giovedì 10 marzo 2016

Esercizi spirituali del Papa e della Curia Romana (6-11 marzo) sul tema "Le nude domande del Vangelo" / 3

 9 marzo 2016 


«La pedofilia e l’attaccamento ai soldi sono i due comportamenti del clero che più feriscono e fanno adirare il popolo cristiano». E «ciò che invece lo fa felice è il pane condiviso», una Chiesa capace di vivere la trasparenza di Gesù che, «coraggioso come un eroe e tenero come un innamorato, non si è fatto comprare da nessuno e non è mai entrato nei palazzi dei potenti se non da prigioniero».

Non ha usato giri di parole padre Ermes Ronchi, mercoledì mattina 9 marzo, nella sesta meditazione degli esercizi spirituali predicati al Papa e alla Curia romana, nella cappella della Casa Divin Maestro di Ariccia. Denunciando anche lo scandalo della fame nel mondo e invitando a lottare contro gli sprechi.

Per la riflessione ha preso le mosse dalla domanda di Gesù ai suoi discepoli: «Quanti pani avete?» (Marco 6, 38; 8,5; Matteo 15, 34). «Il segno del pane» ha fatto presente padre Ronchi, nel Vangelo «è il più ripetuto perché il più carico di simboli». Puntando subito lo sguardo sulla Chiesa, il predicatore ha messo in guardia dal considerarla come «un’istituzione che ripete da millenni le stesse parole e gli stessi riti; una centrale che cerca di produrre consenso o un’agenzia di rating che dà i voti sulla vita morale delle persone». La Chiesa, ha rimarcato, «è una madre che protegge la vita in tutte le sue forme, annuncia che è possibile vivere meglio per tutti e che Gesù ne possiede la chiave».

«La Chiesa — ha proseguito — è Gesù-discepoli-e-folla, tutti insieme, con però qualcosa che passa di mano in mano, che li tiene legati insieme e vivi insieme: non sono dogmi o precetti, è il pane e la compassione che sono entrambi beni divini».
(fonte: L'Osservatore Romano)


Il perdono di Dio è “amore autentico” che incalza l’uomo a divenire “il meglio di ciò che può diventare”: è quanto ha affermato padre Ermes Ronchi nella sua settima meditazione in occasione degli esercizi spirituali ad Ariccia, cui partecipano Papa Francesco e i membri della Curia Romana. La riflessione del religioso è partita dalla domanda di Gesù all’adultera perdonata: «Allora Gesù si alzò e le disse: Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?» (Gv, 8, 10).

Chi ama accusare, inebriandosi dei difetti altrui – sottolinea padre Ermes Ronchi - crede di salvare la verità lapidando coloro che sbagliano. Ma così nascono le guerre. Si generano conflitti “tra nazioni, ma anche nelle istituzioni ecclesiastiche, nei conventi, negli uffici” dove regole, costituzioni, decreti diventano sassi “per lapidare qualcuno”.

Ipocriti e accusatori mettono Dio contro l’uomo
Il brano dell’adultera per secoli è stato ignorato dalle comunità cristiane perché “scandalizzava la misericordia di Dio”. Il nome della donna adultera non è rivelato. “Rappresenta tutti”, è schiacciata da poteri di morte che esprimono l’oppressione degli uomini sulle donne. I farisei di ogni epoca mettono il peccato “al centro del rapporto con Dio” ma “la Bibbia non è un feticcio o un totem”: esige “intelligenza e cuore”. I poteri che non esitano a usare una vita umana e la religione “mettono Dio contro l’uomo”. E’ questa “la tragedia del fondamentalismo religioso”:

“Il Signore non sopporta ipocriti, quelli dalle maschere, dal cuore doppio, i commedianti della fede e non sopporta accusatori e giudici”.

Il genio del cristianesimo è invece nell’abbraccio tra Dio e l’uomo. “Non si oppongono più”, “materia e spirito si abbracciano”. La malattia che Gesù teme e combatte di più è “il cuore di pietra” degli ipocriti: “violare un corpo, colpevole o innocente, con le pietre o con il potere, è la negazione di Dio che in quella persona vive”.

Dove c’è misericordia, c’è Dio
Il giudizio contro l’adultera è diventato “un boomerang contro l’ipocrisia dei giudici”. “Nessuno può gettare la pietra, la scaglierebbe contro se stesso”. Dove c’è misericordia – scriveva S. Ambrogio – lì c’è Dio; dove c’è rigore e severità forse ci sono i ministri di Dio ma Dio non c’è”. Gesù si alza davanti all’adultera, “come ci si alza davanti ad una persona attesa e importante”. Si alza per esserle più vicino, nella prossimità, e le parla. Nessuno le aveva parlato prima. “La sua storia, il suo intimo tormento non interessavano”. Invece Gesù coglie l’intimo di quell’anima. “La fragilità è maestra di umanità”:

“E’ la cura dei fragili, è la cura degli ultimi, dei portatori di handicap e l’attenzione alle pietre scartate che indica il grado di civiltà di un popolo, non le gesta dei forti e dei potenti”.

A Gesù non interessa il rimorso ma la sincerità del cuore. Il suo perdono è “senza condizioni, senza clausole, senza contropartite”. Gesù mette se stesso al posto di tutti i condannati, di tutti i peccatori. Spezza la “catena malefica” legata all’idea di “un Dio che condanna e si vendica, giustificando la violenza”.

L’amore di Dio cambia la vita
Il cuore del racconto non è il peccato da condannare o da perdonare. Al centro non c’è il male ma “un Dio più grande del nostro cuore” che non banalizza la colpa ma fa ripartire l’uomo da dove si è fermato. Apre sentieri, rimette sulla strada giusta, fa compiere un passo in avanti, “spalanca il futuro”. Gesù compie “una rivoluzione radicale” sconvolgendo il tradizionale ordine ad asse verticale con “sopra di tutti un Dio giudice e punitore”. “Un Dio nudo, in croce, che perdona, sarà il gesto sconvolgente e necessario per disinnescare la miccia delle infinite bombe sulle quali è seduta l’umanità”:

“Non il Dio onnipotente, ma l’Abbà onni-amante. Non più il dito puntato, ma quello che scrive sulla pietra del cuore: io ti amo”.

“Va e d’ora in poi non peccare più”. Sono le sei parole che bastano a cambiare una vita. Ciò che sta dietro non importa più. E’ il futuro ora a contare. “Il bene possibile domani conta più del male ieri”. Dio perdona “non come uno smemorato, ma come un liberatore”. Il perdono non è buonismo, “ma rimettere in cammino una vita”.

Il perdono libera dalle schiavitù del passato
Tante persone vivono “come in un ergastolo interiore”, schiacciate dai sensi di colpa a causa di errori passati. Ma “Gesù apre le porte delle nostre prigioni, smonta i patiboli su cui spesso trasciniamo noi stessi e gli altri”. “Gesù sa che l’uomo non equivale al suo peccato”. Al Signore non interessa il passato. “E’ il Dio del futuro”. Le parole di Gesù e i suoi gesti spezzano lo schema buoni/cattivi, colpevoli/innocenti. Gesù, con la misericordia, “ci conduce oltre gli steccati dell’etica”. All’occhio che vede il peccato - conclude padre Ermes Ronchi - “è chiesto di vedere il sole: “la luce è più importante del buio”, “il grano vale più della zizzania”, “il bene pesa più del male”.
(fonte: Radio Vaticana)


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