lunedì 4 dicembre 2017

VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO IN MYANMAR E BANGLADESH (26 NOVEMBRE - 2 DICEMBRE 2017) 6 - visita alla “Casa Madre Teresa” - Incontri con clero/religiosi/consacrati e con i giovani (cronaca, foto, testi e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN MYANMAR E BANGLADESH
26 NOVEMBRE - 2 DICEMBRE 2017

2 dicembre 2017
Sesta giornata per il Papa in Bangladesh

Il Papa ha iniziato la giornata conclusiva del suo viaggio in Bangladesh con la visita alla “Casa Madre Teresa” in Tejgaon, località a otto chilometri dalla nunziatura di Dacca, dove ha alloggiato in questi giorni.
La Casa, inaugurata nel 1976 è la più piccola tra quelle che le Suore della Carità gestiscono nella capitale bengalese ed era scelta da Madre Teresa, i cui ritratti campeggiano ovunque, per risiedere durante i suoi soggiorni nella città. Attualmente offre cure e assistenza a migliaia di orfani e di persone affette da disabilità mentali e fisiche. 
Il Papa si è intrattenuto con alcuni di loro, ha salutato molte suore, ha chiesto ai bambini riuniti in chiesa di pregare per lui e ha raccomandato di dire un'Ave Maria ogni sera prima di dormire. Molti i momenti toccanti, come quando ha preso per mano due bimbe portandole con sé nella visita come un nonno.

 
 
 



Molto festosa l'accoglienza riservata al Pontefice anche nella vicina chiesa del Rosario, che la cattedrale della diocesi di Chittagong. Qui ha incontrato i religiosi, i sacerdoti e i seminaristi raccomandando loro di curare le vocazioni con la preghiera e il discernimento, di non lasciarsi andare al terrorismo delle chiacchiere e soprattutto di essere gioiosi. Non aiuta, ha detto parlando a braccio e consegnando il discorso, vedere un consacrato con la faccia di aceto. “Ve lo dico anche se qualcuno afferma che sono ripetitivo”.








INCONTRO CON I SACERDOTI, RELIGIOSI E RELIGIOSE, CONSACRATI, SEMINARISTI E NOVIZIE
Chiesa del Santo Rosario (Dhaka)
Sabato, 2 dicembre 2017

Cari fratelli e sorelle,

grazie all’Arcivescovo Costa per la sua introduzione, e grazie per i vostri interventi. Qui ho un discorso preparato di otto pagine… Ma noi siamo venuti qui ad ascoltare il Papa e non per annoiarci! Per questo consegnerò il discorso al Signor Cardinale, che lo farà tradurre in bengalese, e io vi dirò quello che mi viene nel cuore. Non so se sarà migliore o peggiore, ma vi assicuro che sarà meno noioso!

Quando sono entrato e vi ho salutato, mi è venuta in mente un’immagine del profeta Isaia, precisamente della prima Lettura che leggeremo martedì prossimo: “In quei giorni, spunterà un piccolo germoglio dalla casa di Israele. Quel germoglio crescerà, crescerà, e sarà pieno dello Spirito di Dio, lo Spirito di sapienza, di intelligenza, di scienza, di pietà, di timor di Dio” (cfr 11,1-2). Isaia, in un certo senso, descrive qui gli aspetti piccoli e grandi della vita di fede, della vita di servizio a Dio. E parlando di vita di fede e di servizio a Dio, riguarda voi, che siete uomini e donne di fede, e che servite Dio.

Iniziamo dal germoglio. Germoglio ciò che sta nel terreno, e questo è il seme. Il seme non è né tuo né mio: il seme lo semina Dio, ed è Dio che lo fa crescere. Ognuno di noi può dire: “Io sono il germoglio”. Sì, ma non per merito tuo, ma del seme che ti fa crescere.

E io cosa devo fare? Annaffiarlo, annaffiarlo. Perché cresca e giunga alla pienezza dello spirito. E’ quello che voi dovete dare come testimonianza.

