sabato 27 gennaio 2018

Il Giorno della memoria e i giorni del presente di Pasquale Pugliese e riflessioni di Massimo Recalcati, Gabriella Caramore e Daniele Novara

Il Giorno della memoria e i giorni del presente 
di Pasquale Pugliese

Sono stato ad Auschwitz nell’agosto del 1990. Non c’erano ancora i Viaggi della memoria ne’ il Giorno della memoria (che sarà istituito dalle Nazioni Unite solo nel 2005), il muro di Berlino era stato abbattuto nel novembre dell’anno precedente, Tadeusz Mozowiecki era stato nominato da pochi mesi primo capo del governo polacco non comunista ed io ero uno studente di filosofia dell’Università di Messina. Con un gruppo di amici e compagni, con i quali avevamo partecipato durante qull’anno accademico al movimento studentesco della Pantera – approfittando di una convenzione tra l’università siciliana e le università polacche, che ci consentiva di dormire nelle sovietiche case dello studente – decidemmo di fare un viaggio estivo nella Polonia che muoveva i primissimi passi nella democrazia post-sovietica e nell’economia capitalista. La attraversammo per un mese da sud a nord, da Cracovia a Danzica, in treno con un biglietto interail. E, naturalmente, facemmo tappa anche al campo di sterminio che rese noto al mondo il paese di Oswiecim, Auschwitz in tedesco.

Il campo di concentramento e sterminio di Auschwitz – il più grande di tutti i lager nazisti, con i suoi campi satelliti – fu liberato dagli increduli soldati dall’Armata Rossa il 27 gennaio del 1945. Ad essi si palesò, per la prima volta, un’autentica fabbrica della tortura e della morte. L’assurda messa in pratica tecnologica della follia della “soluzione finale”, dell’annientamento di un popolo, lo sterminio degli ebrei. E, insieme ad essi, di tutti coloro che il regime considerava alieni: omosessuali, zingari, testimoni di geova, antifascisti e dissidenti. Si calcola che nei lager nazisti morirono circa 17 milioni di persone, tra i quali 6 milioni di religione ebraica.

Un genocidio. Ma non l’unico, ne’ il primo, ne’ quello che ha realizzato il maggior numero di morti nella storia degli stermini dei popoli. La modernità occidentale si fonda su un altro genocidio, ormai praticamente dimenticato: quello dei nativi americani, 80 milioni di persone sterminate dalle armi e dalle malattie dei conquistatori europei, a partire dal 1492. E poi ci furono gli stermini e i campi di concentramento della colonizzazione bianca in Africa, il genocidio degli armeni perpetrato dall’impero ottomano… e via elencando, fino ai giorni nostri. Eppure, i lager nazisti sono stati la più scientifica ed efficace organizzazione per la distruzione di massa delle persone e della loro umanità: la pianificazione della fabbrica della disumanità, l’esplorazione di tutte le possibilità della riduzione delle persone a cosa, il paradigma del male. Questa è l’impressione che ne ebbi anch’io, visitando Auschwitz, senza aver ancora letto Primo Levi.

Tuttavia, il Giorno della memoria oggi non può essere un rito collettivo di purificazione da un male assoluto, ma ormai passato; non può riguardare solo la memoria di una immane tragedia storica. Nei giorni del presente rivivono elementi di quel male e di quella storia contro i quali bisogna ancora lottare, qui ed ora. Non solo il ritorno anche in Italia della mitologia della razza, come elemento del “confronto” politico, a 80 anni dalle leggi razziali fasciste; non solo il ritorno in Europa di organizzazioni che sempre più esplicitamente hanno il nazismo come riferimento ideologico, mietendo consenso tra i più giovani; ma anche le guerre, la corsa agli armamenti, le pulizie etniche, i lager che in gran parte del pianeta citano tragicamente – direttamente o indirettamente – quell’orrore infinito. Dalla Siria al Myanmar, dalla Palestina alla Libia, dal Congo all’Eritrea, dai naufragi dei disperati nel Mediterraneo ai profughi congelati lungo le rotte dei Balcani: questi giorni del nostro presente saranno i giorni della memoria dei nostri figli domani. Ed anche alla nostra generazione sarà chiesto – com’è stato fatto con chi si è girato dall’altra parte dei fumi neri dei camini dei lager – ma voi dove eravate?

