Non c'è bisogno di commento né tanto meno di giudizi, ma solo di riflessione di fronte alle parole pronunciate da Antonella Riccardi, la madre adottiva di Giò, il ragazzo sedicenne di Lavagna che si è suicidato per la vergogna di essere stato sorpreso con dieci grammi di hashish gettandosi da un balcone durante un controllo a casa da parte dei finanzieri chiamati da lei stessa.
Ecco le parole che ha pronunciato in chiesa:
«In ognuno di voi sono presenti dei talenti che vi rendono unici e irripetibili. E avete il dovere di farli emergere e di svilupparli. Là fuori c’è invece qualcuno che vuole soffocarvi facendovi credere che sia normale fumare una canna, normale farlo fino a sballarsi, normale andare sempre oltre. Diventate piuttosto i veri protagonisti della vostra vita e cercate la straordinarietà. Straordinario è mettere giù il cellulare e parlarvi occhi negli occhi invece che mandarvi faccine su whatsapp. Straordinario è avere il coraggio di dire a una ragazza “sei bella” invece di nascondersi dietro alle domande preconfezionate di ask. Straordinario è chiedere aiuto quando proprio vi sembra che non ci sia via d’uscita. Straordinario è avere il coraggio di dire ciò che sapete. Per Giò è troppo tardi, ma potrebbe non esserlo per molti di voi. Fatelo.
A noi genitori invece il compito di capire che la sfida educativa non si vince da soli, nell’intimità delle nostre famiglie, soprattutto quando questa diventa connivenza per difendere una facciata. Facciamo rete, aiutiamoci tra noi, non c’è vergogna se non nel silenzio. Uniamoci. Un pensiero particolare va alla guardia di finanza. Grazie per aver ascoltato l’urlo di disperazione di una madre che non poteva accettare di vedere suo figlio perdersi e ha provato con ogni mezzo di combattere la guerra contro la dipendenza prima che fosse troppo tardi. Non c’è colpa né giudizio nell’imponderabile e dall’imponderabile non può che scaturire linfa nuova e ancora più energia per la lotta contro il male»
«Le ultime parole sono per te, figlio mio. Perdonami per non essere stata capace di colmare quel vuoto che ti portavi dentro da lontano. Voglio immaginare che lassù ad accoglierti ci sia la tua prima mamma e come in una staffetta di passarle il testimone affinché il tuo cuore possa essere colmato in un abbraccio che ti riempia per sempre il cuore».
La donna in chiesa era accompagnata dal padre adottivo del ragazzo e suo ex marito Marco Bianchi. "Fai buon viaggio piccolo mio", ha concluso.
La donna in chiesa era accompagnata dal padre adottivo del ragazzo e suo ex marito Marco Bianchi. "Fai buon viaggio piccolo mio", ha concluso.
(fonte: Famiglia Cristiana)
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Una riflessione dello psicoterapeuta Alberto Pellai sul gesto estremo del sedicenne di Lavagna, trovato in possesso di pochi grammi di hashish e che davanti alla madre e ai finanzieri si è buttato giù dal terzo piano della sua casa
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Il ragazzo di Lavagna non ha trovato altro modo per liberarsi di quel dolore assordante che gli è esploso dentro. Nessuno saprà mai bene quali siano state le cose che ha pensato e soprattutto quelle che ha sentito, le facce del suo dolore. Di certo in quell’istante tutto in lui è andato in cortocircuito lasciando attivo solo il dolore. Un dolore così potente da uccidere e da qui il gesto inspiegabile per gli occhi esterrefatti della mamma, del suo compagno e del militare: il ragazzo si alza come per prendere una boccata d’aria e si butta giù dal terzo piano. La disperazione è constatare che dentro di lui non si sia acceso un pensiero sufficientemente forte da fermarlo in tempo. Una vocina che gli dicesse che un modo diverso per uscirne ci poteva essere. Che questo poteva proprio essere un momento importante per ripartire, per costruire qualcosa di nuovo. Che non era la fine del mondo e che poteva cavarsela. Che lui era abbastanza forte per dare spiegazioni, per sostenere i rimproveri dei genitori, per tollerare i loro sguardi delusi. Lui era abbastanza forte per reggere quel momento. Se solo dentro di lui avesse visto oltre quel dolore terribile, quell’errore poteva essere un’occasione per cambiare tante cose. Invece dentro di lui non si è acceso niente di abbastanza forte.
