domenica 8 ottobre 2017

La speranza che salva - Bruno Forte, Lettera pastorale per l’anno 2017-2018

La speranza che salva 
Lettera pastorale per l’anno 2017-2018
Bruno Forte 
Arcivescovo di Chieti-Vasto


Nelle lettere pastorali degli ultimi anni ho trattato i temi dell’educazione alla fede e all’esercizio della carità, da vivere nella Chiesa suscitata e alimentata dall’amore del Dio tre volte Santo. Vorrei soffermarmi ora sulla speranza, non solo per completare la riflessione sulle virtù teologali e la loro incidenza nella vita del battezzato e della comunità cristiana, ma anche per motivare e alimentare sempre più in me e in quanti Dio mi ha affidato la passione per le cose venienti e nuove, assicurate dalla promessa offertaci nella resurrezione di Gesù Cristo. 

1. Dal bisogno d’amore un’ineludibile domanda
2. Che cosa possiamo sperare?
3. Le ragioni della speranza. 
4. La speranza di un possibile, impossibile amore
5. Lasciarsi far prigionieri dell’invisibile Amato
6. Apprendere a sperare
7. La speranza nei vari ambiti della vita. 
 8. Chiediamo il dono della speranza.

1. Dal bisogno d’amore un’ineludibile domanda. Che il cuore umano abbia bisogno di amare e di essere amato per vivere e imparare a morire, è una costatazione che possiamo fare tutti: dagli scenari del tempo, come da quelli del cuore, si leva un’ineludibile attesa di amore. Si tratta di un’aspettativa così grande, che tutte le esperienze che le corrispondono appaiono prima o poi limitate, segnate dalla fragilità della vita, dalla caducità delle opere, dalla brevità dei giorni. Il bisogno di un amore vittorioso di ogni prova è in tutti noi, anche quando non volessimo ammetterlo: ecco perché la penuria più grande che possiamo sperimentare in noi stessi è quella di speranza, precisamente perché essa è segno della mancanza di un amore che non risulti effimero, come avviene nelle tante forme in cui spesso è esibito e offerto oggi l’amore. È per questo che la tentazione più forte che potrebbe proporsi di fronte agli scenari dei tanti conflitti in corso e delle tante prove della natura e della storia, è la disperazione. Se il rischio dei tempi di tranquillità e di relativa sicurezza è la presunzione - ovvero l’illusione di poter cambiare facilmente il mondo e la vita -, il rischio opposto, proprio dei tempi di prova, è di vivere la paura del domani in maniera più forte della volontà e dell’impegno per prepararlo e realizzarlo come un domani di bene. Accogliere la sfida della speranza vuol dire volersi veramente umani. Rinunciarvi è rinunciare alla vita. Scriveva Benedetto XVI nella sua Enciclica Spe salvi, “salvati nella speranza” (cf. Rm 8,24): “Il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino” (n. 1). Solo se c’è in noi una speranza certa potremo dare senso alla vita e riusciremo a vivere i nostri giorni con un amore più forte di ogni possibile delusione o stanchezza, perché è “la vera speranza cristiana” - come afferma Papa Francesco -, che “genera sempre storia” (Enciclica Evangelii Gaudium, 24 Novembre 2013, n. 181).
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7. La speranza nei vari ambiti della vita. Per imparare a sperare, come per imparare ad amare, allora, occorre mettersi in gioco credendo, fidandosi e affidandosi, aprendo senza riserve le porte del cuore al Signore. La speranza teologale è quella che ci fa “prigionieri” del Risorto (“prigionieri della speranza”, dice il profeta Zaccaria: 9,12), afferrati da Lui, che è la speranza che non ci deluderà mai. Questa speranza illumina tutti gli ambiti della vita di coloro che credono: se consacrati, è la speranza del Regno cha dà senso pieno alla vita spesa con cuore indiviso per Dio, sommamente amato; se sacerdoti, è la speranza che fa spendere la propria esistenza per offrire a tutti il dono della riconciliazione, annunciando la Parola e spezzando il pane di vita eterna, e guidando la comunità cristiana sui sentieri della verità e della pace; se sposi, è la speranza che li unisce e li sostiene nella fatica dei giorni per mantenere vivo e fedele il patto nuziale; se genitori, è la speranza che li spinge ad aprirsi alla vita, generando i figli e accompagnandoli con l’impegno quotidiano della crescita e dell’educazione; se giovani, è la speranza che li porta a sognare un futuro di bellezza e a pagare il prezzo d’amore per realizzarlo, sogno così prezioso che Papa Francesco non esita a ripetere loro “Non lasciatevi rubare la speranza!” (Domenica delle Palme, 24 Marzo 2013); se educatori, è la speranza che li nutre nel dedicarsi alla formazione delle nuove generazioni, in particolare nella scuola e nell’università; per chi lavora, è la speranza che ogni lavoro onesto richiede per essere vissuto con dedizione e professionalità; per chi vive con impegno la propria fede, è la speranza che motiva il dedicarsi al servizio del Vangelo nella comunità cristiana e nella società, oltre che quello vissuto nelle varie forme dell’associazionismo ispirato alla fede; per chi ha il dono di relazioni amicali, è la speranza che fa accompagnare con attenzione e generosità gli amici; per chi è impegnato nella carità, è la speranza che lo spinge a mettersi al servizio dei poveri e dei bisognosi, sostenendoli nel cammino con profondo rispetto della loro dignità; per chi si impegna in politica, è la speranza che anima la sua azione al servizio del bene comune, intendendo l’agire politico come una delle forme più alte della carità. Questa speranza risplende nella Croce del Risorto e inonda il cuore di chi lo accoglie nella propria vita. Perciò, alla Croce gloriosa la fede della Chiesa non esita a cantare: “O Crux ave, spes unica, / hoc Passionis tempore!” “Ave Croce, unica speranza, in questo tempo di passione!” (inno Vexilla Regis di Venanzio Fortunato).
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