martedì 26 aprile 2016

Un Dio che sa imparare di Luigino Bruni

Un uomo di nome Giobbe/15 -
L’anima è viva finché cerchiamo
Colui che non ci ha risposto



Un Dio che sa imparare 
di Luigino Bruni







Alla fine della sua lotta, che sa essere perduta in partenza – come può l’uomo sperare di vincere Dio? – Giobbe scopre un metodo ingenuo per perseverare nella sua resistenza: farà finta di cedere prima ancora di essersi impegnato nella battaglia. … Così noi comprendiamo che, malgrado le apparenze, o a causa di esse, Giobbe continua a interrogare il cielo.

(Elie Wiesel, Personaggi biblici attraverso il Midrash)



Quando, dopo averlo atteso e desiderato tanto e per lungo tempo, arriva l’incontro decisivo, è normale che ci deluda. Quell’incontro immaginato e sperato era troppo grande per poter essere appagato dall’incontro reale. Lo avevamo sognato, ‘visto’ mille volte nella nostra anima. Avevamo pronunciato nel petto le prime parole nostre e dell’altro-a, scelto il vestito nostro e intravisto il suo, sentiti gli odori e uditi i suoni. Non ci sono parole, vestiti, odori, colori, suoni reali che possano eguagliare quelli immaginati ma stampati nel nostro cuore anelante. Anche la fede, ogni fede, si nutre di questi scarti tra gli incontri sognati e gli incontri accaduti, e la sorpresa, anche la delusione, è la prima esperienza di ogni autentica vita spirituale, il primo segno che il Dio che attendevamo non era né un idolo né soltanto un sogno. Perché se chi viene è troppo simile a chi abbiamo sognato, è certo che da quell’incontro non usciremo cambiati. L’anima è viva e non si spegne finché non smettiamo di bramare quel Dio diverso che non si è presentato all’appuntamento. E così, dopo un’attesa estenuante, stiamo per assistere alla comparsa nell’aula del tribunale del teste più importante, quello invocato senza tregua da Giobbe. Il libro di Giobbe è grande anche perché è stato capace di trattenersi e trattenerci nel silenzio di Dio per trentasette capitoli. Non entrando in scena, Elohim ha consentito a noi di spingere fino in fondo le nostre domande, e a Giobbe di terminare il suo poema. Troppe volte i nostri canti non diventano capolavori perché gli avvocati di Dio lo fanno entrare troppo presto sulla scena. La presenza più vera di Elohim nel dramma di Giobbe è stata la sua assenza, le sue parole più belle quelle non dette quando gli amici gli chiedevano di parlare e far sentire la sua voce potente. Un cielo muto ma vero salva di più di un cielo popolato di parole troppo poco umane per essere vere. Dio inizia a parlare dal mezzo della tempesta ma non risponde alle domande di Giobbe, non scende sul piano dove lo aspettavamo. Perché? Nessuna teologia può rispondere in astratto alle domande più radicali che salgono dal dolore innocente del mondo. Gli uomini sanno fare a Dio più domande delle risposte che egli può darci, perché un Dio che abbia risposte pronte e perfette per tutti i nostri perché grandi e disperati è soltanto una ideologia o, nei casi peggiori ma molto comuni, un idolo stolto che abbiamo costruito a nostra immagine e somiglianza. Il Dio biblico impara dalle nostre domande grandi e disperate, si sorprende quando gliele poniamo per la prima volta. Se non fosse così, la creazione, la storia, noi e il tempo sarebbero finzioni, e saremmo tutti dentro un set televisivo con Dio come unico spettatore annoiato. Solo gli idoli non imparano nulla dagli uomini, perché sono morti senza essere mai stati vivi. Gli scarti tra le nostre domande e le risposte di Dio sono lo spazio per l’esperienza vera della fede, e quando le teologie cercano di ridurre o azzerare questi scarti non fanno altro che allontanare il loro uomo e il loro Dio dalla Bibbia.
...
