venerdì 15 aprile 2016

A Lesbo Papa Francesco, Bartolomeo I e Hieronimus II incontrano i profughi: l'ecumenismo dell'accoglienza!


Mancano poche ore all’arrivo del Papa sull’isola greca di Lesbo, domattina alle 10.20 locali, saranno le 9.20 in Italia. 
Francesco, ieri sera, si è recato nella Basilica di Santa Maria Maggiore per sostare in preghiera dinanzi all’Icona della Madonna, Salus populi Romani, domandando la protezione della Madre del Signore sulla sua visita. Il Papa ha offerto alla Madonna un mazzo di rose bianche e azzurre, secondo i colori della Grecia. Ad attendere Francesco a Lesbo vi saranno il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo e l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Ieronymos. 

Sarà uno di quei gesti, la visita di Papa Francesco domani a Lesbo, che, come lui stesso disse lo scorso Giovedì Santo al Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto, parlano più delle parole. Trascorrerà una manciata di ore in quella terra greca, le cui luci di sera si possono scorgere dalla costa turca. Un braccio di mare troppo corto per non tentare di prendere il largo in cerca di salvezza in Europa. Di morti, quel mare Egeo, ne ha conosciuti molti negli ultimi mesi: il Papa, il Patriarca Bartolomeo e l’arcivescovo Ieronymos, riuniti nel porto dell’isola, rivolgeranno alle vittime le loro preghiere e il lancio nel mare di tre corone di alloro. Il pensiero a chi non ce l’ha fatta sarà il momento finale della visita, che si concentrerà soprattutto su chi invece la speranza di ritrovare una vita ancora ce l’ha: sui migranti, che siano rifugiati, richiedenti asilo o economici, perché il Papa non ha mai fatto le distinzioni tanto care invece alla politica.

Francesco li abbraccerà nel centro di Moria, divenuto famoso dopo l’accordo Ue-Ankara, che l’ha trasformato in quello che le organizzazioni umanitarie tutte definiscono un luogo di detenzione. Lì incontrerà i minorenni e poi una delegazione di ospiti del centro, pranzerà con alcuni di loro, rivolgerà loro delle parole, così come faranno anche Bartolomeo e Ieronymos. Sarà un discorso piccolo, forse, per via della brevità della stessa visita, ma che li farà sentire fratelli, perché le parole che Francesco in passato ha utilizzato per loro sono sempre state di grande amore e di grande accoglienza. In questa visita non si dovrà leggere alcun significato politico, nessuna polemica con l’Unione Europea, che pure continua a chiudere e respingere, ma solo la misericordia del Papa per queste persone alle quali non si può e non si deve negare il diritto di cercare la salvezza. E anche la sua vicinanza al popolo dell'isola di Lesbo, dal quale continua ad arrivare un grande esempio di umanità e generosità. Un grande gesto, dunque, dal profondo significato umanitario ed ecumenico che, seppur indirettamente, non potrà non spingere le coscienze a chiedersi se ancora ricordiamo che, come ci ha detto Francesco, anche Gesù fu profugo e la sua condizione “segnata da paura, incertezza, disagi”.
(fonte: Radio Vaticana)

P. Federico Lombardi, S.I., ha tenuto un briefing per illustrare il programma della Visita che Sua Santità Francesco compirà a Lesvos sabato prossimo 16 aprile

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«Solidarietà, amore fraterno, ma anche un nuovo storico gesto ecumenico». Non si parlerà “solo” di accoglienza e aiuti ai rifugiati nel viaggio-lampo che papa Francesco farà domani mattina a Lesbo. Un gesto - come ha ricordato lo stesso Pontefice nell’udienza di mercoledì scorso - del tutto simile alla visita fatta a Lampedusa, il primo viaggio apostolico di Bergoglio tra i migranti sbarcati in Sicilia.

Ma non solo. Sull’isola greca, accanto ai gesti di solidarietà e agli appelli ai potenti della terra a porre fine alle guerre e a spalancare le porte a chi scappa da conflitti e persecuzioni, prenderà forma e corpo anche un “miracolo” di natura ecumenica impensabile prima dell’avvento sul soglio di Pietro del Pontefice argentino.

Le due grandi anime cristiane, quella cattolica e quella ortodossa greca, in poche ore compiranno un grande passo verso possibili scenari di riconciliazione dopo circa 10 secoli di divisione, da quel 1054, l’anno del grande scisma d’Oriente. Con un valore aggiunto: la cornice del nuovo miracolo ecumenico sarà la Grecia, in particolare la Chiesa ortodossa greca, vale a dire forse la componente ortodossa più lontana dalla Chiesa cattolica romana...


Il peso delle lacrime. Le ragioni del cuore. La decisione del Papa di andare a Lesbo, ad incontrare i migranti parcheggiati dalla disperazione e dalla paura sull’isola greca, è una chiara denuncia dell’incapacità europea di governare un’emergenza diventata tragica quotidianità. 

Un grido di dolore contro l’indifferenza del ricco Occidente verso ciò che accade nel Mediterraneo e nel mar Egeo diventati, per citare la preghiera del Venerdì Santo, "insaziabili cimiteri". Soprattutto, è un richiamo al cuore del Vangelo, interpella la ragione stessa dell’essere uomini, persone. Il viaggio, allora, non potrà che essere un pellegrinaggio condiviso da chi, pur nelle differenze, si riconosce nello stesso Cristo, nei medesimi principi di solidarietà e di attenzione all’altro, soprattutto se povero e abbandonato.

Non sarà solo un gesto simbolico il mostrarsi insieme di papa Francesco, del patriarca ecumenico Bartolomeo I e dell’arcivescovo ortodosso di Atene Hieronimus II. Nessuna, seppur nobile, passerella nei discorsi di sabato prossimo, ma la chiara consapevolezza che di fronte a una politica preoccupata soltanto di blindare i propri confini, la coscienza del credente non può più tacere.

E se è vero che servono analisi, confronti, ancora più necessaria è la forza della testimonianza, parola che ha la stessa radice di martirio, estremo dono di chi ancora oggi, cacciato dalla propria terra, perseguitato per il suo credo, ha il coraggio di confessare Gesù fino al momento della morte.

Alla paura che traccia fili spinati alle porte d’ingresso, che alza muri nel cuore dell’Occidente, che adotta il credo dei respingimenti, i cristiani, pur senza rinnegare le ragioni della sicurezza e della legalità, rispondono con la difesa dei diritti dei più deboli, con la logica della protezione umanitaria.

È il principio evangelico dell’ospitalità, è l’ecumenismo dell’accoglienza. 
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Non sono ingenui sognatori il Papa e il Patriarca, né utopici idealisti. Sanno che per arginare l’emergenza migratoria, per trasformare il problema in risorsa, bisognerà ritrovare il senso di una politica alta, non più ostaggio di facili slogan, ma capace di mettere al centro la persona. Per questo occorre più che mai una spinta dal basso, si deve riscoprire la compassione, è necessario reimparare a commuoversi. 

A Lampedusa prima, a Ciudad Juarez poi, ma anche a Manila e in molte altre occasioni, papa Francesco ha invocato con forza il «dono», la «grazia» delle lacrime. Che non sono un segno di resa o di disperazione, ma collirio per purificare lo sguardo, chiavi per aprire la strada del cambiamento, medicine per ammorbidire il cuore. Fili d’argento con cui chiudere le ferite aperte dell’umanità che sanguina.