Come si può annaffiare questo seme? Curandolo. Curando il seme e curando il germoglio che comincia a crescere! Curare la vocazione che abbiamo ricevuto. Come si cura un bambino, come si cura un malato, come si cura un anziano. La vocazione si cura con tenerezza umana. Se nelle nostre comunità, nei nostri presbitéri manca questa dimensione di tenerezza umana, il germoglio rimane piccolo, non cresce, e potrebbe anche seccarsi. Bisogna curarlo con tenerezza, perché ogni fratello del presbiterio, ogni fratello della conferenza episcopale, ogni fratello e sorella della mia comunità religiosa, ogni fratello seminarista è un seme di Dio. E Dio lo guarda con tenerezza di padre.

E’ vero: di notte, viene il nemico e semina un altro seme, e c’è il rischio che il seme buono rimanga soffocato dal seme cattivo. Com’è brutta la zizzania nei presbitéri… che brutta la zizzania nelle conferenze episcopali… che brutta la zizzania nelle comunità religiose e nei seminari. Curare il germoglio, il germoglio del buon seme, e vedere come cresce; vedere come si distingue dal cattivo seme e dall’erbaccia.

Uno di voi – credo che sia stato Marcel – ha detto: “discernere ogni giorno come cresce la mia vocazione”. Curare vuol dire discernere. E rendersi conto che la pianta che cresce, se va da una parte, cresce bene; se invece va da un’altra parte, cresce male. E rendermi conto di quando sta crescendo male, o quando ci sono compagnie o persone o situazioni che ne minacciano la crescita. Discernere. E si può discernere soltanto quando si ha un cuore che prega. Pregare. Curare significa pregare. E’ chiedere a Colui che ha seminato il seme che mi insegni ad annaffiarlo. E se io sono in crisi, o mi sono addormentato, che la annaffi un pochino per me. Pregare significa chiedere al Signore di prendersi cura di noi, di darci la tenerezza che noi dobbiamo dare agli altri. Questa è la prima idea che vorrei darvi: l’idea di prendersi cura del seme affinché il germoglio cresca fino alla pienezza della sapienza di Dio. Curarlo con attenzione, curarlo con la preghiera, curarlo con il discernimento. Curarlo con tenerezza. Perché così Dio si prende cura di noi: con tenerezza di padre.

La seconda idea che mi viene è che in questo giardino del Regno di Dio non c’è un seme soltanto: ci sono migliaia e migliaia di germogli, tutti noi siamo germogli. E non è facile fare comunità. Non è facile. Le passioni umane, i difetti, i limiti minacciano sempre la vita comunitaria, minacciano la pace. La comunità di vita consacrata, la comunità del seminario, la comunità del presbiterio e la comunità della conferenza episcopale devono sapersi difendere da ogni tipo di divisione. Ieri abbiamo ringraziato Dio per l’esempio che il Bangladesh sa dare in ambito di dialogo interreligioso. Uno di quelli che hanno parlato ha citato una frase del Cardinale Tauran, quando disse che il Bangladesh è il miglior esempio di armonia nel dialogo interreligioso. [applauso] E questo applauso è per il Cardinale Tauran. Se ieri abbiamo detto questo del dialogo interreligioso, faremo il contrario all’interno della nostra fede, della nostra confessione cattolica, delle nostre comunità? Anche qui il Bangladesh dev’essere esempio di armonia!

Sono molti i nemici dell’armonia, sono molti. Mi piace citarne uno, che basta come esempio. Forse qualcuno mi può criticare perché sono ripetitivo, ma per me è fondamentale. Il nemico dell’armonia in una comunità religiosa, in un presbiterio, in un episcopato, in un seminario è lo spirito del pettegolezzo. E questo non l’ho inventato io: duemila anni fa, lo disse un certo Giacomo in una Lettera che scrisse alla Chiesa. La lingua, fratelli e sorelle, la lingua! Quello che distrugge una comunità è il parlare male degli altri. Sottolineare i difetti degli altri. Ma non dirlo all’interessato, ma dirlo ad altri, e così creare un ambiente di sfiducia, un ambiente di sospetto, un ambiente in cui non c’è pace e c’è divisione. C’è una cosa che mi piace dire come immagine di ciò che è lo spirito del pettegolezzo: è terrorismo. Sì, terrorismo. Perché chi parla male di un altro non lo fa pubblicamente. Il terrorista non dice pubblicamente: “Sono un terrorista”. E chi parla male di un altro, lo fa di nascosto: parla con uno, lancia la bomba e se ne va. E quella bomba distrugge. E lui se ne va, tranquillamente, a lanciare un’altra bomba. Cara sorella, caro fratello, quando hai voglia di parlar male di un altro, morditi la lingua! La cosa più probabile è che ti si gonfi, ma non farai male a tuo fratello o a tua sorella.

