sabato 14 maggio 2016

Il Vangelo, i populismi e l’Europa di Massimo Toschi


Il Vangelo, i populismi e l’Europa 
di Massimo Toschi


Papa Francesco riceve il Premio Carlo Magno, come riconoscimento del suo impegno a favore dei valori europei, e nel discorso pronunciato per l'occasione individua in tre verbi – dialogare, integrare e generare –, il fondamento di un'Europa libera, plurale e pacifica


Papa Francesco, ricevendo il Premio Carlo Magno, ha narrato l’Europa, il suo destino e la sua vocazione, ed ha definito l’Europa come famiglia di popoli, indicando nel termine "famiglia" ciò che la unisce e la costituisce, e nei "popoli" la sua storia, senza dimenticare guerre e tragedie.

Oggi tutto questo è sfigurato dai populismi, che aprono scenari di guerra e conflitto. Il papa, citando Elie Wiesel, ha parlato della necessità «di una trasfusione della memoria», condizione per ascoltare i nostri antenati. Ma chi sono ancora oggi i nostri antenati, capaci di attualizzare la memoria?

Sicuramente le vittime della Shoah. Milioni di persone uccise nei campi di sterminio, che hanno avuto la loro epifania del male ad Auschwitz, i morti sotto i bombardamenti delle grandi città europee, gli inceneriti di Hiroshima e Nagasaki.

Le guerre feroci nei Balcani fino al Medio Oriente hanno spezzato la convivenza in un punto delicatissimo della storia del mondo, riaprendo antichi conflitti all’interno del mondo musulmano tra sunniti e sciiti.

Il papa ha messo davanti a noi grandi personaggi politici, come Robert Schumann e Alcide De Gasperi, e teologi come Erich Przywara, ma accanto a loro ha posto anche i piccoli, i più piccoli tra i piccoli. C’è come un magistero, che si compie e che ha il volto dei milioni di migranti che si spostano nel Mediterraneo verso terre e società, sperate come migliori.

Il papa non ha usato mai la formula “radici cristiane dell’Europa”, troppo piena di guerre e di conflitti, di macerie e di ideologie. Egli ha seguito tre verbi che indicano un processo e non l’egemonia di una dottrina. Costantemente ciò che sta al centro non sono le dottrine, ma le persone e le persone più piccole e più fragili.

I tre verbi dell’agire che papa Francesco ha indicato sono "dialogare", "integrare" e "generare". Sono verbi attivi, che indicano un agire, scandito dall’abbattere muri e dal costruire ponti. Non rimanere ripiegati dalla paura e vivere la speranza dell’incontro.

L’esatto contrario dei populismi, che creano muri e seminano paura. Non puntano al dialogo, al dialogare con l’altro, ma a schiacciarlo, a umiliarlo, a cancellarlo. Quando i segni di un nuovo ed esibito populismo ridefiniscono i limes di un'Europa sedotta dalla barbarie, la tragedia della guerra sembra avvicinarsi a grandi e tragici passi.

Così papa Francesco definisce il passaggio: «I riduzionismi e tutti gli intenti uniformanti, lungi dal generare valore, condannano i nostri popoli a una crudele povertà: quella dell’esclusione. E lungi dall’apportare grandezza, ricchezza e bellezza, l’esclusione provoca viltà, ristrettezza e brutalità. Lungi dal dare nobiltà allo spirito, gli apporta meschinità».

Se i populismi, nei loro diversi e tragici vestiti generano la guerra, il dialogo, la cultura del dialogo, genera la pace. Papa Francesco dice con forza: «La pace sarà duratura nella misura in cui noi armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione». Egli immagina delle coalizioni del dialogo, capaci di sradicare la mala pianta della cultura della guerra e della violenza, che dona radici ai populismi europei.

In questo contesto c’è un compito proprio della Chiesa, che Francesco così descrive: «AIla rinascita di un'Europa affaticata, ma ancora ricca di energie e di potenzialità, può e deve contribuire la Chiesa. Il suo compito coincide con la sua missione: l’annuncio del vangelo, che oggi più che mai si traduce soprattutto nell’andare incontro alle ferite dell’uomo, portando la presenza forte e semplice di Gesù e la sua misericordia consolante e incoraggiante. Dio desidera abitare tra gli uomini e può farlo solo attraverso uomini e donne, che come i grandi evangelizzatori del continente siano toccati da Lui e vivano il vangelo, senza cercare altro. Solo una Chiesa ricca di testimoni potrà ridare l’acqua pura del Vangelo alle radici dell’Europa».

Ecco l’ecumenismo del sangue, ecco l’ecumenismo dei poveri, che il papa pone al centro del grande sogno di papa Francesco. Egli immagina un nuovo umanesimo europeo, i cui protagonisti non sono i politici, i dotti e gli intelligenti, ma i poveri, i testimoni, i bimbi, i migranti, i malati, gli anziani, i giovani, le famiglie, quelli che sono il volto di Gesù nella concreta storia di oggi. I loro nomi sono nella mano di Dio e non sui media di oggi.

Essi sono la fonte di quell’acqua zampillante, che può convertire e rinnovare l’Europa, senza cercare potere, ma servendo fino in fondo la vita dei feriti e dei piccoli. Questa è la condizione perché il nero della morte sia cancellato dal nostro continente e i colori dell’arcobaleno annuncino la via della pace, che vive di luce e di pluralismo.

La conclusione di papa Francesco è drammatica: «Sogno un'Europa, di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia». Dopo l’ultima utopia non ci resterebbe che la guerra.
(Fonte: Cittànuova) 

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