domenica 26 marzo 2017

L’Europa ritrova speranza quando l’uomo è il centro e il cuore delle sue istituzioni... L’Europa ritrova speranza nella solidarietà" Il discorso di Papa Francesco ai capi di Stato e di Governo UE

L’Europa ritrova speranza quando l’uomo è il centro e il cuore delle sue istituzioni...
L’Europa ritrova speranza nella solidarietà, ... 
quando non si chiude nella paura di false sicurezze
quando investe nello sviluppo e nella pace,
ritrova speranza quando si apre al futuro.

Papa Francesco


Udienza nella Sala Regia in Vaticano 

dei 27 Capi di Stato e di Governo 
dell'Unione europea 
con le rispettive delegazioni 
in occasione del 60° anniversario 
dei Trattati di Roma.

Venerdì, 24 marzo 2017








Illustri Ospiti,
Vi ringrazio per la Vostra presenza questa sera, alla vigilia del 60° anniversario della firma dei Trattati istitutivi della Comunità Economica Europea e della Comunità Europea dell’Energia Atomica. A ciascuno desidero significare l’affetto che la Santa Sede nutre per i Vostri rispettivi Paesi e per l’Europa intera, ai cui destini è, per disposizione della Provvidenza, inscindibilmente legata.
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Ritornare a Roma sessant’anni dopo non può essere solo un viaggio nei ricordi, quanto piuttosto il desiderio di riscoprire la memoria vivente di quell’evento per comprenderne la portata nel presente. Occorre immedesimarsi nelle sfide di allora, per affrontare quelle dell’oggi e del domani. Con i suoi racconti, pieni di rievocazioni, la Bibbia ci offre un metodo pedagogico fondamentale: non si può comprendere il tempo che viviamo senza il passato, inteso non come un insieme di fatti lontani, ma come la linfa vitale che irrora il presente. Senza tale consapevolezza la realtà perde la sua unità, la storia il suo filo logico e l’umanità smarrisce il senso delle proprie azioni e la direzione del proprio avvenire.
Il 25 marzo 1957 fu una giornata carica di attese e di speranze, di entusiasmo e di trepidazione, e solo un evento eccezionale, per la portata e le conseguenze storiche, poteva renderla unica nella storia. La memoria di quel giorno si unisce alle speranze dell’oggi e alle attese dei popoli europei che domandano di discernere il presente per proseguire con rinnovato slancio e fiducia il cammino iniziato.
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La rievocazione del pensiero dei Padri sarebbe infatti sterile se non servisse a indicarci un cammino, se non diventasse stimolo per l’avvenire e sorgente di speranza. Ogni corpo che perde il senso del suo cammino, cui viene a mancare questo sguardo in avanti, patisce prima un’involuzione e a lungo andare rischia di morire. Quale dunque il lascito dei Padri fondatori? Quali prospettive ci indicano per affrontare le sfide che ci attendono? Quale speranza per l’Europa di oggi e di domani?

Le risposte le ritroviamo proprio nei pilastri sui quali essi hanno inteso edificare la Comunità economica europea e che ho già ricordati: la centralità dell’uomo, una solidarietà fattiva, l’apertura al mondo, il perseguimento della pace e dello sviluppo, l’apertura al futuro. A chi governa compete discernere le strade della speranza - questo è il vostro compito: discernere le strade della speranza - , identificare i percorsi concreti per far sì che i passi significativi fin qui compiuti non abbiano a disperdersi, ma siano pegno di un cammino lungo e fruttuoso.

L’Europa ritrova speranza quando l’uomo è il centro e il cuore delle sue istituzioni.
 Ritengo che ciò implichi l’ascolto attento e fiducioso delle istanze che provengono tanto dai singoli, quanto dalla società e dai popoli che compongono l’Unione. Purtroppo, si ha spesso la sensazione che sia in atto uno “scollamento affettivo” fra i cittadini e le Istituzioni europee, sovente percepite lontane e non attente alle diverse sensibilità che costituiscono l’Unione. Affermare la centralità dell’uomo significa anche ritrovare lo spirito di famiglia, in cui ciascuno contribuisce liberamente secondo le proprie capacità e doti alla casa comune. È opportuno tenere presente che l’Europa è una famiglia di popoli [14] e – come in ogni buona famiglia – ci sono suscettibilità differenti, ma tutti possono crescere nella misura in cui si è uniti. L’Unione Europea nasce come unità delle differenze e unità nelle differenze. Le peculiarità non devono perciò spaventare, né si può pensare che l’unità sia preservata dall’uniformità. Essa è piuttosto l’armonia di una comunità. I Padri fondatori scelsero proprio questo termine come cardine delle entità che nascevano dai Trattati, ponendo l’accento sul fatto che si mettevano in comune le risorse e i talenti di ciascuno. Oggi l’Unione Europea ha bisogno di riscoprire il senso di essere anzitutto “comunità” di persone e di popoli consapevole che «il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma»[15] e dunque che «bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti»[16]. I Padri fondatori cercavano quell’armonia nella quale il tutto è in ognuna delle parti, e le parti sono – ciascuna con la propria originalità – nel tutto.