Infine, il presidente Mattarella ha fatto bene a ricordarlo in questi giorni: razzismo, guerra e retorica bellicista non furono episodici ma costitutivi del fascismo. Così come del nazismo. Per questo oggi una coerente politica antifascista non può che fondarsi sulle categorie opposte dell’antirazzismo, dell’antimilitarismo e dell’educazione alla pace ed alla convivenza. Per costruire una società solidale e nonviolenta, ossia culturalmente e strutturalmente liberata dagli elementi profondi di fascismo. Questo i costituenti italiani lo avevano chiaro. Le forze politiche, che hanno governato e che si candidano a governare il Paese, molto meno.
(fonte: Vita 27/01/2018)

Leggi il testo integrale dell'intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla celebrazione del Giorno della memoria al Quirinale (25/01/2018)



UNA GIORNATA DELLA MEMORIA
 CHE NON SIA SOLO PASSATO
di Massimo Recalcati
Proviamo a distinguere tre versioni possibili della memoria. La prima è quella della memoria-archivio. Essa appare come un contenitore dove alloggiano i nostri ricordi.
È la memoria-baule, la memoria-soffitta o, più sofisticatamente, la memoria come notes magico cerebrale che trattiene le tracce del nostro passato. Questa memoria è archeologica: definisce il luogo dove il passato si è depositato, non è più tra noi, è diventato nulla, si è dissolto, può esistere solo nell' immagine vivida o illanguidita del ricordo. Lo schema di questa memoria è quello topologicamente ingenuo di un contenitore (memoria) e del suo contenuto (ricordi). Poi Freud ha mostrato che la memoria non trattiene solo cose già trascorse, passate, morte, ma cose vive che insistono nell' affacciarsi prepotentemente alla nostra mente. Si tratta della seconda versione della memoria: la memoria spettrale. Il suo modello è quello del trauma: quello che è accaduto nel passato non cessa di accadere, ma insegue la vita, l' accerchia, l' incalza, la tormenta. La memoria spettrale è costituita da un passato che non passa. È l' esperienza che affligge i soggetti o i popoli che hanno vissuto esperienze drammatiche, impossibili da dimenticare. Il passato è come uno spettro, morto e vivo insieme. La terza versione della memoria è forse la più importante e la più paradossale. È la memoria come attributo del futuro. È l' invito che Nietzsche ci rivolge: la memoria non deve ridursi a essere il culto passivo del passato, non genera solo venerazione o orrore, busti e monumenti. Dovremmo invece imparare ad usarla per creare attivamente il nostro avvenire.
Il che significa farsi responsabili della memoria. La memoria non è un contenitore di ricordi, né il ritorno degli spettri provenienti dal passato, ma si costituisce solo a partire dal futuro. Il passato non è alle nostre spalle come un peso inerte o come un incubo che non riusciamo a cancellare, ma può assumere forme e significati diversi a partire da come viene ripreso attivamente dalla vita mentre essa si sta muovendo verso il proprio avvenire. La memoria non deve semplicemente conservare quello che è già stato, ma deve servire la generatività della vita.
Non deve restare impigliata in una paralisi melanconica che non riesce a non guardare se non all' indietro, ma sapersi gettare in un movimento proteso in avanti. Custodire questa memoria - la memoria come attributo del futuro -, evitando i danni della "memoria corta", significa farsi davvero responsabili del nostro passato.
(Fonte - "La Repubblica" del 27.01.2018)

S’aggira ancora il fumo di Auschwitz 
di Daniele Novara, 
pedagogista

La capacità di Liliana Segre di coinvolgere nella narrazione dell’orrore ogni sorta di uditorio ci dice come la pedagogia della memoria abbia bisogno di emozioni forti più che di rigorosi ragionamenti e analisi didattiche.Liliana Segre racconta il dramma di una ragazzina di 13 anni coinvolta suo malgrado in una storia che non ha niente a che vedere con la preadolescenza, che ti costringe ascoltandola a entrare nei panni di chi realmente ha sofferto la deportazione, la morte, l’annichilimento.

