domenica 5 marzo 2017

"Diamo senso alla vita seguendo il Signore Gesù" - Mons. Bruno Forte, Messaggio dell'Arcivescovo di Chieti-Vasto per la Quaresima

"Diamo senso alla vita 
seguendo il Signore Gesù"  
Mons. Bruno Forte,
Messaggio dell'Arcivescovo Metropolita 
di Chieti-Vasto 
per la Quaresima 2017




1. Dall’ebbrezza del senso alla sua crisi. L’epoca moderna è stata dominata nella cultura occidentale dal sogno dell’“emancipazione”, che il giovane Marx definiva come «la riconduzione del mondo e di tutti i rapporti umani all’uomo stesso» (La questione giudaica, 1849), l’impegno, cioè, volto a rendere ogni essere umano padrone del proprio destino, custode e protagonista del suo domani. Questo sogno ha ispirato i grandi processi emancipatori dell’epoca moderna, da quelli dei popoli del cosiddetto terzo mondo a quelli delle classi sfruttate e delle razze oppresse, da quelli della donna nella varietà dei contesti culturali e sociali a quelli delle giovani generazioni. L’ebbrezza di dare senso a ogni cosa si è però scontrata con la violenza dei totalitarismi e delle guerre mondiali, con 
le atrocità della Shoah e dei vari genocidi, con la crisi delle ideologie e il fallimento delle loro ambizioni. A sua volta, la crisi economica mondiale ha tolto forza ai sogni di tanti giovani, cui la prospettiva della mancanza di lavoro sembra oggi rubare ogni speranza di un futuro migliore. Dall’ebbrezza del senso si è passati a una diffusa condizione di disillusione, spesso divenuta disimpegno e rinuncia alla ricerca di un nuovo futuro (è quanto avviene in molti dei cosiddetti “Neet”, giovani senza impegni scolastici, di lavoro o di formazione: “not (engaged) in education, employment or training”). Anche per questo, i giovani sono fra le categorie più deboli delle nostre società postmoderne. 

2. La tentazione, l’inganno e la proposta. In questa situazione, le nuove generazioni diventano facile preda di tentazioni e d’inganni: c’è chi specula su di esse, seducendole con la proposta di un piacere effimero e vuoto (dalle tossicodipendenze ai video giochi, dalle mode imposte con le tecniche di persuasione di massa alle manipolazioni politiche e culturali). Di fronte a una realtà mortificante, si stimola il bisogno di evasione da essa e la fuga dalle responsabilità. Si offrono sicurezze apparenti, sperimentazioni consolatorie e forme alienanti di disimpegno sociale, politico, religioso e affettivo. Si tende a riempire il vuoto del cuore con gratificazioni facilmente raggiungibili, senza prospettive di futuro significativo. Ogni amico dei giovani, genitore, educatore o responsabile della comunità cristiana, non dovrebbe esitare a denunciare questo pericolo, stimolando i giovani a porsi la domanda sul senso della propria vita e a mettersi in gioco per trovare risposte in grado di motivare l’impegno e di sostenere i sacrifici necessari a realizzare quanto possa essere valido e bello per sé e per gli altri. In modo particolare, va proposto ai giovani l’amore per il prossimo e quello per Dio, perché solo chi ama con generosità trova il senso della vita. Tutti - giovani, genitori, educatori, pastori - dovremmo impegnarci perché giunga credibilmente a ogni ragazzo o ragazza la proposta dell’amore che libera e salva.

