sabato 18 marzo 2017

"Amministrare nella Chiesa italiana dopo Firenze" di Mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale della CEI

"Amministrare nella Chiesa italiana dopo Firenze" 
di Mons. Nunzio Galantino, 
Segretario Generale 
della Conferenza Episcopale Italiana,
Vescovo emerito di Cassano all’Jonio


 Istituto Centrale Sostentamento Clero 
Roma, 13 Marzo 2107

"... abbiamo bisogno di ricordare continuamente che i nostri gesti e tutte le nostre scelte – anche in ambito amministrativo – vanno ricondotte al Vangelo. Questo riferimento non possiamo metterlo tra parentesi. Come non possono essere messe tra parentesi le indicazioni che la Chiesa universale e la stessa Chiesa italiana continuano a darsi e lo stile al quale invitano soprattutto in questi ultimi tempi, anche in ambito amministrativo. Mi permetto di riportare, a questo proposito, due passaggi contenuti nella Evangelii gudium: «L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32,1-35) ha trovato – si legge al n. 55 – una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano». E un po’ più avanti, al n. 58: «Vi esorto alla solidarietà disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza a un’etica in favore dell’essere umano».
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1. Il coraggio e l’umiltà di una Ecclesia semper reformanda
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Bisogna avere il coraggio, in alcune circostanze, di stabilire o ristabilire priorità riconoscibili come “priorità di Chiesa”, priorità di gente cioè che crede a un Vangelo vero, possibile e praticabile anche nell’ amministrazione dei beni; priorità di una Chiesa che non è disposta a mettere tra parentesi tutto ciò. Praticarsi degli sconti, in questo ambito, vuol dire dimenticare la dimensione pastorale e testimoniale del vostro lavoro, che investe sia le relazioni con le persone sia la relazione con i beni; relazioni che devono essere sempre improntate alla lealtà, al rispetto e alla giustizia. La natura delle cose che trattiamo (denaro, beni mobili e immobili) non ci colloca in una sorta di zona franca. Colpisce la concretezza e l’immediatezza di quanto si legge al n. 95 della Evangelii gaudium che, fatte le dovute proporzioni, può valere anche per l’ambito in cui voi venite chiamati a operare: «la mondanità spirituale – ammonisce papa Francesco - si nasconde dietro il fascino di poter mostrare conquiste sociali e politiche, o in una vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche (…). Oppure si esplica in un funzionalismo manageriale, carico di statistiche, pianificazioni e valutazioni, dove il principale beneficiario non è il Popolo di Dio ma piuttosto la Chiesa come organizzazione. In tutti i casi, è priva del sigillo di Cristo incarnato, crocifisso e risuscitato, si rinchiude in gruppi di élite, non va realmente in cerca dei lontani né delle immense moltitudini assetate di Cristo». L’orizzonte all’interno del quale veniamo chiamati a muoverci è l’orizzonte tracciato dal Papa a Firenze, di una Chiesa semper reformanda; di una Chiesa che si lascia portare dal “soffio potente” e “inquietante” dello Spirito(2) , anche nella gestione di ciò che attiene alla sua organizzazione. È l’orizzonte all’interno del quale si sta muovendo l’episcopato italiano, impegnato ultimamente e con grande insistenza in una riflessione sul Rinnovamento del clero, a partire dalla formazione permanente. Rinnovamento che non ignora le responsabilità amministrative che gravano anche sui presbiteri (3) .
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2. Ecclesia semper reformanda: dal “fare per fare” all’ “essere prima di fare”
Per fare questo, il Papa a Firenze ha messo in guardia la Chiesa italiana dall’accontentarsi di un riferimento debole o residuale a Cristo. Solo Lui – aveva già ribadito Francesco al n. 16 della Evangelii gaudium - «può rompere gli schemi noiosi nei quali pretendiamo di imprigionarlo e ci sorprende con la sua costante creatività divina. Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale» (EG, 11).
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È, per rimanere ai nostri giorni, quello che ci ha chiesto papa Francesco a Firenze, aprendo il V Convegno ecclesiale nazionale: «È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo. Il volto è l’immagine della sua trascendenza. È il misericordiae vultus. Lasciamoci guardare da Lui. Gesù è il nostro umanesimo. Facciamoci inquietare sempre dalla sua domanda: «Voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Fissare lo sguardo su Cristo, contemplare e avere in noi i suoi stessi sentimenti non è un di più… tanto poi bisogna darsi da fare e tuffarsi nella storia e nella prassi amministrativa!

3. I percorsi di una Ecclesia semper reformanda: solidarietà, corresponsabilità e trasparnza 
... Quali atteggiamenti rendono credibile un’amministrazione dei beni coerente col Vangelo, contribuendo a dare della Chiesa un’immagine (nel senso nobile della parola) anch’essa credibile? Li raccolgo intorno a tre termini: solidarietà, corresponsabilità e trasparenza
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È sempre vivo il messaggio dell’Episcopato italiano circa l’obiettivo della trasparenza: «Amministrare i beni della Chiesa esige chiarezza e trasparenza. Ai fedeli che contribuiscono con le loro offerte, agli italiani che firmano per l’otto per mille, alle autorità dello Stato e all’opinione pubblica abbiamo reso conto in questi anni di come la Chiesa ha utilizzato le risorse economiche che le sono state affidate. Siamo fermamente intenzionati a continuare su questa linea, cercando, se possibile, di essere ancora più precisi e dettagliati. Nelle nostre comunità si è sviluppata infatti una mentalità gestionale più attenta e una maggiore sensibilità all’informazione contabile. Su questo fronte, tuttavia, dobbiamo ancora crescere: ogni comunità parrocchiale ha diritto di conoscere il suo bilancio contabile, per rendersi conto di come sono state destinate le risorse disponibili e di quali siano le necessità concrete della parrocchia, perché sia all’altezza della sua missione». Mi ha sempre colpito la lucidità con la quale Antonio Rosmini, nell’esporre la sesta delle sette massime per una retta amministrazione, nella quinta delle Cinque piaghe della Chiesa, chiede che «si pubblicasse di poi annuale rendiconto, sicché apparisse a tutto il mondo il ricevuto e lo speso in quegli usi con una estrema chiarezza, sicché l’opinione de’ fedeli di Dio potesse apporre una sanzione di pubblica stima o di biasimo all’impiego di tali rendite, e così ne sarebbero anche i governi informati, senza bisogno di altro. No, per fermo, non conviene, non è espediente che la giustizia e la carità, secondo la quale opera la Chiesa nell’amministrazione economica de’ suoi beni temporali di qualunque specie, resti sotto il moggio nascosta, anzi è più che mai desiderabile che risplenda siccome ardente face sul candeliere. Oh quanto ciò non concilierebbe a lei gli animi de’ fedeli! Che istruzione, che esempio non potrebbe dare all’universo intero!» (A. ROSMINI, Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa)
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