Lo spirito di divisione. Quante volte nelle Lettere di San Paolo leggiamo del dolore che aveva San Paolo quando nella Chiesa entrava questo spirito. Certo, voi mi potete chiedere: “Padre, però, se vedo un difetto in un fratello, in una sorella, e voglio correggerlo, o voglio dirlo, ma non posso tirare la bomba, cosa posso fare?”. Puoi fare due cose, non dimenticarle. La prima, se è possibile – perché non sempre è possibile – dirlo alla persona, faccia a faccia. Gesù ci dà questo consiglio. E’ vero che qualcuno mi può dire: “No, non si può fare, Padre, perché è una persona complicata”. Come te, complicata. Va bene, Può darsi che per prudenza non sia opportuno. Secondo principio: se non puoi dirlo alla persona, dillo a chi può porre rimedio, e a nessun altro. O lo dici in faccia, o lo dici a chi può porre rimedio, ma in privato, con carità. Quante comunità – non parlo per sentito dire, parlo di quello che ho visto –, quante comunità ho visto distruggersi per lo spirito del pettegolezzo! Per favore, mordetevi la lingua in tempo!

E la terza cosa che vi volevo dire – così almeno non è troppo noioso… dopo avrete la parte noiosa nel testo scritto – è cercare di avere, chiedere e avere, uno spirito di gioia. Senza gioia non si può servire Dio. Io chiedo a ciascuno di voi – ma rispondete dentro di voi, non ad alta voce: “Come va la tua gioia?”. Vi assicuro che è veramente triste incontrare sacerdoti, consacrati o consacrate, seminaristi, vescovi amareggiati, con una faccia triste, che viene voglia di chiedere: “Con cosa hai fatto colazione stamattina, con l’aceto?”. Faccia di aceto. Quell’amarezza del cuore, quando viene il seme cattivo e dice: “Ah guarda, quello l’hanno fatto superiore… quella l’hanno fatta superiora… quello l’hanno fatto vescovo… e a me lasciano da parte”. Lì non c’è gioia. Santa Teresa – la grande – ha una frase che è una maledizione; la dice alle sue monache: “Guai alla monaca che dice: Mi hanno fatto un’ingiustizia! Usa l’espressione spagnola “sinrazón”, nel senso di ingiustizia. Quando lei incontrava una suora che si lamentava perché “non mi hanno dato quello che mi dovevano dare” o “non mi hanno promosso”, “non mi hanno fatto priora” o qualcosa del genere, guai a quella monaca: è sulla brutta strada.

Gioia. Gioia anche nei momenti difficili. Quella gioia che, se non può essere riso, perché il dolore è grande, è pace. Mi viene in mente una scena dell’altra Teresa, la piccola, Teresa di Gesù Bambino. Lei doveva accompagnare, tutte le sere, al refettorio una monaca vecchia, intrattabile, sempre arrabbiata, molto malata, poveretta, che si lamentava di tutto. E in qualsiasi punto la toccasse, diceva: “No, che mi fa male!”. Una sera, mentre la accompagnava attraverso il chiostro, sentì da una casa vicina la musica di una festa, la musica di gente che si stava divertendo, brava gente, come anche lei aveva fatto e aveva visto farlo alle sue sorelle, e si immaginò la gente che ballava, e disse: “La mia grande gioia è questa, e non la cambio con nessun’altra”. Anche nei momenti problematici, di difficoltà nella comunità – sopportare a volte un superiore o una superiora un po’ “strani” – anche in questi momenti dire: “Sono contento, Signore. Sono contento”, come diceva Sant’Alberto Hurtado.

La gioia del cuore. Vi assicuro che mi dà tanta tenerezza quando incontro sacerdoti, vescovi o suore anziani, che hanno vissuto la vita con pienezza. I loro occhi sono indescrivibili, così pieni di gioia e di pace. Quelli che non hanno vissuto così la loro vita, Dio è buono, Dio li cura, ma mancano di quella luce negli occhi che hanno quelli sono stati gioiosi nella vita. Provate a cercare – soprattutto si vede nelle donne – provate a cercare nelle suore vecchie, quelle suore che hanno passato tutta la vita a servire, con tanta gioia e pace: hanno degli occhi furbi, brillanti… Perché hanno la sapienza dello Spirito Santo.

