giovedì 29 dicembre 2016

"La speranza apre nuovi orizzonti, rende capaci di sognare ciò che non è neppure immaginabile. La fede non è solo silenzio che tutto accetta senza replicare, la speranza non è certezza che ti mette al sicuro dal dubbio e dalla perplessità. Fede è anche lottare con Dio, mostrargli la nostra amarezza, E speranza è anche non avere paura di vedere la realtà per quello che è e accettarne le contraddizioni." Papa Francesco Udienza generale 28/12/2016


“La speranza apre nuovi orizzonti, rende capaci di sognare ciò che non è neppure immaginabile”. Lo assicura Papa Francesco nella catechesi dell’udienza generale di oggi, la quarta sul tema della speranza, tenuta in un’Aula Paolo VI gremita di fedeli, dopo avere percorso il corridoio centrale e salutato i presenti, gustando un mate offertogli da un fedele, prendendo in braccio, benedicendo e baciando diversi bambini e una giovane in abito da sposa in dolce attesa, ricevendo regali e non sottraendosi a selfie e allo scambio dello zucchetto. 







Al termine dell'udienza, dopo i saluti ai fedeli, c'è stata un'esibizione degli artisti del Golden Circus di Liana Orfei. Giocolieri, acrobati, un illusionista, un addestratore di pappagalli hanno fatto sorridere ammirati il Pontefice e tutti i presenti. Un prestigiatore si è avvicinato con un tavolino volante, facendogli verificare che non ci fossero fili. Al termine dell'esibizione papa Francesco ha ringraziato i circensi osservando che "la bellezza sempre avvicina a Dio". Uno degli artisti del circo ha dato al Papa un palloncino verde e rosso modellato a fiore, come quelli che si fanno per i bambini. Un altro, insieme a Liana Orfei, gli ha appoggiato sulla mano un pappagallo bianco.









 


La Speranza cristiana - 4. Abramo, padre nella fede e nella speranza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

San Paolo, nella Lettera ai Romani, ci ricorda la grande figura di Abramo, per indicarci la via della fede e della speranza. Di lui l’apostolo scrive: «Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli» (Rm 4,18); “saldo nella speranza contro ogni speranza”. Questo concetto è forte: anche quando non c’è speranza, io spero. È così il nostro padre Abramo. San Paolo si sta riferendo alla fede con cui Abramo credette alla parola di Dio che gli prometteva un figlio. Ma era davvero un fidarsi sperando “contro ogni speranza”, tanto era inverosimile quello che il Signore gli stava annunciando, perché egli era anziano - aveva quasi cento anni - e sua moglie era sterile. Non ci è riuscita! Ma lo ha detto Dio, e lui credette. Non c’era speranza umana perché lui era anziano e la moglie sterile: e lui credette.

Confidando in questa promessa, Abramo si mette in cammino, accetta di lasciare la sua terra e diventare straniero, sperando in questo “impossibile” figlio che Dio avrebbe dovuto donargli nonostante il grembo di Sara fosse ormai come morto. Abramo crede, la sua fede si apre a una speranza in apparenza irragionevole; essa è la capacità di andare al di là dei ragionamenti umani, della saggezza e della prudenza del mondo, al di là di ciò che è normalmente ritenuto buonsenso, per credere nell’impossibile. La speranza apre nuovi orizzonti, rende capaci di sognare ciò che non è neppure immaginabile. La speranza fa entrare nel buio di un futuro incerto per camminare nella luce. È bella la virtù della speranza; ci dà tanta forza per camminare nella vita.

Ma è un cammino difficile. E viene il momento, anche per Abramo, della crisi di sconforto. Si è fidato, ha lasciato la sua casa, la sua terra, i suoi amici, … Tutto. È partito, è arrivato nel paese che Dio gli aveva indicato, il tempo è passato. In quel tempo fare un viaggio così non era come oggi, con gli aerei - in poche ore si fa - ; ci volevano mesi, anni! Il tempo è passato, ma il figlio non viene, il grembo di Sara rimane chiuso nella sua sterilità.

E Abramo, non dico che perda la pazienza, ma si lamenta con il Signore. Anche questo impariamo dal nostro padre Abramo: lamentarsi con il Signore è un modo di pregare. Alle volte sento, quando confesso: “Mi sono lamentato con il Signore …”, ed [io rispondo]: “Ma no! Lamentati, Lui è padre!”. E questo è un modo di pregare: lamentati con il Signore, questo è buono. Abramo si lamenta con il Signore dicendo: «“Signore Dio, […] io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco” (Elièzer era quello che reggeva tutte le cose). Soggiunse Abram: “Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio servo sarà mio erede”. Ed ecco, gli fu rivolta questa parola dal Signore: “Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede”. Poi lo fa uscire fuori, lo condusse e gli disse: “Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle”; e soggiunse: “Tale sarà la tua discendenza”. E Abramo un’altra volta credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia» (Gen 15,2-6).