3. Vincere le insidie. I giovani d’oggi sono avvolti da non poche insidie, che vanno riconosciute per essere superate. Molto spesso si trovano a operare in contesti segnati dalla “contaminazione”, sono sedotti dalla corsa alla “fruizione” e sperimentano amaramente varie forme di “frustrazione”. La contaminazione si affaccia lì dove tutto appare vuoto, sporco, infondato: “insostenibile leggerezza dell’essere” (Milan Kundera), irrefrenabile caduta nel nulla. Si propaga la rincorsa alla fruizione, la sete di bruciare l’istante, consumando con intensità l’attimo che passa: dove nulla ha senso, la vita sembra risolversi nella ricerca del piacere immediato. Da questa ansia della fruizione dipende la diffusa difficoltà dei giovani a essere perseveranti: se è frequente una certa euforia iniziale in ciò che fanno, ben presto essa svanisce. L’aggrapparsi all’evanescenza della fruizione immediata condanna tanti giovani a vivere il proprio presente come frustrazione, esperienza di una resa triste e a volte disperata, perché la fruizione pura e semplice non riesce a dare durevole senso alla vita. Sono questi i tratti della crisi di fronte alla quale molti giovani si trovano: la “cultura forte” dell’ideologia si è frantumata nei tanti rivoli delle “culture deboli”, in quella “folla delle solitudini“ in cui è soprattutto rilevante la mancanza di orizzonti comuni, la penuria di speranze “in grande”. Dove muoiono le speranze vere, trionfa il calcolo di bassa lega: alle ragioni del vivere e del vivere insieme, si sostituisce la rivendicazione dell’immediatamente utile e conveniente, la rincorsa al piacere, la protesta fondata sull’ottica breve, ottusa e velleitaria. 

4. Cercare e trovare ragioni di vita e di speranza. Il superamento del mondo chiuso delle ideologie totalitarie e violente, come del nichilismo postmoderno, può avvenire cercando e trovando ragioni di vita e di speranza sulla via dell’amore. Questo è possibile anzitutto grazie alla scoperta dell’altro, nella presa d’atto cioè della sfida che il prossimo rappresenta nei confronti di ogni assolutizzazione del nostro io. Col solo fatto di esserci, il prossimo - specie se umile e scartato da chi più ha - ci chiama a uscire da noi stessi e a impegnarci in un servizio d’amore. Accanto alla «felicità di consumazione» dell’egoista, che vuol solo raggiungere i propri scopi e goderne in un vuoto sempre maggiore di senso, c’è una «felicità di produzione», quella di chi capisce che si ha un motivo per vivere quando si ha qualcuno da amare. Il volontariato, l’interesse al prossimo più debole e la risposta consapevole alle esigenze della solidarietà, possono così profilarsi come altrettante vie della ricerca del senso della vita. Si affaccia in molti un’attesa che potrebbe definirsi religiosa, un bisogno di un orizzonte ultimo attraente, di un’ultima patria. “Ripartire da Dio” non appare più progetto esclusivo dei credenti: è sfida e urgenza per tutti. In molti, poi, cresce l’esigenza di un nuovo consenso intorno alle evidenze etiche: essa nasce dall’urgenza di definire con chiarezza le cose come sono e di fare il bene non per il vantaggio che se ne può trarre, ma per la forza che il bene ha in se stesso. Si profila il desiderio di scoprire l’amore per cui valga la pena di vivere, al di là di ogni calcolo e di ogni progetto misurato soltanto su un orizzonte immediato. Aveva intuito tutto questo il Concilio Vaticano II, quando nella Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes aveva affermato: «Legittimamente si può pensare che il futuro dell’umanità sia riposto nelle mani di coloro che saranno capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza»(n. 31). 

5. Gesù Cristo, “nostra speranza”. Per la fede cristiana è Cristo, crocefisso e risorto, Colui nel quale il Dio trascendente e sovrano è venuto in pienezza a comunicarsi a noi: è Lui la speranza che non delude. L’incontro con Gesù cambia il cuore e la vita: la Verità non si offre in Lui come qualcosa che si possiede, ma come Qualcuno che ci possiede nella forza del Suo amore e nella comunione del Suo popolo. Gesù si presenta anzitutto come la Parola uscita dall’eterno Silenzio di Dio: al suo rivelarsi per amore nostro siamo chiamati a rispondere con l’obbedienza della fede. L’incontro con Lui apre il cuore alla vita eterna di Dio, che supera ogni chiuso orizzonte di una speranza solo umana. A Cristo, rivelazione del Padre, occorre accostarsi nel silenzio dell’ascolto e dell’adorazione e nella disponibilità a giocare la propria vita per Lui e insieme con Lui per gli altri, per amore. È in questa luce che ognuno deve porsi la domanda sulla propria vocazione, sul disegno cioè che il Signore ha sulla vita di ciascuno in vista del bene che potrà fare al servizio di tutti. Nessuna persona umana è un caso: ognuno, creato per amore, dallo stesso Creatore è chiamato a realizzare un progetto di vita e di bene, che nessun altro potrà attuare al suo posto. Interrogarsi sulla propria vocazione e impegnarsi a rispondere ad essa con generosità e fedeltà è per tutti, specialmente per i giovani, esigenza fondamentale e condizione necessaria per essere e volersi pienamente umani secondo il disegno del Signore. 

