venerdì 31 marzo 2017

«Vi assicuro che tutti noi ci incontreremo nella piazza del Cielo... se noi apriamo i nostri cuori» Papa Francesco Udienza Generale 29/03/2017 (foto, testo e video)


 Udienza Generale 
 29 marzo 2017 


Papa Francesco è arrivato puntuale alle 9.30 in piazza San Pietro, e subito ha cominciato a salutare, baciandoli e accarezzandoli, i bambini – alcuni dei quali ancora in fasce – protagonisti come di consueto degli appuntamenti del mercoledì in piazza San Pietro con i fedeli. Tra le bandiere che sventolano sotto il cielo di Roma, anche quelle biancoazzurre dell’Argentina. Molto nutrita, tra i 13mila fedeli presenti oggi all’udienza generale, anche la rappresentanza dei bambini delle scuole, riconoscibili dai cappellini colorati – giallo, rossi, blu – e dagli striscioni che innalzano orgogliosamente, fatti di cartoncino spesso e variopinto con scritte di omaggio al Papa. Al termine del tragitto in “papamobile”, Francesco è stato festosamente richiamato da un gruppo di fedeli che si sporgevano dalle transenne anteriori, e a piedi – prima di recarsi alla sua postazione al centro del sagrato – li ha raggiungerli per rispondere al loro invito, sorridente e disponibile per le foto e gli immancabili “selfie”.



Guarda il video del saluto ai fedeli



16. La speranza contro ogni speranza (cfr Rm 4,16-25)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Il passo della Lettera di san Paolo ai Romani che abbiamo appena ascoltato ci fa un grande dono. Infatti, siamo abituati a riconoscere in Abramo il nostro padre nella fede; oggi l’Apostolo ci fa comprendere che Abramo è per noi padre nella speranza; non solo padre della fede, ma padre nella speranza. E questo perché nella sua vicenda possiamo già cogliere un annuncio della Risurrezione, della vita nuova che vince il male e la stessa morte.

Nel testo si dice che Abramo credette nel Dio «che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che non esistono» (Rm 4,17); e poi si precisa: «Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo e morto il seno di Sara» (Rm 4,19). Ecco, questa è l’esperienza che siamo chiamati a vivere anche noi. Il Dio che si rivela ad Abramo è il Dio che salva, il Dio che fa uscire dalla disperazione e dalla morte, il Dio che chiama alla vita. Nella vicenda di Abramo tutto diventa un inno al Dio che libera e rigenera, tutto diventa profezia. E lo diventa per noi, per noi che ora riconosciamo e celebriamo il compimento di tutto questo nel mistero della Pasqua. Dio infatti «ha risuscitato dai morti Gesù» (Rm 4,24), perché anche noi possiamo passare in Lui dalla morte alla vita. E davvero allora Abramo può ben dirsi «padre di molti popoli», in quanto risplende come annuncio di un’umanità nuova – noi! -, riscattata da Cristo dal peccato e dalla morte e introdotta una volta per sempre nell’abbraccio dell’amore di Dio.

A questo punto, Paolo ci aiuta a mettere a fuoco il legame strettissimo tra la fede e la speranza. Egli infatti afferma che Abramo «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). La nostra speranza non si regge su ragionamenti, previsioni e rassicurazioni umane; e si manifesta là dove non c’è più speranza, dove non c’è più niente in cui sperare, proprio come avvenne per Abramo, di fronte alla sua morte imminente e alla sterilità della moglie Sara. Si avvicinava la fine per loro, non potevano avere figli, e in quella situazione, Abramo credette e ha avuto speranza contro ogni speranza. E questo è grande! La grande speranza si radica nella fede, e proprio per questo è capace di andare oltre ogni speranza. Sì, perché non si fonda sulla nostra parola, ma sulla Parola di Dio. Anche in questo senso, allora, siamo chiamati a seguire l’esempio di Abramo, il quale, pur di fronte all’evidenza di una realtà che sembra votata alla morte, si fida di Dio, «pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento» (Rm 4,21). Mi piacerebbe farvi una domanda: noi, tutti noi, siamo convinti di questo? Siamo convinti che Dio ci vuole bene e che tutto quello che ci ha promesso è disposto a portarlo a compimento? Ma padre quanto dobbiamo pagare per questo? C’è un solo prezzo: “aprire il cuore”. Aprite i vostri cuori e questa forza di Dio vi porterà avanti, farà cose miracolose e vi insegnerà cosa sia la speranza. Questo è l’unico prezzo: aprire il cuore alla fede e Lui farà il resto.

Questo è il paradosso e nel contempo l’elemento più forte, più alto della nostra speranza! Una speranza fondata su una promessa che dal punto di vista umano sembra incerta e imprevedibile, ma che non viene meno neppure di fronte alla morte, quando a promettere è il Dio della Risurrezione e della vita. Questo non lo promette uno qualunque! Colui che promette è il Dio della Risurrezione e della vita.

Cari fratelli e sorelle, chiediamo oggi al Signore la grazia di rimanere fondati non tanto sulle nostre sicurezze, sulle nostre capacità, ma sulla speranza che scaturisce dalla promessa di Dio, come veri figli di Abramo. Quando Dio promette, porta a compimento quello che promette. Mai manca alla sua parola. E allora la nostra vita assumerà una luce nuova, nella consapevolezza che Colui che ha risuscitato il suo Figlio risusciterà anche noi e ci renderà davvero una cosa sola con Lui, insieme a tutti i nostri fratelli nella fede. Noi tutti crediamo. Oggi siamo tutti in piazza, lodiamo il Signore, canteremo il Padre Nostro, poi riceveremo la benedizione … Ma questo passa. Ma questa è anche una promessa di speranza. Se noi oggi abbiamo il cuore aperto, vi assicuro che tutti noi ci incontreremo nella piazza del Cielo che non passa mai per sempre. Questa è la promessa di Dio e questa è la nostra speranza, se noi apriamo i nostri cuori. Grazie.

Guarda il video della catechesi


Saluti:
...

APPELLO

Sono lieto di salutare la delegazione di sovraintendenze irachene composta da rappresentanti di diversi gruppi religiosi, accompagnata da Sua Eminenza il Cardinale Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. La ricchezza della cara nazione irachena sta proprio in questo mosaico che rappresenta l’unità nella diversità, la forza nell’unione, la prosperità nell’armonia. Cari fratelli, vi incoraggio ad andare avanti su questa strada e invito a pregare affinché l’Iraq trovi nella riconciliazione e nell’armonia tra le sue diverse componenti etniche e religiose, la pace, l’unità e la prosperità. Il mio pensiero va alle popolazioni civili intrappolate nei quartieri occidentali di Mosul e agli sfollati per causa della guerra, ai quali mi sento unito nella sofferenza, attraverso la preghiera e la vicinanza spirituale. Nell’esprimere profondo dolore per le vittime del sanguinoso conflitto, rinnovo a tutti l’appello ad impegnarsi con tutte le forze nella protezione dei civili, quale obbligo imperativo ed urgente.

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. ... La visita alla Città Eterna accresca in ciascuno la comunione con la Chiesa Universale e con il Successore di Pietro.

Rivolgo infine un saluto speciale ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Cari giovani, il tempo quaresimale è prezioso per riscoprire l’importanza della fede nella vita quotidiana; cari ammalati, unite le vostre sofferenze alla croce di Cristo per la costruzione della civiltà dell’amore; e voi, cari sposi novelli, favorite la presenza di Dio nella vostra nuova famiglia.

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Il lieto fine di una storia conclusa con un abbraccio atteso cinque lunghi mesi...

Bimba sbarca da sola a Lampedusa, dopo 5 mesi riabbraccia la mamma

Bimba sbarca da sola a Lampedusa, dopo 5 mesi riabbraccia la mamma

Bimba sbarca da sola a Lampedusa, dopo 5 mesi riabbraccia la mamma a Palermo

Camara Zeinabou, 31 anni, è atterrata all'aeroporto Falcone Borsellino con un volo proveniente da Tunisi. Grazie alle Ong ha scoperto che la piccola Oumoh era in Sicilia. L'ispettrice della Questura di Agrigento Maria Volpe l'ha aiutata a ottenere il passaporto per l'Italia

 

Dopo 5 mesi la piccola Oumoh, bimba ivoriana arrivata da sola a Lampedusa, ha potuto abbracciare la sua mamma. Camara Zeinabou, 31 anni, è atterrata stamattina all'aeroporto Falcone Borsellino con un volo proveniente da Tunisi. Ad accoglierla sottobordo, con un abbraccio e un mazzo di fiori, l'ispettrice della Questura di Agrigento Maria Volpe, che in questi mesi si è occupata di Oumoh e aiutato la sua mamma ad ottenere il passaporto per l'Italia. Con lei anche i vertici della Gesap, la società che gestiste l'aeroporto, Fabio Giambrone e Giuseppe Mistretta. 