Abbiamo allora il dovere spirituale ed etico di chiedere di più, di continuare a implorare a Dio di dirci qualcosa che non ci ha ancora detto. Perché se non lo facciamo perdiamo definitivamente contatto con i poveri e con le vittime, con chi continua a gridare, con chi è troppo impotente di fronte allo spettacolo del male per essere consolato dall’onnipotenza di Dio. I poveri e le vittime non si zittiscono mai in nome di Dio, neanche quando imprecano contro il cielo. Quando si guarda il mondo assieme alle vittime, quando si frequentano veramente le periferie esistenziali, sociali, economiche, morali del mondo, l’onnipotenza e la forza di Dio appaiono troppo lontane, e, soprattutto, non ci spingono a far di tutto per ridurre con la nostra libertà la sofferenza del mondo. Nessuna narrazione delle mirabilie dell’universo, nessuna descrizione magnifica dei terribili Behemot (“Rizza la coda come un cedro, i nervi delle sue cosce s'intrecciano saldi, le sue vertebre sono tubi di bronzo, le sue ossa come spranghe di ferro” (40,17-19), e Leviatàn (“Il suo dorso è formato da file di squame, saldate con tenace suggello: l'una è così unita con l'altra che l'aria fra di esse non passa …” (41,7-8), possono consolare e amare chi urla mentre affonda nel mare, né chi muore solo in un letto di un elegante ospedale. Solo il Dio atteso da Giobbe potrebbe incontrarli e raccogliere le loro grida. Ma questo Dio non lo troviamo nel libro di Giobbe: “Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando usciva impetuoso dal seno materno, quando io lo vestivo di nubi e lo fasciavo di una nuvola oscura, quando gli ho fissato un limite, e gli ho messo il chiavistello e due porte dicendo: «Fin qui giungerai e non oltre e qui s'infrangerà l'orgoglio delle tue onde»?” (38,8-11). All’orecchio e al cuore di Giobbe, solo sul letamaio, nel guado della sua disperazione, queste parole, in sé perfette, avranno prodotto gli stessi effetti delle parole sapienti e sagge dei suoi ‘amici’: hanno solo aumentato la sua solitudine e il suo abbandono. Infatti, anche questo Dio cerca la conversione di Giobbe e chiede la sua resa – che otterrà: “Il Signore prese a dire a Giobbe: ‘Il censore vuole ancora contendere con l'Onnipotente? L'accusatore di Dio risponda!’. Giobbe prese a dire al Signore: ‘Ecco, non conto niente: che cosa ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non replicherò, due volte ho parlato, ma non continuerò’” (40,3-5). Giobbe, come tante vittime innocenti, è azzittito, ammutolito. Questo Elohim, avvocato difensore della propria insondabile onnipotenza, non è il Dio che i poveri e gli innocenti come Giobbe cercano, e meritano. Le risposte di questo Dio non riescono ad eguagliare le domande di Giobbe. Le sue parole non sono all’altezza morale delle parole di Giobbe. Ma – e sta qui il mistero straordinario della Bibbia – anche le parole di Giobbe sono parole di Dio, perché incastonate dentro l’unica scrittura. Possiamo allora ascoltare la voce di Dio facendo parlare Giobbe che lo denuncia e lo attacca. Definendo ‘sacro’ l’intero libro di Giobbe (e gli altri libri) la tradizione biblica ha realizzato un’alleanza meravigliosa ed eterna tra le parole di YHWH-Elohim e quelle degli uomini. La parola di Dio nel libro di Giobbe e in tutta la scrittura va cercata anche nelle pagine dove parla e grida Giobbe; dove parlano gli uomini, nelle loro domande estreme senza risposte. Possiamo pregare Dio anche con le parole senza Dio di Giobbe. È questo Dio meticcio, che ha voluto impastare le sue parole con le nostre, il solo capace di parlarci dai roveti della terra, e da lì chiamarci ancora per nome.
Leggi tutto:


Leggi anche i post già pubblicati:
- Un uomo di nome Giobbe/14 - L'altra mano dell'onnipotente
- Un uomo di nome Giobbe/13 - Il vero senso della sofferenza
- Un uomo di nome Giobbe/12 - L'attesa dell'innocente
- Un uomo di nome Giobbe/11 - La miniera della sapienza
- Un uomo di nome Giobbe/10 - Fedeli al Dio del non ancora
- Un uomo di nome Giobbe/9 - Il veleno della falsa misericordia
- Un uomo di nome Giobbe/8 - La rivoluzione dell’ascolto
- Un uomo di nome Giobbe/7 - La parola che vince la morte
- Un uomo di nome Giobbe /6 - La memoria viva della terra
- Un uomo di nome Giobbe /5 - Attenti ai ruffiani di Dio
- Un uomo di nome Giobbe /4 - La responsabilità di Dio
- Un uomo di nome Giobbe /3 - L’arca del duro canto
- Un uomo di nome Giobbe /2 - La risposta dell’intoccabile
- Un uomo di nome Giobbe / 1 - Nudo è il dialogo con Dio