6. L’esempio di Gesù: il suo esodo da sé fino alla fine. Gesù ci offre il dono dell’amore vivendo in prima persona l’esodo da sé fino alla fine, la consegna di se stesso al Padre sulle braccia della Croce: accettando di esistere per Dio e per gli uomini, il Nazareno è libero da sé in maniera incondizionata, libero per amare fino in fondo. La sua vita pubblica si apre e si chiude con due grandi opzioni di libertà: quella compiuta nell’ora della tentazione e quella del Getsemani. Che cosa sono queste scelte se non il Suo porsi di fronte all’alternativa radicale nella libertà più profonda? Agostino ne riassume il senso con queste parole: “L’amore di sé fino alla dimenticanza di Dio o l’amore di Dio fino alla dimenticanza di sé” (De Civitate Dei, XIV, 28). Cristo è colui che ha fatto la scelta radicale per Dio, libero da sé, libero per amore degli altri. Questa suprema libertà giunge fino all’esodo da sé senza ritorno vissuto sulla Croce: al vertice del suo cammino di libertà Gesù sperimenta il supremo abbandono per accogliere il dono della vita divina e per offrirlo al mondo. I suoi discepoli sono chiamati a fare la stessa scelta nella forza dello Spirito del Signore risorto. La Chiesa tutta è impegnata a essere una comunità libera da interessi mondani, decisa a non servirsi degli uomini, ma a servirli per la causa di Dio e del Vangelo, una comunità che vive nella sequela del Signore Gesù, pronta a lasciarsi riconoscere nel dono di sé senza ritorno, anche se in termini umani questo dovesse risultare improduttivo o perdente. Il suo modello è Cristo crocifisso, la sua forza è il dono dello Spirito che lo ha risuscitato dai morti. 

7. Il primato della dimensione contemplativa della vita. 
Gesù Risorto, Signore della vita, vive infine l’esodo da questo mondo al Padre, il ritorno alla gloria da cui è venuto. Egli testimonia la vittoria di Dio sul male e sulla morte ed effonde nei nostri cuori lo Spirito senza misura, per renderci capaci di entrare in questa vittoria e farla nostra nel quotidiano della nostra vita. Perciò la fede in Lui è tutta pervasa di speranza e i cristiani, anche in un mondo che ha perso il gusto a porsi la domanda sul senso, sanno di dover avere sempre a cuore l’Eterno, testimoniando l’orizzonte più grande, dischiuso dall’azione liberante di Dio sul Crocifisso. Render ragione della speranza che è in loro con dolcezza e rispetto per tutti (cf. 1 Pt 3,15) è quanto è richiesto ai discepoli del Signore. Questo è possibile con la forza che viene dall’alto: si comprende qui la necessità di riconoscere il primato della dimensione contemplativa della vita, mantenendo il cuore aperto al Signore e attento alla città celeste, che in Lui ci è rivelata ed offerta. C’è bisogno di cristiani adulti, convinti della loro fede, esperti della vita secondo lo Spirito, pronti a rendere ragione della loro speranza. Se necessario occorre anche rinunciare a ciò che immediatamente può sembrare più sicuro o più utile, perché risplenda Cristo al centro del nostro cuore. Ci è chiesto, insomma, - specialmente in relazione ai giovani cui indirizziamo la proposta cristiana - di vivere il primato della fede, nascosti con Cristo in Dio, resi da ciò capaci di vivificare dall’interno con il Suo amore ogni scelta e comportamento. 8. Farsi servi per amore. “Nascosti con Cristo in Dio” (Col 3,3), i cristiani sono chiamati a farsi servi degli altri, vivendo l’esodo da sé senza ritorno nella sequela del Signore Gesù, per amore specialmente dei più deboli e dei più poveri dei loro compagni di strada. Se Cristo è al centro della nostra vita, allora non possiamo chiamarci fuori della storia di sofferenza e di lacrime in cui Egli ha conficcato la Sua Croce per estendervi la potenza della Sua vittoria pasquale. Non si realizza il compito affidatoci dal Maestro attraverso fughe dalle responsabilità del servizio: il mondo uscito dal naufragio dei totalitarismi ideologici e segnato dalle inquietudini del postmoderno ha come mai bisogno di una carità concreta, discreta e solidale, che sappia farsi compagnia della vita e costruire la via in comunione, irradiando il Cristo Salvatore. Ciò richiede che i credenti sappiano offrire modelli concreti di carità vissuta, da cui specialmente i giovani possano sentirsi attratti, contagiati dal gusto di fare scelte di amore e di servizio alla scuola del Dio “compassionato”. Si tratta di mettere al primo posto non un interesse mondano o un calcolo politico, ma l’esclusivo interesse alla causa della verità e della giustizia per tutti; si tratta in nome di questo di giocare la vita, se necessario portando la croce, cercando con tutti la via in comunione. I giovani hanno bisogno di incontrare testimoni credibili di questo coraggio della verità, ispirato alla carità e vissuto con umiltà e fortezza. 


