giovedì 29 settembre 2016

La censura sulla collera di Gesù di Enzo Bianchi

La censura sulla collera di Gesù

Jesus - Rubrica La bisaccia del mendicante
Settembre 2016
di ENZO BIANCHI


In questa stagione ecclesiale caratterizzata anche dall’interesse e della ricerca riguardo all’umanità di Gesù, permane tuttavia una certa timidezza nell’analizzare e mettere in rilievo i sentimenti di Gesù. In particolare si evita di leggere uno di questi modi di comportarsi da parte di Gesù: la collera, l’ira, lo sdegno. A volte si ha l’impressione che si voglia presentare un Gesù uomo come noi, ma dolciastro, oleografico, forse perché l’atteggiamento della collera contrasta con il dominante bisogno di dolcezza, mitezza, rimozione e negazione del conflitto. Eppure, se prendiamo il vangelo più antico, quello secondo Marco, questo tratto di Gesù – mitigato dagli altri evangelisti e talvolta addirittura assente – emerge con chiarezza: l’ira, la collera, lo sdegno non sono solo sentimenti umani che non significano modi peccaminosi, ma sono anzi segno che in Gesù c’erano passione e forte convinzione. La collera è reazione all’indifferenza, al silenzio complice, alla tolleranza acquiescente, alla clemenza a basso prezzo, tutti atteggiamenti che accompagnano chi non conosce l’amore, la passione dell’amore. La collera è l’altra faccia della compassione! Per questo non è possibile dimenticare le parole dure di Gesù, le sue invettive, i suoi atteggiamenti verso alcune situazioni e a volte anche verso gli stessi discepoli. La minaccia, l’invettiva deve essere detta, se è pronunciata come avvertimento urgente e forte, non come giudizio di condanna!

Nel vangelo secondo Marco troviamo innanzitutto il verbo orghízomai, andare in collera, che appare come sentimento di Gesù alla vista del lebbroso (cf. Mc 1,41). Perché Gesù è preso da collera di fronte al lebbroso? ...

Ma la collera di Gesù si manifesta anche verso i “giusti incalliti”, i pretesi osservanti della Legge. ...

Tutti ricordiamo inoltre come Gesù agì dopo l’ingresso trionfale in Gerusalemme. Salito a Gerusalemme, Gesù trova nel tempio ciò che non doveva esservi: vede la dimora di Dio trasformata in una casa di commercio. Allora “avendo fatto una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i tavoli” (Gv 2,15). Qui c’è sdegno, collera manifestata in azioni che non sono violente verso le persone ma provocano un danno economico, un impedimento al commercio praticato nel tempio. Solitamente se si ricorda questa azione di Gesù è solo per dire che egli era violento e non mite. No, Gesù non cede alla violenza, non fa violenza sulle persone, ma compie un gesto profetico carico di significato, e lo fa con sdegno e collera.

Infine, conosciamo bene le invettive, il “Guai a voi!” ripetuto sette volte nei confronti degli scribi e farisei ipocriti (cf. Mt 23,13-32)...

Dunque sdegno, collera, ira erano presenti in Gesù, a testimonianza della sua fede convinta, della sua passione per la giustizia, della sua urgente parola profetica che voleva tenere svegli, non lasciare che gli altri si addormentassero, ammonirli finché c’era tempo. Purtroppo questo Gesù oggi viene censurato da generazioni di credenti che non amano il conflitto, che temono la voce alta, che rifuggono l’urgenza del sì o del no. Sono convinto che, se oggi Gesù tornasse, molti cristiani, soprattutto monaci e monache, non lo seguirebbero, perché lo riterrebbero troppo duro, troppo esigente, non sufficientemente mite e dolce: non hanno colpe, perché non conoscono l’amore e la sua passione forte come la morte, tenace come l’inferno (cf. Ct 8,6).