venerdì 2 giugno 2017

Religioni e violenza. Quale via per la pace? di Giovanni Mazzillo

Religioni e violenza. 
Quale via per la pace?
 di Giovanni Mazzillo

Università “Magna Grecia”. 
Seminario di Storia delle Religioni
11.05.2017



Una tesi ricorrente, ma eccessiva, come tutti i principi generali applicati ai fenomeni umani, recita: «Le religioni sono causa di violenza e di conflitti». Basta a confermalo una ricerca, anche la più veloce possibile, in Internet, sui termini di riferimento per vedere apparire un listato che sembra non finire mai. Più correttamente, René Girard, nel suo volume Violenza e religione, pone criticamente un importante interrogativo nel sottotitolo del suo saggio: «Causa o effetto?» (1) . Approfondendo la ricostruzione della natura sacrificale delle religioni, a partire dalla sua prima opera sulla materia, La violenza e il sacro (1972) e dopo avere individuato nei suoi precedenti lavori lo spostamento dal sacrificio umano al sacrificio degli animali, l’autore annota l’importante passaggio dal senso di colpa collettiva alla figura del “capro espiatorio” (2) . Esamina, da antropologo, la strumentalizzazione di cui è stata vittima la religione nelle antiche come nelle moderne culture. E tuttavia non viene mai meno alla sua convinzione dell’interconnessione tra sacro e violenza a motivo della sua teoria della «rivalità mimetica»3 . L’autore constata, però, che nei Vangeli, non compare più un “dio della violenza” ma un Dio che, anziché placarsi con le vittime, è dalla parte delle stesse vittime. In Cristo diventa egli stesso una di loro, sicché le vittime sono valorizzate esattamente per la loro totale innocenza. A partire da tale capovolgimento, secondo Girard, come secondo ogni mente consapevole, scatta come un appello esistenziale che invoca una scelta: stare dalla parte delle vittime o dalla parte dei carnefici? In questo contesto, citando Simone Weil, si può dire che i Vangeli oltre ad essere una teoria su Dio sono una teoria sull'uomo4 . Venendo ai nostri giorni più che di sacro e di sacrificio, si parla di religione e violenza, con un binomio che incute timore nei più, viene negato aprioricamente e sbrigativamente da alcuni, mentre è ribadito e martellato acriticamente da molti, dalle aule universitarie ai bar di provincia. Viene utilizzato in maniera strumentale da parte di chi nega a qualsiasi religione, se non il diritto di cittadinanza, la sua plausibilità sul piano logico, considerando (ancora) il fenomeno religioso un sottoprodotto dell’umanità o almeno uno stadio primitivo in via di superamento. Ci cimenteremo oggi in una ricerca – anche se rapida, per ragioni di tempo - con ciò che c’è di vero e di falso, o almeno di esagerato, in affermazioni riguardante l’agomento.
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Se non tutte le religioni sono violente e intolleranti, è però vero che il senso di Dio, in quanto Assoluto, può portare sia i “potenti di turno”, sia i cosiddetti “credenti” sprovveduti, alle più aberranti variabili di assolutismo: l’assolutismo politico (nelle varie forme di esasperata ed esasperante teocrazia, dove il sovrano è manifestazione e attualizzazione del regno di Dio); l’assolutismo teologico (in tutte le forme di esclusivismo, nel quale la vita eterna è solo esclusivamente per gli appartenenti alla propria religione); l’assolutismo nazionalistico e tribale (nelle forme aberranti e criminali di chi fa coincidere non solo appartenenza ed l’identità, ma anche appartenenza e diritto alla vita: chi non è della nostra tribù non ha diritto di vivere). Ovviamente in tali posizioni manca il rispetto dell’altro come diverso. Manca anche il rispetto di Dio. Chi vuole Dio tutto e solo per sé rifiuta la caratteristica precipua di Dio che è Alterità, diversità, realtà altra da come l’immaginiamo e pertanto Trascendenza. Siamo pertanto fermamente convinti, e questa è anche la nostra posizione, che chi nega il diritto di cittadinanza al diverso lo nega a Dio. Insomma compie violenza verso l’altro e verso Dio, bestemmia il nome di Dio (23). La violenza è il frutto non solo dell’intolleranza, ma anche del fanatismo religioso che esclude gli altri, che esclude chiunque non appartenga alla propria cerchia, spesso vera e propria setta falsamente ritenuta religiosa(24). Contro la deriva di una fede degradata a volontà omicida occorre reagire in nome della stessa fede, come ripete Papa Francesco e come è logico che sia. Di converso, come espresso più volte, la religione ha costitutivamente bisogno dell’altro e del rispetto del diverso. Solo così asseconda l’essenza della religione. Se tale essenza ancora non del tutto chiara a tutti, per noi è senza dubbio la pace. Ragion per cui si può affermare che la religione senza la pace non esiste. Senza la dimensione della pace, scade in una patologia o ne diventa una tragica caricatura (25) 
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