venerdì 19 agosto 2016

"La doppia oppressione" di Chiara Saraceno - Una cronista velata in spiaggia e le reazioni dei bagnanti a Rimini


La doppia oppressione
di Chiara Saraceno


Si può provare pena ed anche un po’ di rabbia per una donna che indossa il burkini in spiaggia, così come per una che in piena estate se ne va in giro in città coperta fino alle caviglie e ai polsi, mentre attorno a lei i suoi compagni maschi e i suoi bambini se ne vanno allegramente con braccia e gambe nude. Possiamo ritenerla una oppressione imposta da una mentalità maschile che vuole ogni centimetro del corpo della donna coperto, per non esporre alla tentazione altri uomini diversi da colui che può vantare “diritti” su di lei in quanto marito. Non vi è dubbio che le religioni, non solo quella islamica, si sono accanite e si accaniscono con particolare intensità ossessiva sul modo in cui le donne devono “portare in giro” il proprio corpo. Sono abbastanza vecchia da ricordare quando, ancora negli anni Sessanta, non solo il bikini sulla spiaggia, ma le maniche corte sopra il gomito e i pantaloni lunghi erano considerati abbigliamenti indecenti, non solo dai parroci, e non solo da quelli di campagna. Una donna senza il velo in testa e con le maniche “troppo corte” poteva vedersi rifiutare la comunione. Una ragazza in pantaloni o con le maniche ritenute troppo corte poteva vedersi aspramente rimproverata dal responsabile della parrocchia dove era andata a fare animazione con i bambini. All’Università Cattolica di Milano le studentesse venivano obbligate a portare il grembiule nero; non potevano neppure sedersi sui muretti del chiostro, per evitare di far intravvedere le ginocchia. 
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Sentirsi a proprio agio nello spazio pubblico con il proprio corpo è stata per le donne una conquista recente e difficile, oltre che non priva di ambivalenze e di rischi vecchi e nuovi. Si può capire la pena e il disagio di fronte a chi, invece, appare ancora con un corpo chiuso in gabbia. 
Ma è accettabile passare dal divieto di scoprirsi a quello di coprirsi? 
I criteri di “buon costume” e “ordine pubblico” oggi in vigore sulle nostre spiagge come su quelle francesi permettono topless, bikini anche minuscoli, costume intero, slip maschili che non nascondono nulla, ma anche mutandoni tanto di moda tra i ragazzi, mute subacquee comprensive di maschera integrale, oltre che lo stare semplicemente vestite. Nessuno pensa di dare una multa non solo a una suora, ma anche a una donna non visibilmente appartenente a qualche gruppo religioso che se ne stia vestita di tutto punto sulla spiaggia. Nessuno si interroga sulle loro ragioni o sul fatto se siano o meno obbligate. 
Non si vede perché si debba usare un criterio diverso per le donne che indossano il cosiddetto burkini, in quanto sarebbe simbolo di una appartenenza a una comunità e ad una religione. A meno di non considerare lo stare il più possibile svestite simbolo della cultura occidentale, livrea obbligatoria per ogni donna che voglia vivere in un Paese occidentale, criterio discriminante per la sua integrazione — espressione dei “nostri valori”, per dirla con il primo ministro francese Valls. Per altro, anche secondo la rigida legge francese sulla laicità, il divieto di esibire abbigliamenti religiosamente identificabili riguarda i luoghi pubblici intesi come luoghi in cui si svolgono funzioni pubbliche — gli uffici statali, le scuole — non le strade, le piazze, le spiagge, i bar, i ristoranti, i parchi. Non stiamo parlando del velo integrale, che copre il viso e talvolta, con i guanti, anche le mani. 
Vietare il burkini con qualche scusa più o meno fantasiosa — dalle norme di sicurezza a quelle di igiene — o richiamando il, legittimo, disagio che dopo gli attentati i francesi proverebbero per tutto ciò che appare musulmano, mi sembra non solo sbagliato, ma controproducente. Non aiuterà certo a reagire le donne eventualmente costrette ad indossarlo dagli uomini della loro comunità. Piuttosto le costringerà a rimanere rinchiuse, strette tra due opposti divieti entrambi autoritari. 
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Soprattutto, avvallerà la pericolosa opinione che ogni musulmano è potenzialmente un terrorista, un nemico, anche quando è una donna avviluppata in scomodi vestiti che osa provare il piacere di bagnarsi, anche per rinfrescarsi un po’.




