lunedì 16 maggio 2016

Pomodori rosso sangue

Pomodori rosso sangue

L’esperienza di Matteo Fraschini Koffi nel ghetto di Rignano è diventata anche un libro. Che denuncia le condizioni disumane in cui migliaia di persone, in gran parte migranti, sono costrette a lavorare per la raccolta dei pomodori in Puglia

Ci ha pensato per quasi due anni. È dovuto passare per l’Africa per ritornare di nuovo in Italia e decidere che ce la poteva fare. È la storia, diventata un libro, di Matteo Fraschini Koffi, nato in Togo, adottato a pochi mesi e cresciuto in Italia, tornato in Africa alla ricerca delle proprie origini, ma anche e sempre di più in veste di giornalista. Tornato, infine, nel nostro Paese si è mischiato alle migliaia di africani che ogni anno sono costrette ad accettare condizioni di vita e di lavoro disumane nei campi di raccolta di pomodoro in Puglia.



La scorsa estate, Matteo si è infiltrato nel ghetto di Rignano, una piccola Africa in miniatura. Anzi, il peggio dell’Africa e dell’Italia messi insieme, un luogo di illegalità, traffici e sfruttamento al limite della schiavitù.
Lo ha raccontato in diversi reportage, che gli sono valsi il prestigioso riconoscimento giornalistico “Il Premiolino”. Ed ora questa sua esperienza è diventata anche un libro in collaborazione con il fotografo e filmaker Antonio Fortarezza: Campi d’oro rosso (Ed. Gruppo Solidarietà Africa, Seregno).
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«... Ero molto determinato. Ma se non avessi vissuto dieci anni in Africa non ce l’avrei fatta.
Le esperienze fatte in quel continente mi hanno reso abbastanza sicuro di quello che volevo fare».
Matteo ha passato due settimane nel ghetto di Rignano, dove nei mesi estivi si ammassano circa 1.500 persone. Una baraccopoli totalmente illegale al “servizio” del caporalato che gestisce la raccolta dei pomodori.
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«Inutile dire: “Chiudiamo il ghetto”. Non è il ghetto il problema. Sono gli interessi che ci stanno dentro e attorno».
A Rignano, Matteo ha incontrato anche un missionario, padre Arcangelo Maira, scalabriniano, che dopo una lunga esperienza in Africa, ha ritrovato un pezzo di quel continente nella sua terra. «Padre Arcangelo – lo ricorda Matteo – è uno che non aveva paura. E che all’interno del ghetto aveva un ruolo importante. Penso che abbia ricevuto qualche minaccia e forse anche per questo quest’anno non sarà più lì».
Padre Maira ha dato vita al Progetto “Io ci sto fra gli immigrati”, coinvolgendo circa 250 giovani volontari che operano tra gli stagionali, con i quali condividono innanzitutto il loro tempo, il loro entusiasmo, la voglia di confrontarsi alla pari e di trattarli come persone umane, non mere macchine da raccolto.
«Non tutte le organizzazioni stanno nel ghetto con questo spirito – conclude Matteo -: mi ha fatto male vedere gruppi che dovrebbero stare dalla stessa parte e lottare insieme per i diritti di chi vive e lavora lì, portare avanti i propri specifici interessi. Che non coincidono necessariamente con l’interesse dei migranti. E così – conclude amaro Matteo – ogni anno si reitera lo stesso meccanismo di ingiustizia e sfruttamento».

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