Non c’è retorica, non c’è celebrazione. Solo la nuda narrazione che permette a chiunque di identificarsi con questa piccola ebrea che lotta per la sua sopravvivenza. Non sono numeri, non sono cifre, ma unicamente la traccia umana di chi ha attraversato il nulla ed è riuscito a riemergerne. 
I giovani hanno bisogno di incontrare persone, educatori e testimoni che sanno comunicare la loro passione, che sanno trasformare la memoria in un conflitto aperto con il presente per creare un discrimine con l’orrore che si annida ancora attorno a noi e che magari fra trent’anni o quaranta, o cinquanta verrà chiamato col suo vero nome.
Nella Giornata della Memoria dobbiamo avere il coraggio di fuggire dalla pura e semplice celebrazione e concentrarci su come il fumo di Auschwitz si aggiri ancora nella nostra storia, nelle nostre città, nelle nostre relazioni. Indignarsi per i crimini nazisti deve servire per liberarci sempre di più della violenza contro i bambini, contro le donne, contro i profughi stranieri, contro chi è troppo debole per poter far sentire la propria voce. Che la giornata della memoria ci aiuti ad aprire gli occhi sulle nuove forme di orrore. Forse in questo modo ci potrebbe essere una vera possibilità di onorare chi l’orrore l’ha subito fino al sacrificio estremo.
(Fonte: "Avvenire" del 27.01.2018)


GENNAIO E LA MEMORIA DELL'INIZIO
di Gabriella Caramore

L'inizio di un nuovo anno è un inizio per convenzione, che si inserisce subdolamente nell’ordine delle stagioni e dello scorrere del tempo. Ogni inizio d’anno, più che spezzare una continuità, aggiunge materia al tempo, costringendo a soppesare gli anni e a fare bilanci della propria vita. In questo senso torna a proposito, anche se la coincidenza è casuale, il fatto che gennaio sia, per tradizione recente ma ormai consolidata, il mese dedicato alla “memoria”. Il 27 gennaio si commemora infatti la liberazione dei prigionieri dal campo di sterminio di Auschwitz, come data simbolo della fine dell’incubo nero del nazismo, della salvezza di un piccolo “resto” di deportati, e come memoria di tutte le vittime innocenti dell’inciviltà e della ferocia. 
Questa giornata però la si sta vivendo negli ultimi anni con un crescente disagio. Nonostante il moltiplicarsi di iniziative e celebrazioni, che suscitano emozioni, ripensamenti, prese di coscienza, ci resta come un sapore amaro: come se il lavoro della memoria poco incidesse sulla realtà delle cose. Occorrerebbe forse con maggior decisione fare ricorso alla valenza biblica della “memoria”, dove ricordare è quasi un comandamento: per ridestare al cuore e alla mente gli insegnamenti del Signore, e per far rivivere gli avvenimenti accaduti nella storia passata, al fine di offrire una nuova possibilità al tempo presente. Se si vuole che la memoria non sia vuoto esercizio di sterile emozione, occorre imprimerle una forte presa sul momento attuale. 
Fatto salvo il fatto che ci sarà sempre un manipolo di persone che non hanno «orecchi per intendere» e non li vogliono avere, che sono di dura cervice e col cuore inaridito, sarebbe utile – direi anche necessario – che nelle scuole si addestrassero ogni giorno ragazzi e ragazze a capire come anche le piccole banalità del male possono portare a grandi catastrofi; come una minuta responsabilità quotidiana abbia lo stesso peso di una più grande; e s’insegnasse a guardare gli occhi delle vittime di oggi come si guardano quelli delle vittime di ieri. Allora sì, forse, fare memoria avrebbe il sapore di una rifondazione del presente, di un nuovo inizio che ricomincia ogni giorno.
(Fonte: "Jesus" - gennaio 2018)