Rimini, 18 agosto 2016 - Indossare un burkini per entrare nel mondo di un’altra donna. Via gli anelli, la collana, il trucco e lo smalto rosso da mani e piedi. Anni di conquiste che se ne vanno insieme al duepezzi. Al suo posto mi infilo una serie di strati neri e, coperta da capo a piedi, in sella alla bicicletta prendo la strada per la spiaggia libera di piazzale Boscovich. Già sulla ciclabile le occhiate di chi arriva dalla direzione opposta sono un assaggio di quello che mi aspetta sulla battigia. Espressioni di chi guarda una donna rinchiusa in una gabbia. "Ma non hai caldo? È estate, siamo aRimini". Coprire il corpo per nasconderlo agli altri, provoca l’esatto contrario. Scendo in spiaggia ed è come se in pieno inverno si vedesse una donna camminare in centro in costume da bagno. Mi siedo sulla sabbia, il sole è alto e il caldo insopportabile. Sotto ai vestiti neri manca il respiro, anche nella testa. Un pierre vende a una compagnia di amici i biglietti per una festa in un locale, una ragazza chiede se i maschi debbano indossare la camicia, quello mi guarda di sbieco e risponde che "certo in costume non vi fanno entrare, dovete vestirvi, ma non così tanto come lei".

Gli altri sghignazzano, ma sono anche imbarazzati per l’ombra nera accanto, e tagliano corto. Sono giovani, anche se non approvano non vogliono offendermi. Passeggio sulla riva, qualcuno si scosta impercettibilmente, qualcun’altro prende in braccio i bambini come se fossi contagiosa. Un tipo sui cinquanta esce dall’acqua e si fa il segno della croce. Mi guarda dritto negli occhi, aspettando una reazione. Quindi chiama la figlia: "Andiamo via, qui c’è gente che non mi piace». Continuo la passeggiata, osservo la ruota panoramica e l’orizzonte come qualsiasi turista. La differenza è che anch’io sono diventata un’attrattiva. "Allora non sono solo all’estero a farsi il bagno coperte" dice uno. Un’anziana riminese gli spiega che indosso un burkini. "Prima avevamo il bikini e adesso...". Incrocio una coppia di mezza età dall’espressione tutt’altro che amichevole. Il marito si volta verso la moglie e parla con l’intenzione di farsi sentire: "Mi hanno rotto le scatole, adesso vengono anche qui tutte vestite". Se ne vanno impettiti come se avessi invaso il loro territorio.

Con il caldo va sempre peggio, e vado a fare il bagno. Una volta in acqua i vestiti si appiccicano addosso. I movimenti più semplici diventano un’impresa. Penso che è solo un esperimento e che quando sarà finito potrò togliere gli strati. La gente si gira continuamente, i più guardano storto, i giovani preferiscono le battute: "Ma cos’è un sommozzatore?". Un’altra compagnia gioca in cerchio a pallavolo, la palla mi cade vicino e gliela lancio. Ringraziano e salutano con gentilezza, ma mi guardano come se gli facessi pena. Esco dall’acqua, il bagno non è un piacere, i vestiti pesano una tonnellata. Rifaccio il percorso a ritroso, mi appoggio a un pattino, i bagnini mi osservano qualche secondo, ma non mi fanno spostare. Magari pensano che sarebbe una discriminazione. Non sanno nemmeno loro come comportarsi. Un uomo lì vicino va giù pesante: "Ma sarà dell’Isis, avrà una bomba?". L’amico gli risponde piccato: "Guarda che tanti terroristi sono vestiti come noi, non li riconosciamo dagli abiti, ma comunque rimane il fatto che se le nostre mogli vanno nei loro Paesi si devono coprire, qui fanno come gli pare. Si devono adeguare ai nostri usi". Sono quasi arrivata al punto dove ho lasciato l’asciugamano.

Tre ragazze bevono birra, brindano e ridono. Mi vedono e di nuovo compare quello sguardo dispiaciuto: "Poveracce – dice una – chissà se è una loro scelta, sai che caldo là sotto. Io non ci verrei al mare così". Sono dispiaciute per me. Sorpresa e fastidio si alternano negli occhi della gente. Per loro è come un mondo lontano che qualcuno gli sta sbattendo in faccia.
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