LA STORIA - Zeinabou è scappata dal suo Paese, la Costa d'Avorio, per evitare che sottoponessero la figlia all'infibulazione. Ha raggiunto la Tunisia dove ha consegnato la piccola ad un'amica ed ha fatto ritorno a casa per prendere delle cose. Poi è tornata in Tunisia ma Oumoh e l'amica a cui l'aveva lasciata non c'erano più. Si era imbarcate per Lampedusa. La 31enne però non sapeva dove fossero. Solo dopo aver chiesto aiuto alle Organizzazioni non governative tunisine è riuscita a scoprire che la bambina stava bene ed era in Sicilia. L'ispettrice Volpe ha fatto il resto: si è impegnata in prima persona per permettere che oggi mamma e figlia si riabbracciasero recandosi nell'ambasciata ivoriana a Roma per sollecitare il rilascio dei documenti necessari per l'ingresso in Italia della trentunenne.

(fonte: PALERMOTODAY)

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«Il sogno e le delusioni di Dio» - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
30 marzo 2017
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m. 


Papa Francesco:
Il sogno e le delusioni di Dio”

«Il sogno e le delusioni di Dio»: è stato proprio Papa Francesco a suggerire il titolo per la meditazione proposta nella messa celebrata giovedì mattina, 30 marzo, a Santa Marta. «Il passo del libro dell’Esodo che abbiamo sentito, che abbiamo ascoltato — ha detto all’inizio dell’omelia facendo riferimento alla prima lettura (32, 7-14) — possiamo chiamarlo, per dargli un titolo, “il sogno e le delusioni di Dio”». Perché, ha spiegato, «Dio ha sognato e alla fine resta deluso».

«Dio — ha spiegato il Pontefice — ha sognato un popolo e lo ha sognato dall’inizio, ha scelto un uomo, Abramo, lo ha fatto camminare per anni, e un giorno gli ha fatto vedere le stelle: “Guarda le stelle del cielo: così sarà il popolo, la tua discendenza, il mio popolo”». Ecco «il sogno di Dio: sognava perché amava». E «l’amore era tanto — è tanto anche oggi — che non poteva averlo per se stesso, era per darlo».

«Con tanta bontà» Dio «ha promesso questo popolo ad Abramo, già anziano, sposato con una donna sterile: “Tu avrai un figlio e questo figlio sarà la tua discendenza, numerosa come le stelle”. E così è successo». Poi, ha proseguito Francesco, «con gli anni, con i tempi, questo popolo divenne schiavo in Egitto e il Signore va e libera il popolo». E «lo libera e gli fa attraversare il mare come se fosse terra, perché amava e aveva questo desiderio per questo popolo». Insomma, «un padre che amava i suoi figli».

«Ma questo popolo era un popolo difficile» ha affermato il Papa. «In cammino verso la terra definitiva che lui voleva dargli, fece salire sul monte Mosè per dargli la Legge». E «Dio incomincia a sentire la delusione: “Scendi, va, scendi — dice a Mosè — perché il tuo popolo, e il mio popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto — che io ho fatto uscire con il tuo aiuto — si è pervertito”». Infatti, ha spiegato Francesco, «il popolo non ha avuto la pazienza di aspettare Dio, di aspettare quaranta giorni soltanto». Così ha finito addirittura per dire: “E questo Dio, ma... facciamocene un altro”». Allora, ha ricordato il Papa, «hanno fatto un vitello, lì: “E questo è dio, è per divertirsi, almeno per non annoiarsi”». E «si sono dimenticati di Dio che li ha salvati».

«Il profeta Baruc — ha fatto notare il Pontefice — ha una frase che dipinge bene questo popolo: “Vi siete dimenticati di chi vi ha allevato”». E proprio «dimenticare Dio che ci ha creato, che ci ha fatto crescere, che ci ha accompagnato nella vita: questa è la delusione di Dio».

«Tante volte nel Vangelo — ha affermato il Papa — Gesù nelle parabole parla di quell’uomo che fa una vigna e poi fallisce, perché gli operai vogliono prenderla per loro». Ma «nel cuore dell’uomo, sempre c’è questa inquietudine: non è soddisfatto di Dio, dell’amore fedele». E così «il cuore dell’uomo è sempre inclinato verso l’infedeltà: questa è la tentazione». Per questo, ha spiegato Francesco, «Dio, per mezzo di un profeta, rimprovera questo popolo così, che non ha costanza, non sa aspettare, si è pervertito, non ha tardato ad allontanarsi dalla via che “io avevo loro indicato”, si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo dio”». Invece «l’altro, l’hanno dimenticato».

Ecco che Dio, «tramite il profeta, dice al cuore di questo popolo: “Voi state sempre cercando un altro dio”». Perché «il Signore quando parla, parla forte, e ci dice delle cose forti».

Qui «c’è la delusione di Dio: l’infedeltà del popolo», ha detto il Papa. E «anche noi — ha proseguito — siamo popolo di Dio e conosciamo bene come è il nostro cuore; e ogni giorno dobbiamo riprendere il cammino per non scivolare lentamente verso gli idoli, verso le fantasie, verso la mondanità, verso l’infedeltà».

Proprio in questa prospettiva, Francesco ha suggerito «che oggi ci farà bene pensare al Signore deluso: “Dimmi Signore, tu sei deluso di me?”. In qualcosa sì, sicuro». Ma è opportuno «pensare e fare questa domanda». Con la certezza che «lui ha un cuore tenero, un cuore di padre; ricordiamo quando Gesù vide Gerusalemme e pianse su di lei: “Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come la chioccia raduna i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto”». Ma queste parole, ha insistito il Papa, il Signore le «dice a me, a te, a te, a te, a te, a tutti noi». Bisogna chiedersi allora: «Dio piange per me? Dio è deluso di me? Mi sono allontanato dal Signore?” — “No! Io vado tutte le domeniche a messa, ma, tutti i giorni”». E ancora: «Quanti idoli ho che non sono capace di togliermi di dosso, che mi schiavizzano?». Così si può riconoscere «quell’idolatria che abbiamo dentro», a causa della quale «Dio piange per me».

Alla luce di questo esame di coscienza, ha detto ancora il Pontefice, «pensiamo oggi a questa delusione di Dio, che ci ha fatto per l’amore», mentre «noi andiamo a cercare amore, benessere, divertimento in altre parti e non l’amore di lui: ci allontaniamo da questo Dio che ci ha allevati». E «questo è un pensiero di Quaresima: ci farà bene». Ma, ha avvertito, è un esercizio da fare «tutti i giorni, un piccolo esame di coscienza: “Signore, tu che hai avuto tanti sogni su di me, io so che mi sono allontanato, ma dimmi dove, come, per tornare». E «la sorpresa — ha assicurato Francesco — sarà che lui sempre ci aspetta, come il padre del figliol prodigo che lo vide venire da lontano perché lo aspettava».

Il Papa ha concluso la sua meditazione proponendo una «preghiera» da recitare «oggi e domani, tutti i giorni: “Signore, che non mi allontani da te. Aiutami. Che io abbia paura degli idoli e così possa servirti ed essere felice”: perché Dio ci vuole a tutti noi felici».

(fonte: L'Osservatore Romano)



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giovedì 30 marzo 2017

Lettera del Santo Padre in preparazione al IX Incontro Mondiale delle Famiglie (Dublino, 21-26 agosto 2018) sul tema Il Vangelo della Famiglia: gioia per il mondo

Pubblichiamo di seguito il testo integrale della Lettera che il Santo Padre Francesco ha inviato al Prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, Em.mo Card. Kevin Farrell, in preparazione al IX Incontro Mondiale delle Famiglie, che si svolgerà dal 21 al 26 agosto 2018 a Dublino, in Irlanda, sul tema Il Vangelo della Famiglia: gioia per il mondo.


