sabato 28 ottobre 2017

Lievito di fraternità: il presbitero costruttore di comunità e strumento della tenerezza di Dio di Bruno Forte

Lievito di fraternità: 
il presbitero costruttore di comunità
e strumento della tenerezza di Dio 
di Bruno Forte, 
Arcivescovo di Chieti-Vasto



Intervento all’Incontro Regionale del Clero, 
Santuario di San Gabriele dell’Addolorata, 
17 Ottobre 2017








Il Sussidio sul rinnovamento del Clero a partire dalla formazione permanente, intitolato Lievito di fraternità, è stato pubblicato sotto la responsabilità del Consiglio Perrmanente della CEI nel maggio 2017. L’intento che ha animato i Vescovi italiani “è stato quello di aiutare i presbiteri a inserirsi come evangelizzatori in questo tempo, attrezzati ad affrontarne le sfide e attenti a promuovere una pastorale di prossimità”. Il tema, riproposto all’attenzione della Chiesa dall’Esortazione apostolica postsinodale di Giovanni Paolo II Pastores dabo vobis, dalla Lettera apostolica Ministrorum institutio di Benedetto XVI e più volte dal magistero di Papa Francesco, è stato affrontato nella 67° Assemblea Generale della CEI (Assisi, 10-13 novembre 2014), e quindi fatto oggetto di riflessione da parte delle Conferenze Episcopali Regionali, della Commissione Presbiterale Italiana e del Consiglio Permanente, per essere, infine, ripreso nella 69° Assemblea Generale (Roma, 16-19 maggio 2016). Quest’ultima ha affidato al Consiglio Permanente il compito di rendere disponibile il frutto del lavoro collegiale fatto. Perché intervenire con tanto impegno sulla formazione permanente del clero? Come dice il Sussidio, “più che un’esigenza di aggiornamento e qualificazione - analoga a quella richiesta in tutti i campi professionali - la formazione permanente del clero rimanda a un mistero di vocazione che trascende l’uomo e che nessuno, quindi, può mai dare come pienamente conseguito: la vita intera non basterà a farci davvero capire quello che siamo e a consentirci di raggiungere l’integrale intellegibilità del nostro dono”. Si potrebbe affermare che - analogamente a quanto avviene in ogni legame d’amore - la fedeltà all’essere preti si rinnova ogni giorno, l’impegno di un sì sempre nuovo o è il rimpianto di tutta la vita. Il sussidio viene così ad evidenziare i capisaldi formativi del ministero, da riscoprire sempre di nuovo, all’insegna della piena disponibilità a Dio e al Suo popolo. Le riflessioni proposte nel sussidio si ispirano a quanto detto da Papa Francesco nel discorso tenuto all’Assemblea Generale della CEI nel maggio 2016 sulla figura del presbitero, nella significatività come nelle criticità che possono caratterizzarla.
... Oggi, accanto a fedeli che frequentano regolarmente la comunità o comunque conservano la fede, vivono battezzati che non hanno più appartenenza ecclesiale né riferimento evangelico”. In questo contesto, il ministero parrocchiale del presbitero assume una dimensione sempre più missionaria, caratterizzata come “nuova evangelizzazione”. Essa richiede un’ampia conversione pastorale: non basta più attendere, occorre uscire, andare incontro, valorizzare le circostanze, legate a momenti particolari della vita umana. Si capisce in questa prospettiva come “l’apostolato dell’ascolto, la capacità di ‘perdere tempo’ con pazienza e disponibilità, il saper donare attenzione, comprensione e ‘cuore’ alla persona dell’altro, è il primo servizio a cui un prete non può sottrarsi”: la fretta, l’indifferenza, la non accoglienza e disponibilità, sono atteggiamenti del tutto opposti a ciò che un prete deve avere come stile di vita e di servizio. Fedele all’ascolto dell’Eterno nell’impegno della vita interiore, il presbitero deve essere anche fedele a chi gli è stato affidato, tenendo “l’orecchio nel cuore di Dio e la mano sul polso del tempo”. Sull’esempio di Gesù, il ministro ordinato deve accostare le persone “con umiltà e gratuità, attento a cogliere in ogni dimensione umana un’attesa a cui la speranza cristiana è chiamata a offrire risposte”. Per essere all’altezza di questo compito, osserva Papa Francesco, occorrono testimoni “capaci di riscaldare il cuore alla gente, di camminare nella notte con loro, di dialogare con le loro illusioni e delusioni… senza lasciarsi sciogliere e scomporsi nella propria identità” (Discorso all’Episcopato brasiliano, 27 luglio 2013). 
Tutto questo il presbitero potrà viverlo anzitutto sentendosi ...
... Il secondo capitolo del Sussidio presenta la figura del presbitero come “Strumento della tenerezza di Dio”, “uomo di pace e di riconciliazione, attento a diffondere il bene con la stessa passione con cui altri curano i loro interessi” (Papa Francesco). Questo modo di essere è favorito dallo sviluppo di una “spiritualità sponsale”, che “non richiama semplicemente un amore generico alla Chiesa, ma a quella Chiesa in cui la Provvidenza ci ha fatto abitare, nella quale, per le vicende della vita, ci si trova a operare e per il cui servizio il presbitero è ordinato”. Chi non ama la propria Chiesa locale mostra semplicemente di non amare la Chiesa e il Signore che in essa si fa presente. Insiste il testo: “La propria Chiesa la si ama non perché è la migliore o sia esente da limiti e difetti umani, ma semplicemente perché è la sposa di Cristo. Essa è la famiglia del presbitero, resa tale dal legame profondo con i confratelli nel ministero, a cominciare dal Vescovo”. Se non è animato da una tale spiritualità, “difficilmente il presbitero riesce a vivere da padre e ad avvertire che la cifra del suo ministero rimane la carità pastorale”. Sull’esempio del Maestro, il presbitero deve essere mosso dall’attenzione per ciascuna pecora del gregge, dalla vigilanza perché nessuna si smarrisca, dalla disponibilità ad accompagnarne il cammino con una cura particolare per le più deboli e una passione forte per quante si sono perdute. In questa luce, “la sventura che mai dovrebbe accadere a un prete è quella di trascinarsi in un ministero esercitato in maniera puntuale, ritualmente perfetto e dottrinalmente completo, ma disincarnato sul piano delle relazioni umane”. La Chiesa non ha bisogno di funzionari del sacro, ma di pastori testimoni, innamorati di Cristo e ricchi di passione e di amore per il popolo loro affidato. Perciò il presbitero non può starsene chiuso nel tempio o nella canonica, ma deve partecipare alla vita delle persone: più che profumare d’incenso, deve avere l’“odore delle pecore”.
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