al suo popolo e la fede del popolo nel Dio dell’Alleanza. La lampada del Tempio, seppure smorta e flebile, tuttavia resiste e rimane accesa.
L’autore sacro ci ha detto che al tempo dei fatti, quando Samuele viene affidato alle sue cure, Eli è molto anziano, “i suoi occhi cominciavano a indebolirsi e non riusciva più a vedere” (3,2 ). La sua miopia non è solo fisica ma soprattutto spirituale; tale condizione è determinata sia dall’età avanzata, e ancor più dalla grande amarezza che gli procurano i figli Cofni e Pincas, i quali con i loro comportamenti scorretti disonorano il sacerdozio e la dignità del loro ministero al servizio del popolo di Dio. Eli, quindi, è un uomo spiritualmente depresso, ma anche deluso e impotente di fronte alla situazione di degrado morale che si è venuto a creare nella sua famiglia e nel Tempio. L’oscurità dei suoi occhi è riflesso del vuoto di senso che ha assunto la sua vita.
L’arrivo e l’affidamento di Samuele alla sua guida cambia radicalmente la situazione nella vita di Eli: la prima cosa che risalta con evidenza ai suoi occhi è il contrasto tra l’atteggiamento docile e disponibile del giovane sempre pronto a obbedire, a confronto con gli scandali dei figli nell’esercizio del loro ministero di sacerdoti. Questi comportamenti così distanti tra loro, per un verso accrescono in Eli il dolore e il rammarico per il suo fallimento di padre, per altro verso gli procurano gioia e soddisfazione per la crescita in bontà di Samuele. Si affeziona a lui in modo viscerale, tanto da chiamarlo “figlio mio”: “Torna a dormire figlio mio” (3,6). Questa presenza è per Eli una sfida a ritrovare in sé nuova energia vitale e gli restituisce la capacità di essere padre, educatore e maestro.
L’evento più significativo in tal senso è, ovviamente, il discernimento della chiamata del Signore. Questa avviene nella notte, dice il testo. L’indicazione non è solo meteorologica, ma indica quel tempo di oscurità, quella situazione storica priva di luce e di prospettive per il futuro.
La voce di Dio, quella notte, sveglia Samuele e apre gli occhi a Eli. Il giovane sente una voce che sussurra il suo nome: “Samuele!” Pronto e disponibile, come sempre, egli balza in piedi e corre da Eli: “Mi hai chiamato, eccomi!” Questi gli risponde: “Non ti ho chiamato, torna dormire”. Questo perché Eli fino a questo momento non ha esercitato una vera paternità spirituale verso Samuele che lo introduca nell’esperienza di Dio. La cosa singolare è che la scena si ripete – sempre uguale – per ben tre volte. E, puntualmente, Samuele attribuisce la chiamata ad Eli e da lui si reca. Tale ripetizione esprime la lenta gradualità con cui Eli comprende ciò che sta avvenendo. E da parte sua, Samuele, con il suo chiedere martellante: “Mi hai chiamato, eccomi!” contribuisce a risvegliare in Eli la responsabilità di padre spirituale nei suoi confronti e il compito essenziale dell’educazione all’ascolto della Parola di Dio. Paradossalmente, Samuele, in questo frangente si comporta da “profeta” nei confronti di Eli. E’ “il figlio” che stimola “il padre”!
Finalmente Eli comprende che quella “voce” è il Signore. E’ lui che sta agendo. E suggerisce al ragazzo di non cercare lui, ma il Signore: “Vattene a dormire e, se ti chiamerà ancora, rispondi: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”. Queste parole esprimono l’esercizio di una paternità finalmente non centrata su di sé, ma orientata verso Dio.
In conclusione, il sacerdote Eli ci appare una personalità in chiaro e oscuro, con zone di ombre e di luci. Egli è un tradizionalista dagli occhi quasi spenti, rivolto al passato e incapace di intravedere o sognare nuovi orizzonti per il futuro della sua famiglia e del popolo, perché è incapace di un vero ascolto della Parola di Dio e di ricercare una profonda intimità con il Signore.
Inoltre, Eli si porta addosso tutto il peso del fallimento nel suo ruolo di padre, perché incapace di autorevolezza e di correzione nei confronti dei figli che hanno intrapreso cammini devianti.
Ma, al tempo stesso, Eli è un uomo onesto e corretto, un sacerdote pio e devoto, osservante della Legge e delle tradizioni dei padri. Questi valori egli li annuncia e li testimonia al giovane Samuele con la parola e con l’esempio di vita. E quando, nella notte, Samuele si sente chiamare dalla voce, Eli, anche se non immediatamente, riconosce l’opera di Dio ed esercita la sua paternità spirituale invitandolo a porsi in ascolto di quanto il Signore gli rivela. Da quel momento, Eli accredita Samuele davanti a tutto il popolo quale “Profeta” perché faccia giungere a tutto Israele la Parola del Signore.

La storia del rapporto tra Eli e Samuele, in definitiva, ci offre un messaggio sempre valido e attuale: anche da un ministro di Dio non sempre all’altezza del suo compito educativo può venire a noi un raggio di luce e una testimonianza portatrice di vita e di futuro.
Come pure: una comunità familiare o ecclesiale, per certi versi inadeguata e zoppicante, può rivelarsi uno strumento autentico per incontrare ancora oggi il Signore della vita.
Questo avviene se c’è un giovane che, facendo domande profonde e scomode, risveglia nell’adulto l’urgenza e la responsabilità dell’esercizio di una paternità autentica.