Lettera del Santo Padre

Al Venerato Fratello Cardinale KEVIN FARRELL Prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita

Al termine dell'VIII Incontro Mondiale delle Famiglie, tenutosi a Filadelfia nel settembre 2015, annunciai che il successivo incontro con le famiglie cattoliche del mondo intero avrebbe avuto luogo a Dublino. Volendo ora iniziarne la preparazione, sono lieto di confermare che esso si svolgerà dal 21 al 26 agosto 2018, sul tema: “Il Vangelo della Famiglia: gioia per il mondo”. E riguardo a tale tematica e al suo sviluppo vorrei offrire alcune indicazioni più precise. É infatti mio desiderio che le famiglie abbiano modo di approfondire la loro riflessione e la loro condivisione sui contenuti dell'Esortazione Apostolica post-sinodale Amoris laetitia.
Ci si potrebbe domandare: il Vangelo continua ad essere gioia per il mondo? E ancora: la famiglia continua ad essere buona notizia per il mondo di oggi?
Io sono certo di sì! E questo “sì” è saldamente fondato sul disegno di Dio. L'amore di Dio è il suo “sì” a tutta la creazione e al cuore di essa, che è l'uomo. È il “sì” di Dio all'unione tra l'uomo e la donna, in apertura e servizio alla vita in tutte le sue fasi; è il “sì” e l'impegno di Dio per un'umanità tanto spesso ferita, maltrattata e dominata dalla mancanza d'amore. La famiglia, pertanto, è il “sì” del Dio Amore. Solo a partire dall'amore la famiglia può manifestare, diffondere e ri-generare l'amore di Dio nel mondo. Senza l'amore non si può vivere come figli di Dio, come coniugi, genitori e fratelli.
Desidero sottolineare quanto sia importante che le famiglie si chiedano spesso se vivono a partire dall'amore, per l'amore e nell'amore. Ciò, concretamente, significa darsi, perdonarsi, non spazientirsi, anticipare l'altro, rispettarsi. Come sarebbe migliore la vita familiare se ogni giorno si vivessero le tre semplici parole “permesso”, “grazie”, “scusa”. Ogni giorno facciamo esperienza di fragilità e debolezza e per questo tutti noi, famiglie e pastori, abbiamo bisogno di una rinnovata umiltà che plasmi il desiderio di formarci, di educarci ed essere educati, di aiutare ed essere aiutati, di accompagnare, discernere e integrare tutti gli uomini di buona volontà. Sogno una Chiesa in uscita, non autoreferenziale, una Chiesa che non passi distante dalle ferite dell'uomo, una Chiesa misericordiosa che annunci il cuore della rivelazione di Dio Amore che è la Misericordia. É questa stessa misericordia che ci fa nuovi nell'amore; e sappiamo quanto le famiglie cristiane siano luoghi di misericordia e testimoni di misericordia; dopo il Giubileo straordinario lo saranno anche di più, e l'Incontro di Dublino potrà offrirne segni concreti.
Invito pertanto tutta la Chiesa a tenere presente queste indicazioni nella preparazione pastorale al prossimo Incontro Mondiale.
A Lei, caro Fratello, insieme ai suoi collaboratori, si presenta il compito di declinare in modo particolare l'insegnamento di Amoris laetitia, con cui la Chiesa desidera che le famiglie siano sempre in cammino, in quel peregrinare interiore che è manifestazione di vita autentica.
Il mio pensiero va in modo speciale all'Arcidiocesi di Dublino e a tutta la cara Nazione irlandese, per la generosa accoglienza e l'impegno che comporta ospitare un evento di tale portata. Il Signore vi ricompensi fin d'ora, concedendovi abbondanti favori celesti.
La Santa Famiglia di Nazareth guidi, accompagni e benedica il vostro servizio e tutte le famiglie impegnate nella preparazione del grande Incontro Mondiale di Dublino.
Dal Vaticano, 25 marzo 2017
FRANCESCO

Alle ore 11.00 di questa mattina (30/03/2017) si è tenuta nella Sala Stampa della Santa Sede una Conferenza stampa di presentazione della Lettera del Santo Padre Francesco per il IX Incontro Mondiale delle Famiglie. Sono intervenuti: l’Em.mo Card. Kevin Joseph Farrell, Prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita e S.E. Mons. Diarmuid Martin, Arcivescovo di Dublino (Irlanda).


#stopbullismo #noalbullismo Anche noi diciamo Stop al bullismo

Papa Francesco agli 80 mila ragazzi riuniti allo Stadio “Giuseppe Meazza” di San Siro a Milano sabato 25 marzo:

C’è un fenomeno brutto in questi tempi, che mi preoccupa, nell’educazione: il bullying. Per favore, state attenti. [grande applauso] E adesso domando a voi, cresimandi. In silenzio, ascoltatemi. In silenzio. Nella vostra scuola, nel vostro quartiere, c’è qualcuno o qualcuna del quale o della quale voi vi fate beffa, che voi prendete in giro perché ha quel difetto, perché è grosso, perché è magro, per questo, per quest’altro? Pensateci. E a voi piace fargli provare vergogna e anche picchiarli per questo? Pensateci. Questo si chiama bullying. Per favore… [accenno di applauso] No, no! Ancora non ho finito. 
Per favore, per il sacramento della Santa Cresima, fate la promessa al Signore di non fare mai questo e mai permettere che si faccia nel vostro collegio, nella vostra scuola, nel vostro quartiere. Capito?
[Ragazzi: Sì!]
Mi promettete: mai, mai prendere in giro, fare beffa, un compagno di scuola, di quartiere… Promettete questo, oggi?
[Ragazzi: Sì!]
Bene. Questo “sì” lo avete detto al Papa. Ora, in silenzio, pensate che cosa brutta è questa, e pensate se siete capaci di prometterlo a Gesù. Promettete a Gesù di non fare mai questo bullying?
 [Ragazzi: Sì!]


Stop al bullismo. “Ma Basta”: 
l’appello del Papa è importante, ora serve una mobilitazione dal basso

Dopo le parole di Francesco contro il bullismo, pronunciate di fronte agli ottantamila cresimandi che gremivano lo stadio milanese di San Siro, il movimento “MaBasta” ricorda che "se c'è una speranza di fermare questa piaga, sta nella mobilitazione dal basso degli stessi ragazzi". Oltre ai “bulliziotti”, studenti punti di riferimento contro il bullismo, un'altra idea che si sta diffondendo è quella della “bullibox”, una scatola in ogni scuola a cui poter affidare anche in forma anonima segnalazioni di casi o episodi da approfondire

Le parole del Papa contro il bullismo sono destinate a lasciare il segno. Agli ottantamila cresimandi che gremivano lo stadio milanese di San Siro, sabato scorso, Francesco ha chiesto un minuto di silenzio per riflettere su questo fenomeno, divenuto una vera e propria piaga nel mondo dei giovanissimi e persino dei bambini. Ma ha anche chiesto loro di promettere di non compiere mai atti di bullismo e di “mai permettere” che siano compiuti nei loro contesti di vita, cominciando dalla scuola. E’ su quest’ultimo aspetto – l’invito forte a un impegno attivo contro il bullismo – che vuole soffermarsi Daniele Manni, il docente di informatica che è l’ispiratore di “MaBasta”, l’iniziativa nata oltre un anno fa tra gli studenti dell’istituto Galilei-Costa di Lecce. “E’ particolarmente importante – spiega – perché nel fenomeno del bullismo una parte molto rilevante è quella degli spettatori, di coloro che non solo guardano e non intervengono, ma diventano anche amplificatori. Ed è importante soprattutto perché, se c’è una speranza di fermare questa piaga, essa sta nella mobilitazione dal basso degli stessi ragazzi. Vedendo quel che sta accadendo con MaBasta le confesso che sto cominciando a sperare in un cambiamento”.

MaBasta è un acronimo che sta per Movimento Anti Bullismo Animato da STudenti Adolescenti ma che rappresenta anche un grido di ribellione contro le violenze e i soprusi. Nel loro sito (mabasta.org) gli studenti raccontano con molta semplicità ed efficacia la nascita del movimento. “L’idea – scrivono – ci è venuta quando a gennaio 2016 abbiamo parlato in classe del caso della ragazza di Pordenone che ha tentato di farla finita perché non ce la faceva più a sopportare le azioni di bullismo da parte dei compagni. Siccome il nostro prof di informatica ci diceva sempre che è molto meglio ‘fare’ qualcosa anziché semplicemente parlarne, allora ci siamo chiesti cosa potessimo fare di concreto per almeno tentare di frenare questo bruttissimo fenomeno”. Di qui la decisione di creare “una specie di associazione di giovani e giovanissimi che, come noi, vogliono fermare il bullismo, per dimostrare alle bulle e ai bulli che quelli contrari sono molto più numerosi”. Pordenone e Lecce sono proprio ai due capi della penisola, ma gli studenti del Galilei-Costa si sono riconosciuti in in una situazione che non conosce confini e da cui nessuno può sentirsi immune. La loro mobilitazione ha trovato spazi larghi in cui diffondersi.