L’Europa ritrova speranza nella solidarietà, che è anche il più efficace antidoto ai moderni populismi. La solidarietà comporta la consapevolezza di essere parte di un solo corpo e nello stesso tempo implica la capacità che ciascun membro ha di “simpatizzare” con l’altro e con il tutto. Se uno soffre, tutti soffrono (cfr 1 Cor 12,26). Così anche noi oggi piangiamo con il Regno Unito le vittime dell’attentato che ha colpito Londra due giorni fa. La solidarietà non è un buon proposito: è caratterizzata da fatti e gesti concreti, che avvicinano al prossimo, in qualunque condizione si trovi. Al contrario, i populismi fioriscono proprio dall’egoismo, che chiude in un cerchio ristretto e soffocante e che non consente di superare la limitatezza dei propri pensieri e “guardare oltre”. Occorre ricominciare a pensare in modo europeo, per scongiurare il pericolo opposto di una grigia uniformità, ovvero il trionfo dei particolarismi. Alla politica spetta tale leadership ideale, che eviti di far leva sulle emozioni per guadagnare consenso, ma piuttosto elabori, in uno spirito di solidarietà e sussidiarietà, politiche che facciano crescere tutta quanta l’Unione in uno sviluppo armonico, così che chi riesce a correre più in fretta possa tendere la mano a chi va più piano e chi fa più fatica sia teso a raggiungere chi è in testa.
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L’Europa ritrova speranza quando non si chiude nella paura di false sicurezze. Al contrario, la sua storia è fortemente determinata dall’incontro con altri popoli e culture e la sua identità «è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale»[17]. C’è interesse nel mondo per il progetto europeo. C’è stato fin dal primo giorno, con la folla assiepata in piazza del Campidoglio e con i messaggi gratulatori che giunsero da altri Stati. Ancor più c’è oggi, a partire da quei Paesi che chiedono di entrare a far parte dell’Unione, come pure da quegli Stati che ricevono gli aiuti che, con viva generosità, sono loro offerti per far fronte alle conseguenze della povertà, delle malattie e delle guerre. L’apertura al mondo implica la capacità di «dialogo come forma di incontro»[18] a tutti i livelli, a cominciare da quello fra gli Stati membri e fra le Istituzioni e i cittadini, fino a quello con i numerosi immigrati che approdano sulle coste dell’Unione. Non ci si può limitare a gestire la grave crisi migratoria di questi anni come fosse solo un problema numerico, economico o di sicurezza. La questione migratoria pone una domanda più profonda, che è anzitutto culturale. Quale cultura propone l’Europa oggi? La paura che spesso si avverte trova, infatti, nella perdita d’ideali la sua causa più radicale. Senza una vera prospettiva ideale si finisce per essere dominati dal timore che l’altro ci strappi dalle abitudini consolidate, ci privi dei confort acquisiti, metta in qualche modo in discussione uno stile di vita fatto troppo spesso solo di benessere materiale. Al contrario, la ricchezza dell’Europa è sempre stata la sua apertura spirituale e la capacità di porsi domande fondamentali sul senso dell’esistenza. All’apertura verso il senso dell’eterno è corrisposta anche un’apertura positiva, anche se non priva di tensioni e di errori, verso il mondo. Il benessere acquisito sembra invece averle tarpato le ali, e fatto abbassare lo sguardo. L’Europa ha un patrimonio ideale e spirituale unico al mondo che merita di essere riproposto con passione e rinnovata freschezza e che è il miglior rimedio contro il vuoto di valori del nostro tempo, fertile terreno per ogni forma di estremismo. Sono questi gli ideali che hanno reso Europa quella “penisola dell’Asia” che dagli Urali giunge all’Atlantico.

L’Europa ritrova speranza quando investe nello sviluppo e nella pace. Lo sviluppo non è dato da un insieme di tecniche produttive. Esso riguarda tutto l’essere umano: la dignità del suo lavoro, condizioni di vita adeguate, la possibilità di accedere all’istruzione e alle necessarie cure mediche. «Lo sviluppo è il nuovo nome della pace»[19], affermava Paolo VI, poiché non c’è vera pace quando ci sono persone emarginate o costrette a vivere nella miseria. Non c’è pace laddove manca lavoro o la prospettiva di un salario dignitoso. Non c’è pace nelle periferie delle nostre città, nelle quali dilagano droga e violenza.

L’Europa ritrova speranza quando si apre al futuro. Quando si apre ai giovani, offrendo loro prospettive serie di educazione, reali possibilità di inserimento nel mondo del lavoro. Quando investe nella famiglia, che è la prima e fondamentale cellula della società. Quando rispetta la coscienza e gli ideali dei suoi cittadini. Quando garantisce la possibilità di fare figli, senza la paura di non poterli mantenere. Quando difende la vita in tutta la sua sacralità.

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Discorso integrale ai Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea - 24 marzo 2017




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Il discorso integrale di Papa Francesco