Il piccolo germoglio, in questi vecchi, in queste vecchie, è diventato la pienezza dei sette doni dello Spirito Santo. Ricordatevi di questo martedì prossimo, quando ascolterete la Lettura nella Messa, e chiedetevi: Sto curando il germoglio? Annaffio il germoglio? Mi prendo cura del germoglio negli altri? Ho paura di essere terrorista e, per questo, non parlo mai male degli altri e mi apro al dono della gioia?

A tutti voi auguro che, come il vino buono, la vita vi faccia maturare fino alla fine, e i vostri occhi brillino di quella furbizia buona, di gioia e di pienezza dello Spirito Santo.

Pregate per me come io prego per voi.

Guarda il video

SALUTO DAVANTI ALLA CHIESA DEL SANTO ROSARIO

Vi saluto e vi ringrazio di questa gioia, di questa accoglienza. Grazie tante a voi. E vorrei chiedervi una cosa: pregate per me. Me lo promettete? [“Sì!”] Ah, bene. E vorrei darvi un suggerimento, voglio darvi un consiglio. La sera, prima di andare a dormire, pregate un’Ave Maria alla Vergine. Ogni notte, prima di andare a letto, pregare alla Madonna un’Ave Maria. Lo farete? [“Sì!”]
E adesso preghiamo la Madonna tutti insieme.
Ave o Maria, …

[Benedizione]

Thank you very much.

INCONTRO CON I GIOVANI
Notre Dame College (Dhaka)
Sabato, 2 dicembre 2017

Intorno al Pontefice, sugli spalti del campo sportivo del Notre Dame College di Dhaka, ci sono settemila ragazzi e ragazze, non solo bengalesi e non solo cattolici, che lo accolgono con applausi, cori, canti e danze tradizionali. In questo clima di festa Francesco compie il suo giro in papamobile e, al termine dell’incontro, benedice la prima pietra del nuovo edificio “Notre Dame University Bangladesh” e una targa commemorativa. 
Segue il saluto del vescovo di Rajshahi, Gervas Rozario, vicepresidente della Conferenza episcopale del Bangladesh. Poi in rappresentanza di tutti i giovani - che su circa 160 milioni di abitanti rappresentano più di un terzo della popolazione dell’intero Paese - due ragazzi, Upasana Ruth Gomes e Anthony Toranga Norek, entrambi studenti del Notre Dame College, condividono la loro testimonianza segnata dalle preoccupazioni per un presente ed un futuro incerti. «Santo Padre, lei comprende le nostre fatiche!», dice la ragazza. «Noi ci entusiasmiamo facilmente ma al tempo stesso ci troviamo confusi, depressi, frustrati, non sappiamo più quale direzione prendere e talvolta ci perdiamo. Spesso siamo così instabili ed emotivamente vulnerabili che la nostra vita sembra non avere un senso. Vedendo le ingiustizie del mondo, il non rispetto per il creato, la divisione nelle famiglie, il maltrattamento e i pericoli ai quali sono esposti donne e bambini ci sentiamo davvero scoraggiati e impotenti». 
Da parte sua Anthony assicura: «Ci impegniamo a vivere. Cerchiamo in diversi modi di agire secondo giustizia, di amare teneramente e di camminare umilmente lasciando che Dio guidi i nostri passi. Ma il messaggio di pace, di salvezza e di guarigione che desideriamo udire non sempre giunge alle nostre orecchie». 
Parole che offrono al Papa lo spunto per il suo discorso.


 


DISCORSO DEL SANTO PADRE


Cari giovani, cari amici, buonasera!