La scena si svolge di notte, fuori è buio, ma anche nel cuore di Abramo c’è il buio della delusione, dello scoraggiamento, della difficoltà nel continuare a sperare in qualcosa di impossibile. Ormai il patriarca è troppo avanti negli anni, sembra non ci sia più tempo per un figlio, e sarà un servo a subentrare ereditando tutto.

Abramo si sta rivolgendo al Signore, ma Dio, anche se è lì presente e parla con lui, è come se ormai si fosse allontanato, come se non avesse tenuto fede alla sua parola. Abramo si sente solo, è vecchio e stanco, la morte incombe. Come continuare a fidarsi?

Eppure, già questo suo lamentarsi è una forma di fede, è una preghiera. Nonostante tutto, Abramo continua a credere in Dio e a sperare che qualcosa ancora potrebbe accadere. Altrimenti, perché interpellare il Signore, lagnarsi con Lui, richiamarlo alle sue promesse? La fede non è solo silenzio che tutto accetta senza replicare, la speranza non è certezza che ti mette al sicuro dal dubbio e dalla perplessità. Ma tante volte, la speranza è buio; ma è lì la speranza … che ti porta avanti. Fede è anche lottare con Dio, mostrargli la nostra amarezza, senza “pie” finzioni. “Mi sono arrabbiato con Dio e gli ho detto questo, questo, questo, …”. Ma Lui è padre, Lui ti ha capito: vai in pace! Bisogna avere questo coraggio! E questo è la speranza. E speranza è anche non avere paura di vedere la realtà per quello che è e accettarne le contraddizioni.

Abramo dunque, nella fede, si rivolge a Dio perché lo aiuti a continuare a sperare. È curioso, non chiese un figlio. Chiese: “Aiutami a continuare a sperare”, la preghiera di avere speranza. E il Signore risponde insistendo con la sua inverosimile promessa: non sarà un servo l’erede, ma proprio un figlio, nato da Abramo, generato da lui. Niente è cambiato, da parte di Dio. Egli continua a ribadire quello che già aveva detto, e non offre appigli ad Abramo, per sentirsi rassicurato. La sua unica sicurezza è fidarsi della parola del Signore e continuare a sperare.

E quel segno che Dio dona ad Abramo è una richiesta di continuare a credere e a sperare: «Guarda in cielo e conta le stelle […] Tale sarà la tua discendenza» (Gen 15,5). È ancora una promessa, è ancora qualcosa da aspettare per il futuro. Dio porta fuori Abramo dalla tenda, in realtà dalle sue visioni ristrette, e gli mostra le stelle. Per credere, è necessario saper vedere con gli occhi della fede; sono solo stelle, che tutti possono vedere, ma per Abramo devono diventare il segno della fedeltà di Dio.

È questa la fede, questo il cammino della speranza che ognuno di noi deve percorrere. Se anche a noi rimane come unica possibilità quella di guardare le stelle, allora è tempo di fidarci di Dio. Non c’è cosa più bella. La speranza non delude. Grazie.

Guarda il video della catechesi

Saluti:
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Accolgo con la gioia del clima natalizio i cari pellegrini di lingua italiana. Saluto gli artisti e operatori del Golden Circus di Liana Orfei, e li ringrazio per la loro gradita esibizione. La bellezza sempre ci avvicina a Dio! Saluto i gruppi parrocchiali, particolarmente i fedeli di Supino e di Sant’Andrea delle Fratte in Roma, venuti con l’effigie della Madonna della Medaglia Miracolosa, che verrà esposta nella Basilica di San Pietro. In questo Tempo di Natale abbiamo davanti agli occhi il meraviglioso mistero di Gesù fanciullo e adolescente, che, come racconta l’evangelista Luca, “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (2,52).

Mi è gradito porgere un saluto speciale ai giovani, ai malati e agli sposi novelli; io li chiamo i coraggiosi, perché ci vuole coraggio per sposarsi e farlo per tutta la vita: bravi! I Santi Innocenti martiri, che oggi ricordiamo, aiutino tutti ad essere forti nella fede, guardando al divino Bambino, che nel mistero del Natale si offre per l’intera umanità. Cari giovani, sappiate anche voi crescere come lui: obbedienti ai genitori e pronti a capire e a seguire la volontà del Padre che è nei cieli. Cari ammalati, vi auguro di scorgere, nella vivida luce di Betlemme, il senso della vostra sofferenza. Ed esorto voi, cari coraggiosi sposi novelli, a mantenere costanti, nel costruire la vostra famiglia, l’amore e la dedizione oltre ogni sacrificio, e a non finire la giornata senza fare la pace fra voi.


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