domenica 3 dicembre 2017

Tempo di Avvento e senso della vita di Rosario Giuè

Tempo di Avvento e senso della vita 
di Rosario Giuè 



Iniziamo un nuovo anno liturgico. Ma domandiamo: ma questo ripetere degli anni liturgici, questo inserire il tempo tra un inizio e una fine è forse una finzione? Una costruzione “religiosa”? Un ritualismo per illuderci? Il dubbio, a volte, ci assale, ci può assalire. E tanto più ci può assalire un altro dubbio: che tutto nella vita non abbia senso. Nella società questa tentazione è grande. 
E così, poiché niente ha senso allora ognuno si arrangi come può. Se niente ci tiene insieme, allora ognuno sia lupo dell’agnello. E la vita diventa solo qualcosa di materialistico, senza un orizzonte a cui guardare, senza sogni. E tutti i nostri atti sono come «un panno sporco» ( profeta Isaia). Magari ci diamo degli obiettivi storici, su base familiare. Cose buone, ma che non ci riempiono, da sole, il cuore in profondità e cidanno un orizzonte grande. Sono obiettivi per sopravvivere o conservare la specie, ma che non ci offrono un senso grande, come diceva don Lorenzo Milani. E così, tendiamo a trascurare la dimensione escatologica, cioè il fine o il senso complessivo della nostra vita, del verso dove andiamo. Don Puglisi, lo chiedeva ai giovani: «Si, ma verso dove?».
Per i cristiani non può essere così. Come discepoli di Gesù in questa prima domenica del nuovo anno liturgico si è chiamati a vigilare per non cadere in quella logica che addormenta la coscienza e il cuore. Una logica che ci rinchiude in noi stessi, senza apertura e niente e a nessuno. Senza speranza per la quale valga la pena impegnarsi. Come discepoli di Gesù siamo convinti che il tempo stia dentro un’alleanza tra Dio e noi. Siamo fiduciosi che, al di là del fluire storico con le sue contraddizioni, che un senso nella vita vi sia. Che la nostra vita scorra dentro una densità di senso, verso un orizzonte che intravediamo appena e, insieme, attendiamo nel suo manifestarsi.
Ecco il senso dell’Avvento. Che non riguarda (almeno nella sua prima fase) la preparazione al Natale, quanto l’attesa/presenza di questo fine e senso ultimo che viene dalla fiducia/speranza di incontrare il Signore. Allora ci appare chiaro che l’anno liturgico ha una logica che ci accompagna, nella preghiera e nello studio della Scrittura, durante lo svolgersi della vita. 
Il tempo non è, dunque, disabitato, ma è abitato da noi in compagnia di Dio.. Non siamo soli, buttati nel mondo. Anche di fronte al dolore e alla morte (per in quali non c’è alcuna giustificazione) siamo chiamati a resistere e sperare.
La parabola del Vangelo della prima domenica di Avvento, che si trova alla fine del tredicesimo capitolo di Marco (33-37), non parla forse di tutto ciò? Marco narra in quel capitolo, con linguaggio mitico e apocalittico, la situazione di sofferenza e di difficoltà dei primi cristiani nel loro contesto storico. Ora in quella situazione drammatica e precaria la comunità di Marco sta come riascoltando le parole di Gesù che sembra voler dire: «Un senso in tutto ciò che sta accadendo esiste; forse non vi è chiaro, perché è nascosto nel cuore imperscrutabile di Dio. Ma un senso c’è. Si tratta di “vigilare” per non smarrirsi». 
Come quella comunità, oggi siamo in cammino in compagnia del nostro fratello Gesù, che indicandoci la Via, verso il regno di Dio, fino a quando Dio stesso «egli sarà tutto in tutti» (Paolo). Per cui ogni giorno, a casa, per strada, al lavoro o in comunità possiamo poter dire, con le lampade accese: «Venga il tuo regno». «Vieni Signore» a dare un senso alle nostre giornate, alle nostre fatiche, alle nostre attese, alle nostre inquietudini. Ma questo vale anche per chi oggi è martoriato? Perseguitato, come il popolo dei Rohingya, popolo di rifugiati, ai quali papa Francesco ha chiesto perdono?

Noi attendiamo la manifestazione/presenza di Dio. Ma non certo secondo il linguaggio mitologico della Scrittura. Quel linguaggio oggi ci appare ingenuo e distante. Dobbiamo tradurlo nella città secolare, oggi. In definitiva noi attendiamo un tempo qualitativamente diverso. 
Speriamo in un tempo, cioè, riempito dalla «grazia di Dio», (Paolo ai Corinti). Attendiamo, vigilanti, la manifestazione della «grazia di Dio». Ecco il senso dell’avvento: l’irruzione di un tempo nuovo, che vale la pena vivere e sperare, resistendo, pregando. Attendiamo l’adempimento delle promesse di Dio, dell’Oggi di Dio che si manifesta sempre in forme, modi e tempi inediti. 
E mentre facciamo spazio ad una coscienza vigile, ci impegniamo nella società, ciascuno nel proprio compito, secondo quello che il Signore Gesù ha consegnato a ciascuno e ciascuna. 
Vivere come se tutto dipendesse da noi, vivere come se tutto dipendesse da Dio. 
Nella fiducia che la «grazia» di Dio (di cui parla ancora Paolo con i Corinzi) ci «renderà saldi»

Vedi anche i post già pubblicati relati all'autore:
- Chi ha paura della Chiesa voluta da Francesco di Rosario Giuè