“Sono state nel complesso circa 500 le scuole che si sono messe in contatto con MaBasta, ma il dato che a me pare più significativo – sottolinea Manni – è quello dei 200 istituti in cui sono stati gli studenti a cercare i loro coetanei di Lecce”.

La pagina Facebook ha raccolto 34mila “mi piace”, il video che supporta la campagna per le “classi debullizzate” ha superato ampiamente il milione di visualizzazioni. La mobilitazione si diffonde così, dal basso, gradualmente, anche se un ruolo importante lo hanno avuto i media. Chi ha visto in tv il festival di Sanremo si ricorderà i ragazzi di MaBasta con le loro felpe rosse sul palco dell’Ariston.

Contro il bullismo i verbi-chiave sono “responsabilizzarsi” e “unirsi”. “Quando i ragazzi di MaBasta vanno a parlare ai loro coetanei delle scuole – racconta il docente – quello che propongono è di organizzarsi in un ‘contro-branco’. Se ci si espone da soli, si rischia di diventare l’ennesima vittima dei bulli, ma quando tutta una classe si muove e li isola, allora le cose possono cambiare”. I ragazzi stanno portando avanti una sperimentazione (in seguito a un bando del dipartimento per le pari opportunità) in tre classi delle scuole del circondario. “I primi segnali sono positivi – riferisce Manni – il fatto stesso che ci siano degli alunni che alzano la mano per chiedere di diventare ‘bulliziotti’ o ‘bulliziotte’ è un elemento forte”.

Oltre ai “bulliziotti”, studenti punti di riferimento contro il bullismo, un’altra idea che sta piacendo è quella della “bullibox”, una scatola in ogni scuola a cui poter affidare anche in forma anonima segnalazioni di casi o episodi da approfondire.

Se gli studenti si mobilitano, Manni parla con amarezza del bullismo anche come conseguenza del “fallimento degli adulti”. Se il fenomeno “è molto forte nelle elementari e nelle medie – osserva – proprio non riesco a dare la colpa ai ragazzi”. Nelle famiglie il terreno di coltura del bullismo è la mancanza di dialogo. “Ai genitori ripeto sempre di investire ogni energia nel cercare di dialogare con i figli. Non si tratta di fare gli amici, il rapporto è genitoriale – puntualizza il docente, con trent’anni di esperienza di educatore sulle spalle – ma i nostri figli hanno bisogno di sentire al loro fianco un adulto con cui confidarsi”.
(fonte: Sir)

L’alleato più prezioso dei bulli e il peggior nemico delle vittime di bullismo è il silenzio. La scuola è tra i primi luoghi in cui si verificano atti di bullismo. Eppure nessuno parla, nessuno denuncia ai docenti, nessuno si confida con i genitori; nei corridoi, tra i banchi di scuola e nei cortili, il silenzio regna sovrano. E’ ora di parlare, è ora di dire basta con questi bulli, fermiamo il bullismo. Una parola, una frase o uno slogan a volte possono essere la fine del silenzio e l’inizio di un qualcosa di positivo.

Ecco perché per combattere il bullismo è importante sensibilizzare la campagna contro i bulli, noi nel nostro piccolo cerchiamo di farlo e voi siete pronti a dire No al bullismo?



mercoledì 29 marzo 2017

«Che cosa significa avere la vera luce, camminare nella luce?» Papa Francesco Angelus 26/03/2017 (testo e video)

 26 marzo 2017 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Al centro del Vangelo di questa quarta domenica di Quaresima si trovano Gesù e un uomo cieco dalla nascita (cfr Gv 9,1-41). Cristo gli restituisce la vista e opera questo miracolo con una specie di rito simbolico: prima mescola la terra alla saliva e la spalma sugli occhi del cieco; poi gli ordina di andare a lavarsi nella piscina di Siloe. Quell’uomo va, si lava, e riacquista la vista. Era un cieco dalla nascita. Con questo miracolo Gesù si manifesta e si manifesta a noi come luce del mondo; e il cieco dalla nascita rappresenta ognuno di noi, che siamo stati creati per conoscere Dio, ma a causa del peccato siamo come ciechi, abbiamo bisogno di una luce nuova; tutti abbiamo bisogno di una luce nuova: quella della fede, che Gesù ci ha donato. Infatti quel cieco del Vangelo riacquistando la vista si apre al mistero di Cristo. Gesù gli domanda: «Tu credi nel Figlio dell’uomo?» (v. 35). «E chi è, Signore, perché io creda in lui?», risponde il cieco guarito (v. 36). «Lo hai visto: è colui che parla con te» (v. 37). «Credo, Signore!» e si prostra dinanzi a Gesù.

Questo episodio ci induce a riflettere sulla nostra fede, la nostra fede in Cristo, il Figlio di Dio, e al tempo stesso si riferisce anche al Battesimo, che è il primo Sacramento della fede: il Sacramento che ci fa “venire alla luce”, mediante la rinascita dall’acqua e dallo Spirito Santo; così come avvenne al cieco nato, al quale si aprirono gli occhi dopo essersi lavato nell’acqua della piscina di Siloe. Il cieco nato e guarito ci rappresenta quando non ci accorgiamo che Gesù è la luce, è «la luce del mondo», quando guardiamo altrove, quando preferiamo affidarci a piccole luci, quando brancoliamo nel buio. Il fatto che quel cieco non abbia un nome ci aiuta a rispecchiarci con il nostro volto e il nostro nome nella sua storia. Anche noi siamo stati “illuminati” da Cristo nel Battesimo, e quindi siamo chiamati a comportarci come figli della luce. E comportarsi come figli della luce esige un cambiamento radicale di mentalità, una capacità di giudicare uomini e cose secondo un’altra scala di valori, che viene da Dio. Il sacramento del Battesimo, infatti, esige la scelta di vivere come figli della luce e camminare nella luce. Se adesso vi chiedessi: “Credete che Gesù è il Figlio di Dio? Credete che può cambiarvi il cuore? Credete che può far vedere la realtà come la vede Lui, non come la vediamo noi? Credete che Lui è luce, ci dà la vera luce?” Cosa rispondereste? Ognuno risponda nel suo cuore.

Che cosa significa avere la vera luce, camminare nella luce? Significa innanzitutto abbandonare le luci false: la luce fredda e fatua del pregiudizio contro gli altri, perché il pregiudizio distorce la realtà e ci carica di avversione contro coloro che giudichiamo senza misericordia e condanniamo senza appello. Questo è pane tutti i giorni! Quando si chiacchiera degli altri, non si cammina nella luce, si cammina nelle ombre. Un’altra luce falsa, perché seducente e ambigua, è quella dell’interesse personale: se valutiamo uomini e cose in base al criterio del nostro utile, del nostro piacere, del nostro prestigio, non facciamo la verità nelle relazioni e nelle situazioni. Se andiamo su questa strada del cercare solo l’interesse personale, camminiamo nelle ombre.

La Vergine Santa, che per prima accolse Gesù, luce del mondo, ci ottenga la grazia di accogliere nuovamente in questa Quaresima la luce della fede, riscoprendo il dono inestimabile del Battesimo, che tutti noi abbiamo ricevuto. E questa nuova illuminazione ci trasformi negli atteggiamenti e nelle azioni, per essere anche noi, a partire dalla nostra povertà, dalle nostre pochezze, portatori di un raggio della luce di Cristo.

Dopo l'Angelus:

Cari fratelli e sorelle,

ieri ad Almería (Spagna) sono stati proclamati beati José álvarez-Benavides y de la Torre e centoquattordici compagni martiri. Questi sacerdoti, religiosi e laici sono stati testimoni eroici di Cristo e del suo Vangelo di pace e di riconciliazione fraterna. Il loro esempio e la loro intercessione sostengano l’impegno della Chiesa nell’edificare la civiltà dell’amore.