9. Vivere da “prigionieri della speranza”. Presente a ogni situazione umana, solidale col povero e con l’oppresso, la Chiesa è chiamata a tenere lo sguardo fisso sul Cristo, suo Signore, nel quale riporre totalmente la sua speranza: al cristiano non sarà lecito identificare questa speranza con una delle tante speranze della storia. Si tratta di assumere le diverse attese umane e di verificarle al vaglio della resurrezione del Crocifisso, che da una parte sostiene ogni impegno autentico di liberazione e di promozione umana, dall’altra contesta ogni assolutizzazione di mete terrene. In questo duplice senso, la speranza della resurrezione è resurrezione della speranza: essa dà vita a quanto è prigioniero della morte e giudica inesorabilmente quanto presuma farsi idolo dei cuori. Perciò la Chiesa non può identificarsi con alcuna ideologia, forza partitica o sistema, ma di tutti dovrà essere coscienza critica, stimolo affinché si promuova tutto l’uomo in ogni uomo secondo il progetto dell’Altissimo. Si tratta di far maturare coscienze adulte, desiderose di piacere a Dio in ogni scelta, pronte a vivere della speranza più grande. Ai giovani si potrà trasmettere il senso profondo della vita e della storia solo a prezzo di vivere credibilmente il mistero dell’Avvento nel cuore della vicenda umana, senza nostalgie o rinunce di sorta, pronti a dire sempre, con la parola e con la vita “Maràna tha” - “Vieni, Signore” (1 Cor 16,22), nella certezza che Lui è già in atto di venire. La domanda che s’impone è allora stringente: siamo una Chiesa così? Siamo i “prigionieri della speranza” (Zac 9,12) che non delude, specialmente fra i giovani, futuro del mondo, chiamati a essere essi stessi testimoni della speranza che vinca il dolore e la morte? 

10. In preghiera… 
Specialmente in questo tempo forte della Quaresima e nella Pasqua cui esso conduce, chiediamo a Dio che si realizzi in noi la parola del Profeta: “Quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi” (Is 40, 31). Presentiamo questa richiesta al Padre in unione al Signore Gesù, invocando lo Spirito che Lui risorto ha effuso nella storia: 

Vieni, Spirito Santo, fa’ di noi i testimoni innamorati e contagiosi della verità che salva! 
Vieni a renderci radiosi della luce e della gioia che il Verbo della vita comunica ai cuori nella fede. Effondi in noi l’amore di Dio, 
che faccia di ciascuno di noi trasparenza del volto di Cristo 
per il nostro prossimo nelle piccole e grandi storie della carità. 
Sia Lui in noi ardente speranza, 
anticipazione militante dell’eterno futuro, pegno e caparra della gloria, sospirata e attesa: 
e la nostra vita possa tirare nel presente del mondo l’avvenire della promessa di Dio,
 testimoniando credibilmente in gesti e parole d’amore la speranza che non delude.
Amen! Alleluia!

                                                                                      + Bruno 
                                                                                     Padre Arcivescovo