giovedì 26 maggio 2016

QUELLA NAVE E IL NAUFRAGIO DELLA NOSTRA COSCIENZA - Favour (privilegiata) bimba di 9 mesi arriva a Lampedusa dopo aver perso la mamma, ma forse trova un papà...


QUELLA NAVE E IL NAUFRAGIO DELLA NOSTRA COSCIENZA
di Francesco Anfossi

Le immagini catturate dal ponte della nave della Marina Bettica stavolta ci raccontano il dramma in diretta: il barcone sovraccarico di migranti in balia delle onde, il dondolio che crea panico tra chi sta accovacciato ai bordi, la perdita dell'equilibrio, il rovesciamento dello scafo, i migranti che si tuffano in acqua e quelli che rimangono intrappolati perché non sanno nuotare. I sommersi e i salvati dell'ennesima tragedia.

E' molto probabile, quasi inevitabile, che con la bella stagione i barconi della morte torneranno in massa ad attraversare il Canale di Sicilia. L'ennesima stagione di morte andrà a riempire i fondali di quel cimitero aperto che è il Mediterraneo. Di fronte a questa emergenza continua l'Europa n on ha ancora messo a punto una strategia sensata e umanitaria. Si alzano muri di filo spinato e si cerca di passare al patata bollente ai Paesi confinanti, si litiga sulla gestione di profughi, si vellica la pancia del populismo con i provvedimenti più razzisti e xenofobi. 

In quel barcone c'è il naufragio della nostra coscienza europea. Eppure la soluzione ci sarebbe, anche se è una soluzione complessa (ma si dovrà pur ammettere che anche il problema è assai complesso): la strada perimpedire tragedie simili, oltre al pattugliamento delle navi, è quella dei corridoi umanitari: l'unico modo per accogliere in sicurezza chi ha diritto d'asilo (sancito dall'articolo 10 della Costituzione) e controllare chi mette piede sulle nostre frontiere. Una strada complicata, costosa, che ci interpella e ci chiede impegno e responsabilità di fronte a una tragedia del nostro tempo. Tutto il resto è solo demagogia.
(fonte: Famiglia Cristiana 25/05/2016)

La bimba di 9 mesi salvata dal medico “Ho chiesto l'affido” 
di Laura Anello
Ne ha visti a migliaia. Morti, vivi, feriti, bambini, vecchi. Ma questa bambina gli ha toccato il cuore. «L’ho chiesta in affido, la vorrei tenere con me per sempre», dice. Lui è Pietro Bartòlo, il medico del Poliambulatorio di Lampedusa, il protagonista dell’ultimo film di Gianfranco Rosi, «Fuocoammare». Lei è una bambina, del Mali, si chiama Favour, che significa privilegiata. È sbarcata da sola, a nove mesi, con un cappellino blu di lana sulla testa, mentre la madre – incinta di un altro figlio – è morta per le ustioni sul gommone su cui si era imbarcata in Libia. «Una bambina bellissima e dolcissima – si commuove Bartòlo -. 
Mi ha abbracciato, mi ha fatto la pipì addosso, non ha versato una lacrima, si è fatta visitare senza lamentarsi mai. Una creatura meravigliosa». L’ha raccolta lui, ieri, al molo di Lampedusa dove è approdata la motovedetta che portava venti feriti e la bambina in braccio a una giovane donna. È stata la donna, insieme con altri testimoni, a raccontare che la madre della piccola era morta per le ustioni procurate dalla benzina del motore del barcone, una storia già vista infinite volte. «La bambina è sola, non ha nessuno», hanno spiegato. Bartòlo racconta: «L’ho messa nelle braccia di una mia assistente fidatissima, le ho detto stai attenta, non la dare a nessuno neanche per un attimo, mentre io visitavo gli altri. Poi l’ho portato al poliambulatorio, l’ho visitata, le ho aspirato un po’ di muco, era un po’ raffreddata e disidratata. Ma poca roba, stava benissimo. Un faccino tondo, una bambina di bellezza straordinaria. Le abbiamo cambiato gli abiti, è stata in braccio a me come se ci fosse stata sin dalla nascita. Poi l’ho portata al centro di accoglienza, in buonissime mani. Adesso l’ho chiesta in affido, spero che me la diano». Non sarebbe il primo affido, per lui. Cinque anni fa ha preso con sé anche un ragazzo tunisino di 17 anni, adesso ne ha 22, «sta bene, va e viene, è come se fosse mio figlio». In questi anni ha contato centinaia e centinaia di morti, ha soccorso fantasmi denutriti, ustionati, sotto choc. Fu lui, nel 2009, protagonista di uno dei tanti miracoli di quest’epopea infinita, «una donna che sembrava morta, era già nel sacco cadaverico quando mi accorsi di un battito flebile sul polso. Si chiama Kebrat, adesso sta bene, vive in Svezia». Lo stesso sperò avvenisse per un bambino, «il primo dei primi 111 sacchi che mi trovai davanti quel 3 ottobre, aveva i pantaloncini rossi, gli tastai il polso per mezz’ora aspettando un segnale. Non l’ho dimenticato mai. Quando mi dicono che dopo un po’ ti abitui, io gli rispondo che io non mi sono abituato mai. E che ogni volta che devo aprire un sacco, mi viene mal di pancia e scapperei in bagno». 
Questa volta Favour è arrivata viva. Favour, privilegiata. Privilegiata perché viva.
(fonte: La Stampa 26/05/2016)