Il pensiero che da questa tragedia ogni adulto può fare suo è l’importanza di allenare la capacità di dare parole alle emozioni. Dobbiamo allenarla prima di tutto in noi stessi. Poi col nostro partner, con i nostri figli, con gli amici dei nostri figli, con i colleghi, etc. Ogni occasione è buona per non far finta di niente, per non lasciare cadere. Se sentiamo un’emozione potente non abbassiamo lo sguardo. Dimostriamo il coraggio di condividere, di ascoltare senza spaventarci e senza spaventare.
Il dolore dei genitori di questo ragazzo ora è magma incandescente. Un terreno da rispettare e da non invadere. A loro va la nostra vicinanza e solidarietà, perché nessuno dovrebbe mai trovarsi a vivere una situazione simile. L’augurio è che trovino modi e persone per condividere questo dolore e riuscire a sopportarlo.
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Un sedicenne di Lavagna che si getta dalla finestra. Una 17enne di Milano che si lancia da un'auto in corsa e un 22enne di Rovigo che si butta sotto un treno. Tutto nella stessa giornata. Per il pedagogista Novara «stiamo trasformando temi educativi in questioni giudiziarie. E siamo di fronte ad una generazione affetta da “carenza conflittuale” e incapace di affrontare la realtà»
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Professore, in queste ore sui media si parla solo del ragazzo di Lavagna. C’è chi incolpa i genitori, chi incolpa la polizia e chi parla, come Saviano, di morte di Stato. Analizzando la cronaca però si scopre che è solo uno dei tre casi nello stesso giorno. Non è forse il caso di uscire dalle particolarità degli episodi e provare ad allargare l’analisi?
Certamente. Per allargarla le questioni da prendere in esame sono due. In primo luogo che una serie di problemi stanno passando dal campo dell’educazione al campo giudiziario. E questo non è solo sbagliato ma molto pericoloso. Pensiamo al bullismo e alla droga che sono problemi educativi, letteralmente educativi. Tematiche di una profonda immaturità all’interno di un’età particolare come quella dell’adolescenza, ma anche in alcuni casi della preadolescenza e dell’infanzia, trattati come questioni da aula di tribunale. Non è legittimo in nessun modo che la società consegni questi problemi agli psicofarmaci o ai distretti militari. Non è la magistratura a dover affrontare queste cose. È un errore che pagheremo molto caro. L’Italia è un’eccellenza nella gestione dei propri giovani. Ma rischia di diventare una Caporetto. Le spinte politiche rancorose, che parlano di combattere in campo aperto i comportamenti sbagliati dei giovani, spostando improvvisamente il baricentro di quella che è sempre stata una posizione educativa e di recupero ad una vocazione poliziesca.
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Non è una contraddizione che una persona così fragile abbia il coraggio di fare un gesto così definitivo come togliersi la vita? Come si spiega?
Si spiega nella logica autolesionistica. Teniamo conto che l’autolesionismo anche estrema è più diffuso di quel che si dice. È 8 volte superiore ai dati di omicidio. Quindi addirittura dovrebbe essere 16 volte superiore, visto che molti suicidi non vengono riconosciuti tali. Se pensa ai disturbi alimentari, diffusissimi, sono casi di autolesionismo. Tanti incidenti sono in realtà suicidi dissimulati. Non ci vuole coraggio, ci vuole solo una profonda difficoltà, ontologica, ad affrontare la realtà. Si preferisce annullare i problemi piuttosto che affrontarli. La realtà fa più paura della morte. Basta poco per destabilizzare l’equilibrio del giovane e portarlo a scelte irreparabili. ...
Leggi tutto: Ai nostri giovani la realtà fa più paura della morte