Sono grato a tutti voi per la vostra calorosa accoglienza. Ringrazio Mons. Gervas [Rozario] per le sue gentili parole, Upasana e Anthony per le loro testimonianze. C’è qualcosa di unico nei giovani: voi siete sempre pieni di entusiasmo, sempre. E questo è bello. E io mi sento ringiovanire ogni volta che vi incontro. Upasana, tu hai parlato di questo nella tua testimonianza, hai detto di essere davvero “molto entusiasta”, e io posso vederlo e anche percepirlo. Questo entusiasmo giovanile si collega con lo spirito di avventura. Uno dei vostri poeti nazionali, Kazi Nazrul Islam, lo ha espresso, definendo la gioventù del Paese «impavida», «abituata a strappar fuori la luce dal ventre dell’oscurità». È bello questo! I giovani sono sempre pronti a proiettarsi in avanti, a far accadere le cose e a rischiare. Vi incoraggio ad andare avanti con questo entusiasmo nelle circostanze buone e in quelle cattive. Andare avanti, specialmente in quei momenti nei quali vi sentite oppressi dai problemi e dalla tristezza e, guardandovi intorno, sembra che Dio non appaia all’orizzonte.

Ma, andando in avanti, assicuratevi di scegliere la strada giusta. Cosa vuol dire? Vuol dire saper viaggiare nella vita, non girovagare senza meta. Io vi faccio una domanda: voi viaggiate o girovagate? Cosa fate, viaggiate o girovagate? La nostra vita non è senza direzione, ha uno scopo, uno scopo datoci da Dio. Egli ci guida, orientandoci con la sua grazia. È come se avesse posizionato dentro di noi un software, che ci aiuta a discernere il suo programma divino e a rispondergli nella libertà. Ma, come ogni software, anch’esso necessita di essere costantemente aggiornato. Tenete aggiornato il vostro programma, prestando ascolto al Signore e accettando la sfida di fare la sua volontà. Il software aggiornato. È un po’ triste quando il software non è aggiornato; ed è ancora più triste quando è guasto e non serve.

Anthony, hai fatto riferimento a questa sfida nella tua testimonianza, quando hai detto che siete uomini e donne che stanno «crescendo in un mondo fragile che reclama sapienza». Hai usato la parola “sapienza” e, così facendo, ci hai fornito la chiave. Quando si passa dal viaggiare al girovagare senza meta, tutta la sapienza è persa! La sola cosa che ci orienta e ci fa andare avanti sul giusto sentiero è la sapienza, la sapienza che nasce dalla fede. Non è la falsa sapienza di questo mondo. E’ la sapienza che si intravede negli occhi dei genitori e dei nonni, che hanno posto la loro fiducia in Dio. Come cristiani, possiamo vedere nei loro occhi la luce della presenza di Dio, la luce che hanno scoperto in Gesù, che è la sapienza stessa di Dio (cfr 1 Cor 1,24). Per ricevere questa sapienza dobbiamo guardare il mondo, le nostre situazioni, i nostri problemi, tutto con gli occhi di Dio. Riceviamo questa sapienza quando cominciamo a vedere le cose con gli occhi di Dio, ad ascoltare gli altri con gli orecchi di Dio, ad amare col cuore di Dio e a valutare le cose coi valori di Dio.

Questa sapienza ci aiuta a riconoscere e respingere le false promesse di felicità. Ce ne sono tante! Una cultura che fa false promesse non può liberare, porta solo a un egoismo che riempie il cuore di oscurità e amarezza. La sapienza di Dio, invece, ci aiuta a sapere come accogliere e accettare coloro che agiscono e pensano diversamente da noi. È triste quando cominciamo a chiuderci nel nostro piccolo mondo e ci ripieghiamo su noi stessi. Allora facciamo nostro il principio del “come dico io o arrivederci”. E questo è un cattivo principio: “O si fa come dico io o ciao, arrivederci”. Questo non aiuta. E quando usiamo questo principio rimaniamo intrappolati, chiusi in noi stessi. Quando un popolo, una religione o una società diventano un “piccolo mondo”, perdono il meglio che hanno e precipitano in una mentalità presuntuosa, quella dell’“io sono buono, tu sei cattivo”. Tu, Upasana, hai evidenziato le conseguenze di questo modo di pensare, quando hai detto: «Perdiamo la direzione e perdiamo noi stessi» e «la vita ci diventa insensata». Ha detto bene! La sapienza di Dio ci apre agli altri. Ci aiuta a guardare oltre le nostre comodità personali e le false sicurezze che ci fanno diventare ciechi davanti ai grandi ideali che rendono la vita più bella e degna di esser vissuta.