Saluto tutti voi, provenienti da Roma, dall’Italia e da diversi Paesi, in particolare i pellegrini di Córdoba (Spagna), i giovani del collegio Saint-Jean de Passy di Parigi, i fedeli di Loreto, i fedeli di Quartu Sant’Elena, Rende, Maiori, Poggiomarino e gli adolescenti del decanato “Romana-Vittoria” di Milano. 
E a proposito di Milano vorrei ringraziare il Cardinale Arcivescovo e tutto il popolo milanese per la calorosa accoglienza di ieri. Veramente mi sono sentito a casa, e questo con tutti, credenti e non credenti. Vi ringrazio tanto, cari milanesi, e vi dirò una cosa: ho constatato che è vero quello si dice: “A Milan si riceve col coeur in man!”.

Auguro a tutti una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

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Donne musulmane sul ponte di Westminster, mano nella mano per dire NO al terrorismo

Donne musulmane sul ponte di Westminster, 
mano nella mano per dire NO al terrorismo

Il ponte delle musulmane, centinaia di donne velate mettono il loro corpo contro il terrorismo

Adesso ci hanno messo la faccia loro. Con una lunga catena umana sul ponte di Westminster un centinaio di mamme, figlie, sorelle, mogli, nonne, le tante età dell’altra metà del cielo islamico hanno voluto dire un no corale al terrorismo ma anche agli uomini che seminano morte nel nome della fede in cui queste donne credono. A lanciare l’idea è stata la Women’s March London, a raccoglierla tante londinesi qualsiasi. 

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Non è la prima volta che le musulmane alzano la voce. Anzi. Le abbiamo viste in prima linea durante le primavere arabe al punto che Olso assegnò il Nobel per la pace di quell’anno a una di loro, la yemenita Tawakal Karaman. Le abbiamo viste organizzarsi per l’autodifesa contro le molestie in mille modi diversi, dalle Tahrir Bodyguard alla boxeur giordana Lina Khalefieh. Le abbiamo viste sfidare il più delirante tra i divieti sauditi e guidare giacobinamente l’automobile. Le abbiamo viste tra le file dei Peshmerga curdi, fiere di battersi a morte contro l’avanzata dell’Isis. E poi le vediamo ogni giorno intorno a noi, componente importantissima e vitale dell’islam europeo troppo spesso richiusa dentro la griglia manichea del velo. A Westminster portavano quasi tutte il velo, qualcuna era truccata, altre no, c’erano volti giovani e meno giovani, occhiali da sole, piercing, colori e tinte scure. Non c’è stato bisogno che dicessero un granché: il loro stesso corpo moltiplicato sul marciapiede insanguinato dal killer Khalid Masood era già uno slogan, body art. 

Domenica centinaia di musulmani si erano riversati nel centro di Birmingham con i cartelli #NotInMyname, non in mio nome. Anche lì a guidarli c’era un’attivista, Salma Yacoub. Le donne di Westminster hanno fatto di più. Si sono allineate proprio laddove pochi giorni fa i concittadini morivano colpiti dall’auto kamikaze e una di loro immortalata al telefonino veniva accusa di indifferenza. Anche loro sono Londra, anche loro ci dicono che non hanno paura.

(fonte: LA STAMPA)

“Europa metta al centro l’uomo non la moneta” card. Francesco Montenegro



“Europa metta al centro 
l’uomo 
non la moneta” 
card. Francesco Montenegro




Fino a quando ci sarà un’Europa che metterà la moneta al centro ci sarà poco da sperare in un cambiamento. Ma se soltanto l’uomo sarà messo al centro allora insieme riusciremo a fare il cammino dovuto”. Lo ha detto l’arcivescovo di Agrigento e presidente della Caritas italiana, il card. Francesco Montenegro, in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000, a margine del 39° Convegno nazionale delle Caritas diocesane a Castellaneta (Taranto).
“Il muro oscura ciò che c’è davanti – ha aggiunto il card. Montenegro - e a furia di alzare i muri oscureremo il futuro. Questa è la responsabilità di un’Europa che un po’ cade in contraddizione. Ieri erano tutti contenti per la firma in occasione dei Trattati di Roma ma la storia che vogliono mostrare e aiutarci a vivere è fatta di un passato che non ha retto”.

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Servizio TG2000

«Vuoi guarire? Vuoi essere felice? Vuoi migliorare la tua vita? Vuoi essere pieno dello Spirito Santo?» - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
28 marzo 2017
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m. 


Papa Francesco:
Radici secche”

C’è un peccato che «paralizza» il cuore dell’uomo, lo fa «vivere nella tristezza» e gli fa «dimenticare la gioia». Si tratta dell’«accidia», quell’atteggiamento che porta le persone a essere come alberi dalle «radici secche» e a «non avere voglia di andare avanti». Per costoro la parola di Gesù è come una scossa: «alzati!», prendi in mano la tua vita e «vai avanti!». Sono le parole che il Papa ha ripetuto nell’omelia della messa celebrata a Santa Marta nella mattina di martedì 28 marzo.

Tutta la meditazione del Pontefice, seguendo la liturgia del giorno, è stata accompagnata da uno dei simboli più importanti e ricorrenti nella Bibbia, quello dell’acqua. Nella prima lettura, infatti Ezechiele (47, 1-9.12) «ci parla dell’acqua, di un’acqua che usciva dal tempio di Dio, l’acqua di Dio, un’acqua benedetta». Si tratta, ha specificato il Papa, di «un torrente d’acqua, tanta acqua». Un’acqua «risanatrice». Il profeta descrive «tanti alberi verdi, belli» che crescevano «vicino a quell’acqua»: sono chiaramente un simbolo per significare «la grazia, l’amore, la benedizione di Dio». Questi alberi, infatti «erano verdi, belli, non erano secchi». E se si accostano queste parole a quelle del salmo 1 — «Beato il giusto perché sarà come un albero che cresce lungo i corsi d’acqua — si comprende immediatamente la simbologia applicata alla «persona giusta e buona».

Anche nel Vangelo di Giovanni (5, 1-16), ha fatto notare il Pontefice, si incontra l’acqua. È quella della piscina di Betzàta, una piscina «con cinque portici sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi, paralitici». La tradizione, ha spiegato Francesco, voleva che ogni tanto scendesse dal cielo un angelo a muovere le acque e che le prime persone che in quel momento si fossero gettate lì sarebbero state guarite. Quindi questa gente stava sempre ad aspettare, «chiedendo la guarigione».

Fra di loro c’era un paralitico che era lì da ben trentotto anni. E Gesù, «che conosceva il cuore di quell’uomo» e sapeva che da molto tempo era in quelle condizioni, «gli disse: “Vuoi guarire?”». Innanzitutto, ha osservato il Papa, occorre notare quanto sia «bello» che Gesù dica al paralitico e, attraverso di lui, anche agli uomini del nostro tempo: «Vuoi guarire? Vuoi essere felice? Vuoi migliorare la tua vita? Vuoi essere pieno dello Spirito Santo? Vuoi guarire?».

Di fronte a una domanda del genere, ha continuato Francesco, «tutti gli altri che erano lì, infermi, ciechi, zoppi, paralitici avrebbero detto: “Sì, Signore, sì!”». Invece costui sembra proprio «un uomo strano» e «rispose a Gesù: “Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita; mentre infatti sto per andarvi un altro scende prima di me”». La sua risposta, cioè, «è una lamentela: “Ma guarda, Signore, quanto brutta, quanto ingiusta è stata la vita con me. Tutti gli altri possono andare e guarire e io da 38 anni che cerco ma...”».

Ha spiegato il Pontefice: «Quest’uomo era come l’albero, era vicino all’acqua ma aveva le radici secche, aveva le radici secche e quelle radici non arrivavano all’acqua, non poteva prendere la salute dall’acqua». Una realtà che ben «si capisce dall’atteggiamento, dalle lamentele» e dal suo cercare sempre «di dare la colpa all’altro: “Ma sono gli altri che vanno prima di me, io sono un poveraccio qui da 38 anni...”».

Appare qui ben descritto «il peccato dell’accidia», un «brutto peccato». Quest’uomo, ha detto il Papa, «era malato non tanto dalla paralisi ma dall’accidia, che è peggio di avere il cuore tiepido, peggio ancora». L’accidia, ha continuato, è quel vivere tanto per vivere, è quel «non avere voglia di andare avanti, non avere voglia di fare qualcosa nella vita»: è l’«aver perso la memoria della gioia». Addirittura «quest’uomo neppure di nome conosceva la gioia, l’aveva persa».

Si tratta, ha ribadito il Pontefice, di una «malattia brutta», che porta a nascondersi dietro giustificazioni del tipo: «Ma sono comodo così, mi sono abituato... Ma la vita è stata ingiusta con me...». Così dietro le parole del paralitico, «si vede il risentimento, l’amarezza di quel cuore». Eppure «Gesù non lo rimprovera», lo guarda e gli dice: «Alzati, prendi la barella e vai via». E quell’uomo prende la barella e va via.

Il racconto evangelico continua, specificando che il fatto avvenne di sabato e che l’uomo incontrò i dottori della legge che gli obbiettarono: «Ma no, non ti è lecito, perché il codice dice che il sabato non si può fare questo... E chi ti ha guarito?». Riferendosi a Gesù continuavano: «No, quello no, perché va contro il codice, non è di Dio quell’uomo». Di fronte a questa scena il Papa ha tracciato un breve profilo di quell’uomo, una persona che «non sapeva come arrangiarsi nella vita» e che a Gesù «neppure aveva detto “grazie”». Neanche gli aveva chiesto il nome. L’uomo si è semplicemente «alzato con quell’accidia» che lo contraddistingueva e se ne è andato. Un distacco che fa ancora una volta apparire quanto l’accidia sia «un brutto peccato».

Questo peccato, ha spiegato il Papa, può coinvolgere ogni uomo: è «vivere perché è gratis l’ossigeno, l’aria», è «vivere sempre guardando gli altri che sono più felici di me, vivere nella tristezza, dimenticare la gioia». È, insomma, «un peccato che paralizza, ci fa paralitici. Non ci lascia camminare». E anche a noi Gesù oggi dice: «Alzati, prendi la tua vita come sia, bella, brutta come sia, prendila e vai avanti. Non avere paura, vai avanti con la tua barella — “Ma, Signore, non è l’ultimo modello...” — Ma vai avanti! Con quella barella brutta, forse, ma vai avanti! È la tua vita è la tua gioia».

La prima domanda che il Signore pone a tutti, oggi, è quindi: «Vuoi guarire?». E se la risposta è «Sì, Signore», Gesù esorta: «Alzati!». Perciò, ha concluso il Pontefice richiamando l’antifona della messa («“Voi che avete sete venite alle acque — sono acque gratis, non a pagamento — voi dissetatevi con gioia”»), se «noi diciamo al Signore: “Sì, voglio guarire. Sì, Signore, aiutami che voglio alzarmi”, sapremo com’è la gioia della salvezza».

(fonte: L'Osservatore Romano)

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martedì 28 marzo 2017

25 marzo 2017 Papa Francesco conquista Milano / 5 (foto, testi e video)




 25 marzo 2017 

«Per il sacramento della santa Cresima, fate la promessa al Signore di non fare mai atti di bullismo, né mai di permettere che si faccia nella vostra scuola e nel vostro quartiere. Questo sì l’avete detto al Papa, adesso in silenzio pensate che cosa brutta è questa e se siete capaci di prometterlo a Gesù». È la conclusione perentoria del discorso di papa Francesco ai Cresimandi 2017 e Cresimati 2016 ambrosiani, riuniti in 80 mila con i loro genitori e catechisti, padrini e madrine, come da tradizione ambrosiana dal 1973 allo Stadio “Giuseppe Meazza” di San Siro a Milano, per l’incontro con il Santo Padre. Assieme a loro, oltre quattrocento volontari e mille adolescenti dagli Oratori dell’intera Diocesi impegnati nelle figurazioni coreografiche e nell’assistenza del lungo pomeriggio.

Un pomeriggio intenso concluso da un discorso emozionante di 40 minuti, che ha alternato momenti di tenerezza e allegria ad altri di riflessione e curiosità, strutturato - sull’esempio dell’incontro con Benedetto XVI nel 2012 - a partire dalle risposte a tre domande rivolte da un ragazzo, una coppia di genitori e una catechista.

Dopo l’apertura dei cancelli, già alle ore 14 era iniziata l’animazione con band degli Oratori di Bresso e Lainate, a cui è seguita l’animazione dei ragazzi della Fom (Fondazione Oratori Milanesi) e dell’Acr (Azione Cattolica Ragazzi) con canti, cori e coreografie sugli spalti a ingannare l’attesa. Alle ore 15.30 l’educatore Andrea Ballabio, in arte “Ciccio Pasticcio”, co-fondatore della onlus Pepita, aveva poi raccontato con poche ma efficaci parole il tema del bullismo, seguito dopo mezz’ora dalla giornalista Francesca Fialdini, conduttrice di “UnoMattina” ogni giorno su Rai1, che aspettando l’arrivo del Papa ha presentato la campagna “Cresciuto in Oratorio” (www.cresciutoinoratorio.it), con due volti celebri che l’hanno sostenuta: il cantante Davide Van De Sfroos, che ha intonato due canzoni del suo repertorio, e l’attore Giacomo Poretti, che ha raccontato con la consueta ironia la sua esperienza in Oratorio e di quando ha ricevuto il sacramento della Cresima.

All’evento è stata inoltre collegata una raccolta fondi promossa da Caritas Ambrosiana per contribuire alla costruzione della “Casa del futuro” ad Amatrice (Ri). Si tratta di una casa d’accoglienza e sostegno sociale per adolescenti e giovani in difficoltà, che può anche ospitare gruppi parrocchiali per esperienze di vita comune e campi scuola: a raccogliere simbolicamente l’offerta è stato il Vescovo di Rieti, mons. Domenico Pompili, intervistato da Francesca Fialdini sul progetto di Caritas Ambrosiana “Casa del Futuro”.

Poco prima dell’arrivo del Papa - in auto con il tradizionale giro dello stadio a salutare tutti i presenti - è stato fra l’altro annunciato il tema dell’Oratorio estivo 2017: “DettoFatto”, sulla meraviglia della Creazione.

Il Pontefice è quindi salito sul palco e dopo il Vangelo del giorno sull’Annunciazione (Luca 1, 26-38), accompagnato dalle coreografie dei ragazzi della Fom, ha ricevuto e risposto alle domande di un ragazzo, una coppia di genitori e una catechista.








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DOMANDA DI UN RAGAZZO

Ciao, io sono Davide e vengo da Cornaredo. Volevo farti una domanda: Ma a te, quando avevi la nostra età, che cosa ti ha aiutato a far crescere l’amicizia con Gesù?

Papa Francesco:

Buonasera!

Davide ha fatto una domanda molto semplice, alla quale per me è facile rispondere, perché devo soltanto fare un po’ di memoria dei tempi nei quali io avevo l’età vostra. E la sua domanda è: “Quando tu avevi la nostra età, che cosa ti ha aiutato a far crescere l’amicizia con Gesù?”. Sono tre cose, ma con un filo che le unisce tutt’e tre. La prima cosa che mi ha aiutato sono stati i nonni. “Ma come, Padre, i nonni possono aiutare a far crescere l’amicizia con Gesù?”. Cosa pensate voi? Possono o non possono?

Ragazzi:
Sì!

Papa Francesco:
Ma i nonni sono vecchi!

Ragazzi:
No!

Papa Francesco:
No? Non sono vecchi?

Ragazzi:
Sì!

Papa Francesco:
Sono vecchi… I nonni sono di un’altra epoca: i nonni non sanno usare il computer, non hanno il telefonino… Domando un’altra volta: i nonni, possono aiutarti a crescere nell’amicizia con Gesù?

Ragazzi:
Sì!

Papa Francesco:
E questa è stata la mia esperienza: i nonni mi hanno parlato normalmente delle cose della vita. Un nonno era falegname e mi ha insegnato come con il lavoro Gesù ha imparato lo stesso mestiere, e così, quando io guardavo il nonno, pensavo a Gesù. L’altro nonno mi diceva di non andare mai a letto senza dire una parola a Gesù, dirgli “buonanotte”. La nonna mi ha insegnato a pregare, e anche la mamma; l’altra nonna lo stesso… La cosa importante è questa: i nonni hanno la saggezza della vita. Cosa hanno i nonni?

Ragazzi:
La saggezza della vita.

Papa Francesco:
Hanno la saggezza della vita. E loro con quella saggezza ci insegnano come andare più vicini a Gesù. A me lo hanno fatto. Primo, i nonni. Un consiglio: parlate con i nonni. Parlate, fate tutte le domande che volete. Ascoltate i nonni. E’ importante, in questo tempo, parlare con i nonni. Avete capito?

Ragazzi:
Sì!

Papa Francesco:
E voi, quelli che avete i nonni vivi, farete uno sforzo per parlare, fare loro domande, ascoltarli? Farete lo sforzo? Farete questo lavoro?

Ragazzi:
Sì…

Papa Francesco:
Non siete molto convinti. Lo farete?

Ragazzi:
Sì!

Papa Francesco:
I nonni. Poi, mi ha aiutato tanto giocare con gli amici, perché giocare bene, giocare e sentire la gioia del gioco con gli amici, senza insultarci, e pensare che così giocava Gesù… Ma, vi domando, Gesù giocava? O no?

Ragazzi:
Sì!

Papa Francesco:
Ma era Dio! Dio no, non può giocare… Giocava Gesù?

Ragazzi:
Sì!

Papa Francesco:
Siete convinti. Sì, Gesù giocava, e giocava con gli altri. E a noi fa bene giocare con gli amici, perché quando il gioco è pulito, si impara a rispettare gli altri, si impara a fare la squadra, in équipe, a lavorare tutti insieme. E questo ci unisce a Gesù. Giocare con gli amici. Ma - è una cosa che credo qualcuno di voi ha detto - litigare con gli amici, aiuta a conoscere Gesù?

Ragazzi:
No!

Papa Francesco:
Come?

Ragazzi:
No!

Papa Francesco:
Va bene. E se uno litiga, perché è normale litigare, ma poi chieda scusa, e finita è la storia. E’ chiaro?

Ragazzi:
Sì!

Papa Francesco:
A me ha aiutato tanto giocare con gli amici. E una terza cosa che mi ha aiutato a crescere nell’amicizia con Gesù è la parrocchia, l’oratorio, andare in parrocchia, andare all’oratorio e radunarmi con gli altri: questo è importante! A voi piace, andare in parrocchia?

Ragazzi:
Sì!

Papa Francesco:
A voi piace… - ma dite la verità - a voi piace andare a Messa?

Ragazzi:
Sì!

Papa Francesco:
[ride] Non sono sicuro… A voi piace andare all’oratorio?

Ragazzi:
Sì!

Papa Francesco:
Ah, questo sì, vi piace. E queste tre cose faranno – davvero, questo è un consiglio che vi do – queste tre cose vi faranno crescere nell’amicizia con Gesù: parlare con i nonni, giocare con gli amici e andare in parrocchia e in oratorio. Perché, con queste tre cose, tu pregherai di più. [applausi] E la preghiera è quel filo che unisce le tre cose. Grazie. [applausi]
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DOMANDA DI DUE GENITORI

Buona sera. Siamo Monica e Alberto, e siamo genitori di tre ragazzi di cui l’ultima il prossimo ottobre riceverà la Santa Cresima. La domanda che volevamo farLe è questa: come trasmettere ai nostri figli la bellezza della fede? A volte ci sembra così complicato poter parlare di queste cose senza diventare noiosi e banali o, peggio ancora, autoritari. Quali parole usare?

Papa Francesco:

Grazie. Io queste domande le avevo prima… Sì, perché me le avete inviate, e per essere chiaro nella risposta, ho preso qualche appunto, ho scritto qualcosa, e adesso vorrei rispondere a Monica e ad Alberto.

a. Credo che questa è una delle domande-chiave che tocca la nostra vita come genitori: la trasmissione della fede, e tocca anche la nostra vita come pastori e come educatori. La trasmissione della fede. E mi piacerebbe rivolgere a voi questa domanda. E vi invito a ricordare quali sono state le persone che hanno lasciato un’impronta nella vostra fede e che cosa di loro vi è rimasto più impresso. Quello che hanno domandato i bambini a me, io lo domando a voi. Quali sono le persone, le situazioni, le cose che vi hanno aiutato a crescere nella fede, la trasmissione della fede. Invito voi genitori a diventare, con l’immaginazione, per qualche minuto nuovamente figli e a ricordare le persone che vi hanno aiutato a credere. “Chi mi ha aiutato a credere?”. Il padre, la madre, i nonni, una catechista, una zia, il parroco, un vicino, chissà… Tutti portiamo nella memoria, ma specialmente nel cuore qualcuno che ci ha aiutato a credere. Adesso vi faccio una sfida. Un attimino di silenzio… e ognuno pensi: chi mi ha aiutato a credere? E io rispondo da parte mia, e per rispondere la verità devo tornare con il ricordo in Lombardia… [grande applauso] A me ha aiutato a credere, a crescere tanto nella fede, un sacerdote lodigiano, della diocesi di Lodi; un bravo sacerdote che mi ha battezzato e poi durante tutta la mia vita, io andavo da lui; in alcuni momenti più spesso, in altri meno…; e mi ha accompagnato fino all’entrata nel noviziato [dei Gesuiti]. E questo lo devo a voi lombardi, grazie! [applausi] E non mi dimentico mai di quel sacerdote, mai, mai. Era un apostolo del confessionale, un apostolo del confessionale. Misericordioso, buono, lavoratore. E così mi ha aiutato a crescere.

Ognuno ha pensato la persona? Io ho detto chi ha aiutato me.

E vi domanderete il perché di questo piccolo esercizio. I nostri figli ci guardano continuamente; anche se non ce ne rendiamo conto, loro ci osservano tutto il tempo e intanto apprendono. [applauso] «I bambini ci guardano»: questo è il titolo di un film di Vittorio De Sica del ’43. Cercatelo. Cercatelo. “I bambini ci guardano”. E, fra parentesi, a me piacerebbe dire che quei film italiani del dopoguerra e un po’ dopo, sono stati – generalmente – una vera “catechesi” di umanità. Chiudo la parentesi. I bambini ci guardano, e voi non immaginate l’angoscia che sente un bambino quando i genitori litigano. Soffrono! [applauso] E quando i genitori si separano, il conto lo pagano loro. [applauso] Quando si porta un figlio al mondo, dovete avere coscienza di questo: noi prendiamo la responsabilità di far crescere nella fede questo bambino. Vi aiuterà tanto leggere l’Esortazione Amoris laetitia, soprattutto i primi capitoli, sull’amore, il matrimonio, il quarto capitolo che è una davvero una chiave. Ma non dimenticatevi: quando voi litigate, i bambini soffrono e non crescono nella fede. [applauso] I bambini conoscono le nostre gioie, le nostre tristezze e preoccupazioni. Riescono a captare tutto, si accorgono di tutto e, dato che sono molto, molto intuitivi, ricavano le loro conclusioni e i loro insegnamenti. Sanno quando facciamo loro delle trappole e quando no. Lo sanno. Sono furbissimi. Perciò, una delle prime cose che vi direi è: abbiate cura di loro, abbiate cura del loro cuore, della loro gioia, della loro speranza.

Gli “occhietti” dei vostri figli via via memorizzano e leggono con il cuore come la fede è una delle migliori eredità che avete ricevuto dai vostri genitori e dai vostri avi. Se ne accorgono. E se voi date la fede e la vivete bene, c’è la trasmissione.

Mostrare loro come la fede ci aiuta ad andare avanti, ad affrontare tanti drammi che abbiamo, non con un atteggiamento pessimista ma fiducioso, questa è la migliore testimonianza che possiamo dare loro. C’è un modo di dire: “Le parole se le porta il vento”, ma quello che si semina nella memoria, nel cuore, rimane per sempre.

b. Un’altra cosa. In diverse parti, molte famiglie hanno una tradizione molto bella ed è andare insieme a Messa e dopo vanno a un parco, portano i figli a giocare insieme. Così che la fede diventa un’esigenza della famiglia con altre famiglie, con gli amici, famiglie amiche… Questo è bello e aiuta a vivere il comandamento di santificare le feste. Non solo andare in chiesa a pregare o a dormire durante l’omelia – succede! -, non solo, ma poi andare a giocare insieme. Adesso che cominciano le belle giornate, ad esempio, la domenica dopo essere andati a Messa in famiglia, è una buona cosa se potete andare in un parco o in piazza, a giocare, a stare un po’ insieme. Nella mia terra questo si chiama “dominguear”, “passare la domenica insieme”. Ma il nostro tempo è un tempo un po’ brutto per fare questo, perché tanti genitori, per dare da mangiare alla famiglia, devono lavorare anche nei giorni festivi. E questo è brutto. Io sempre domando ai genitori, quando mi dicono che perdono la pazienza con i figli, prima domando: “Ma quanti sono?” – “Tre, quattro”, mi dicono. E faccio loro una seconda domanda: “Tu, giochi con i tuoi figli?... Giochi?” E non sanno cosa rispondere. I genitori in questi tempi non possono, o hanno perso l’abitudine di giocare con i figli, di “perdere tempo” con i figli. Un papà una volta mi ha detto: “Padre, quando io parto per andare al lavoro, ancora stanno a letto, e quando torno la sera tardi già sono a letto. Li vedo soltanto nei giorni festivi”. E’ brutto! E’ questa vita che ci toglie l’umanità! Ma tenete a mente questo: giocare con i figli, “perdere tempo” con i figli è anche trasmettere la fede. E’ la gratuità, la gratuità di Dio.

c. E un’ultima cosa: l’educazione familiare nella solidarietà. Questo è trasmettere la fede con l’educazione nella solidarietà, nelle opere di misericordia. Le opere di misericordia fanno crescere la fede nel cuore. Questo è molto importante. Mi piace mettere l’accento sulla festa, sulla gratuità, sul cercare altre famiglie e vivere la fede come uno spazio di godimento familiare; credo che è necessario anche aggiungere un altro elemento. Non c’è festa senza solidarietà. Come non c’è solidarietà senza festa, perché quando uno è solidale, è gioioso e trasmette la gioia.

Non voglio annoiarvi: vi racconterò una cosa che io ho conosciuto a Buenos Aires. Una mamma, era a pranzo con i tre figli, di sei, quattro e mezzo e tre anni; poi ne ha avuti altri due. Il marito era al lavoro. Erano a pranzo e mangiavano proprio cotolette alla milanese, sì, perché lei me l’ha detto, e ognuno dei bambini ne aveva una nel piatto. Bussano alla porta. Il più grande va, apre la porta, vede, torna e dice: “Mamma, è un povero, chiede da mangiare”. E la mamma, saggia, fa la domanda: “Cosa facciamo? Diamo o non diamo?” – “Sì, mamma, diamo, diamo!”. C’erano altre cotolette, lì. La mamma disse: “Ah, benissimo: facciamo due panini: ognuno taglia a metà la propria e facciamo due panini” – “Mamma, ma ci sono quelle!” – “No, quelle sono per la cena”. E la mamma ha insegnato loro la solidarietà, ma quella che costa, non quella che avanza! Per l’esempio basterebbe questo, ma vi farà ridere sapere come è finita la storia. La settimana dopo, la mamma è dovuta andare a fare la spesa, il pomeriggio, verso le quattro, e ha lasciato tutti e tre i bambini da soli, erano buoni, per un’oretta. E’ andata. Quando torna la mamma, non erano tre, erano quattro! C’erano i tre figli e un barbone [ride] che aveva chiesto l’elemosina e lo hanno fatto entrare, e stavano bevendo insieme caffelatte… Ma questo è un finale per ridere un po’… Educare alla solidarietà, cioè alle opere di misericordia. Grazie.

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DOMANDA DI UNA CATECHISTA

Buona sera, sono Valeria, mamma e catechista di una parrocchia di Milano, a Rogoredo. Lei ci ha insegnato che per educare un giovane occorre un villaggio: anche il nostro Arcivescovo ci ha spronato in questi anni a collaborare, perché ci sia una collaborazione tra le figure educanti. Allora noi volevamo chiederLe un consiglio, perché possiamo aprirci a un dialogo e a un confronto con tutti gli educatori che hanno a che fare con i nostri giovani …

Papa Francesco:

Io consiglierei un’educazione basata sul pensare-sentire-fare, cioè un’educazione con l’intelletto, con il cuore e con le mani, i tre linguaggi. Educare all’armonia dei tre linguaggi, al punto che i giovani, i ragazzi, le ragazze possano pensare quello che sentono e fanno, sentire quello che pensano e fanno e fare quello che pensano e sentono. Non separare le tre cose, ma tutt’e tre insieme. Non educare soltanto l’intelletto: questo è dare nozioni intellettuali, che sono importanti, ma senza il cuore e senza le mani non serve, non serve. Dev’essere armonica, l’educazione. Ma si può dire anche: educare con i contenuti, le idee, con gli atteggiamenti della vita e con i valori. Si può dire anche così. Ma mai educare soltanto, per esempio, con le nozioni, le idee. No. Anche il cuore deve crescere nell’educazione; e anche il “fare”, l’atteggiamento, il modo di comportarsi nella vita.

b. In riferimento al punto precedente, ricordo che una volta in una scuola c’era un alunno che era un fenomeno a giocare a calcio e un disastro nella condotta in classe. Una regola che gli avevano dato era che se non si comportava bene doveva lasciare il calcio, che gli piaceva tanto! Dato che continuò a comportarsi male rimase due mesi senza giocare, e questo peggiorò le cose. Stare attenti quando si punisce: quel ragazzo peggiorò. E’ vero, l’ho conosciuto, questo ragazzo. Un giorno l’allenatore parlò con la direttrice, e spiegò: “La cosa non va! Lasciami provare”, disse alla direttrice, e le chiese che il ragazzo potesse riprendere a giocare. “Proviamo”, disse la signora. E l’allenatore lo mise come capitano della squadra. Allora quel bambino, quel ragazzo si sentì considerato, sentì che poteva dare il meglio di sé e cominciò non solo a comportarsi meglio, ma a migliorare tutto il rendimento. Questo mi sembra molto importante nell’educazione. Molto importante. Tra i nostri studenti ce ne sono alcuni che sono portati per lo sport e non tanto per le scienze e altri riescono meglio nell’arte piuttosto che nella matematica e altri nella filosofia più che nello sport. Un buon maestro, educatore o allenatore sa stimolare le buone qualità dei suoi allievi e non trascurare le altre. E lì si dà quel fenomeno pedagogico che si chiama transfert: facendo bene e piacevolmente una cosa, il beneficio si trasferisce all’altra. Cercare dove do più responsabilità, dove più gli piace, e lui andrà bene. E sempre va bene stimolarli, ma i bambini hanno anche bisogno di divertirsi e di dormire. Educare soltanto, senza lo spazio della gratuità non va bene.

E finisco con questa cosa. C’è un fenomeno brutto in questi tempi, che mi preoccupa, nell’educazione: il bullying. Per favore, state attenti. [grande applauso] E adesso domando a voi, cresimandi. In silenzio, ascoltatemi. In silenzio. Nella vostra scuola, nel vostro quartiere, c’è qualcuno o qualcuna del quale o della quale voi vi fate beffa, che voi prendete in giro perché ha quel difetto, perché è grosso, perché è magro, per questo, per quest’altro? Pensateci. E a voi piace fargli provare vergogna e anche picchiarli per questo? Pensateci. Questo si chiama bullying. Per favore… [accenno di applauso] No, no! Ancora non ho finito. Per favore, per il sacramento della Santa Cresima, fate la promessa al Signore di non fare mai questo e mai permettere che si faccia nel vostro collegio, nella vostra scuola, nel vostro quartiere. Capito?

Ragazzi:

Sì! [applauso grande]

Papa Francesco:

Mi promettete: mai, mai prendere in giro, fare beffa, un compagno di scuola, di quartiere… Promettete questo, oggi?

Ragazzi:
Sì!

Papa Francesco:
Il Papa non è contento della risposta… Promettete questo?

Ragazzi:
[fortissimo] Sì!

Papa Francesco:

Bene. Questo “sì” lo avete detto al Papa. Ora, in silenzio, pensate che cosa brutta è questa, e pensate se siete capaci di prometterlo a Gesù. Promettete a Gesù di non fare mai questo bullying?

Ragazzi:
Sì!

Papa Francesco:
A Gesù…

Ragazzi:
[forte] Sì!!

Papa Francesco:

Grazie. E che il Signore vi benedica!


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Complimenti a voi [i ragazzi che hanno fatto le coreografie nel campo]: siete stati bravi!

Preghiamo insieme: “Padre Nostro…”

[Benedizione]

Papa Francesco:

Per favore, vi chiedo di pregare per me. E prima di andarmene, una domanda: con chi dobbiamo parlare di più, a casa?

Ragazzi:
Con i nonni!

Papa Francesco:
Bravi! E voi, genitori, cosa dovete fare con i vostri figli un po’ di più?

Genitori:
Giocare!

Papa Francesco:
Giocare. E voi educatori, come dovete portare avanti l’educazione, con quale linguaggio? Con quello della testa, con quello del cuore e con quello delle mani!

Grazie e arrivederci!


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Terminato questo momento, il Papa ha infine raggiunto l’aeroporto di Linate per ripartire alla volta di Roma, chiudendo nel migliore dei modi una giornata intensissima, ricca di emozioni e che riverberà la sua eco fra chi l’ha vissuta e in tutta la diocesi ambrosiana ancora a lungo.

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