Maggio 2005: il cardinale Martini in visita alla Casa della Carità saluta don Virginio Colmegna |
Cosa sarebbe stata Milano senza il cardinale Carlo Maria Martini? Sono ancora vivi il suo insegnamento e la sua visione profetica? Lui, che nei 22 anni di ministero episcopale si è sempre preoccupato di insediarsi nei crocevia della “città dell’uomo” guidato dalla lampada della Parola di Dio, cosa ha ancora da dire alla città di oggi? Alla sua frenetica quotidianità e alla sua vivace cultura? Ai suoi problemi e ai suoi drammi? Ai suoi slanci e alle sue miserie? Alle genti di tutte le razze e culture che la abitano, a quelli che la fanno grande o semplicemente migliore e a quelli che la feriscono e la sporcano?
Domande ineludibili non tanto per questioni di calendario (il 15 febbraio ricorre il 90° anniversario della nascita di Martini e Famiglia Cristiana propone ai suoi lettori, in dieci volumi, le sue più belle meditazioni bibliche, dal Padre Nostro ai racconti della Passione, fino ai profeti), ma per il luogo dove ci troviamo, la Casa della Carità, tra Crescenzago e il quartiere Adriano, periferia nordest della città, che Martini volle come segno ed eredità del suo lungo servizio pastorale alla guida della più grande diocesi italiana e una delle maggiori del mondo. Chiamò a guidarla don Virginio Colmegna, uno di quei “pretacci” raccontati con amabile semplicità da Candido Cannavò che portano il Vangelo tra i reietti e i senzatutto, talvolta anche fregandosene dei pregiudizi del mondo.
Evochi il cardinale e don Virginio, uomo pratico e lontano da ogni retorica, ha un lampo negli occhi. «Martini», dice nel suo ufficio di questo caloroso rifugio di disperati, «è stato un grande regalo che va riscoperto oggi nella sua attualità, che ci provoca ancora». La città non ha dimenticato il suo Pastore, che la guidò tra i marosi di anni non meno difficili e complessi di quelli attuali: «Milano», aggiunge don Virginio, «è riconoscente per quello che Martini è stato per la Chiesa e per la città, alla quale ha dato autorevolezza culturale e il volto di una comunità amica, fortemente radicata nella Parola di Dio da lui amata, contemplata e insegnata con grande passione».
È proprio alla luce della Scrittura che Martini levava la sua voce alta e severa: «Intuì certi processi che dovevano succedere e che ora hanno il risvolto della drammaticità, penso al rapporto con l’islam», dice don Virginio. «È un patrimonio che sta segnando il nostro cammino, è presente ancora. La vitalità di papa Francesco ci ricorda l’attualità di Martini».
Un biblista di fama internazionale che amava passeggiare per le vie della città e toccare tutte le realtà della diocesi, dalla minestra servita ai barboni nel rifugio di fratel Ettore sotto la Stazione Centrale agli incontri con gli operai, fino ai giovani che gremivano il Duomo per la lectio divina: «Martini», riflette Colmegna, «fu un innovatore nel quotidiano, nella normalità che è il vero orizzonte d’azione del credente. Come papa Francesco, fu accusato di essere solo un prete attento al sociale, ma la sua diagnosi sui temi sociali scaturiva dall’ascolto e dalla contemplazione della Parola».
La “Cattedra dei non credenti” fu un’altra intuizione che varcò i confini della diocesi. «In un certo senso mise in cattedra i non credenti perché riteneva profondamente serie le loro inquietudini, giudicandole capaci di fecondare anche la fede di tanti cristiani. E poi, la Scuola della Parola, il convegno diocesano “Farsi prossimo” del 1987. Non erano solo parole ma azioni, dalle quali sono scaturiti una visione e gesti concreti».
Uno di questi è proprio Casa della Carità ...
Per approfondire vedi anche il nostro Speciale Carlo Maria Martini PROFETA DEI NOSTRI TEMPI