Sono contento che, insieme ai cattolici, ci siano con noi molti giovani amici musulmani e di altre religioni. Col trovarvi insieme qui oggi mostrate la vostra determinazione nel promuovere un clima di armonia, dove si tende la mano agli altri, malgrado le vostre differenze religiose. Questo mi ricorda un’esperienza che ebbi a Buenos Aires, in una nuova parrocchia situata in un’area estremamente povera. Un gruppo di studenti stava costruendo alcuni locali per la parrocchia e il sacerdote mi aveva invitato ad andare a trovarli. Così andai e quando arrivai in parrocchia il sacerdote me li presentò uno dopo l’altro, dicendo: «Questo è l’architetto, è ebreo, questo è comunista, questo è cattolico praticante» (Saluto ai giovani del Centro culturale P.F. Varela, L’Avana, 20 settembre 2015). Quegli studenti erano tutti diversi, ma stavano tutti lavorando per il bene comune. Questo è importante! Non dimenticatevi: diversi, ma lavorando per il bene comune, in armonia! Avete capito? Questa è l’armonia bella che si percepisce qui nel Bangladesh. Quegli studenti, diversi tra loro, erano aperti all’amicizia sociale e determinati a dire “no” a tutto ciò che avrebbe potuto distoglierli dal proposito di stare insieme e aiutarsi a vicenda.

La sapienza di Dio ci aiuta anche a guardare oltre noi stessi per riconoscere la bontà del nostro patrimonio culturale. La vostra cultura vi insegna a rispettare gli anziani. Questo è molto importante. Come ho detto prima, gli anziani ci aiutano ad apprezzare la continuità delle generazioni. Portano con sé la memoria e la sapienza esperienziale, che ci aiuta ad evitare di ripetere gli errori del passato. Gli anziani hanno “il carisma di colmare le distanze”, in quanto assicurano che i valori più importanti vengano tramandati ai figli e ai nipoti. Attraverso le loro parole, il loro amore, il loro affetto e la loro presenza, comprendiamo che la storia non è iniziata con noi, ma che siamo parte di un antico “viaggiare” e che la realtà è più grande di noi. Parlate con i vostri genitori e i vostri nonni; non passate tutta la giornata col cellulare, ignorando il mondo attorno a voi! Parlate con i nonni, loro vi daranno sapienza.

Upasana e Anthony, avete concluso le vostre testimonianze con parole di speranza. La sapienza di Dio rafforza in noi la speranza e ci aiuta ad affrontare il futuro con coraggio. Noi cristiani troviamo questa speranza nell’incontro personale con Gesù nella preghiera e nei Sacramenti, e nell’incontro concreto con Lui nei poveri, nei malati, nei sofferenti e negli abbandonati. In Gesù scopriamo la solidarietà di Dio, che costantemente cammina al nostro fianco.

Cari giovani, cari amici, guardando i vostri volti sono pieno di gioia e di speranza: gioia e speranza per voi, per il vostro Paese, per la Chiesa e per le vostre comunità. Che la sapienza di Dio possa continuare a ispirare il vostro impegno a crescere nell’amore, nella fraternità e nella bontà. Lasciando il vostro Paese oggi, vi assicuro la mia preghiera perché tutti possiate continuare a crescere nell’amore di Dio e del prossimo. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Dio benedica il Bangladesh! [Isshór Bangladeshké ashirbád korún]

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L'ultimo atto della visita di papa Francesco in Bangladesh è stato l'incontro con i giovani, dopo il quale papa Bergoglio si è trasferito in aeroporto per il congedo ufficiale.

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Durante il viaggio di ritorno, come di consueto Papa Francesco ha tenuto una conferenza stampa con i giornalisti che lo avevano accompagnato in questo viaggio, rispondendo con la solita schiettezza e spontaneità a tutte le domande.
L'aereo è atterrato a Roma, all’aeroporto di Fiumicino alle ore 21,40.


Ma anche questo viaggio si può ritenere veramente concluso con l'omaggio del Santo Padre alla Madonna Salus Populi Romani nella Basilica romana di Santa Maria Maggiore, lì domenica mattina ha deposto dei fiori bianchi sotto l’antica immagine.
Alla Madonna infatti fino ad ora Francesco ha affidato tutti i suoi viaggi ed a Lei  al suo rientro porge il suo filiale ringraziamento.


Vedi anche i post precedenti: