giovedì 31 marzo 2016

I Frati di Assisi annunciano un nuovo incontro tra tutti i capi delle religioni del mondo ad Assisi, dal 18, al 20 settembre e propongono un decalogo contro la “terza guerra mondiale“

Padre Mauro Gambetti Custode Sacro Convento Assisi entra nel merito dei fatti di terrorismo e guerre che caratterizzano questi ultimi anni e che infiammano il pianeta e annuncia un nuovo incontro tra tutti i capi delle religioni del mondo ad Assisi, dal 18, al 20 settembre. L’evento potrebbe essere anche l’occasione del ritorno di Papa Francesco ad Assisi. 

Ecco il testo integrale dell’annuncio ufficiale dell’incontro.


A ciò che sta accadendo non possiamo rispondere con il silenzio. È in atto la ‘terza guerra mondiale’ e l’Europa, colpita al cuore e sfidata ripetutamente, non può più rimanere alla finestra a guardare quello che accade nell’Asia medio orientale, in Africa o in altri paesi apparentemente lontani. Non può nemmeno limitarsi ad aggiornare programmi e convenzioni per l’accoglienza dei profughi.

Il terrorismo trasversale, infuocato dai proclami di una “guerra santa”, costringe i governi e i cittadini a prendere posizione: nascondersi come topi o uscire allo scoperto. Guerra santa? Misericordia.

Ci torna alla mente Giovanni Paolo II che nel 1986, in piena guerra fredda, convocò ad Assisi i leader mondiali delle religioni per invocare la pace nel mondo.

Guarda il video dell'incontro internazionale di pace ad Assisi 1986 con Papa Giovanni Paolo II. 


Le intenzioni belligeranti di Usa e Urss furono squadernate e l’appello a far tacere le armi per un giorno si concluse con le parole attribuite a Francesco: ‘Dove è odio fa che io porti amore, dove è guerra che io porti la pace’. Dopo crollarono molti muri. Durante il conflitto tra Bosnia ed Erzegovina, nel 1993, il Papa convocò nuovamente i leader religiosi delle principali fede monoteiste. Anche qui il Santo Padre intervenne additando la via della riconciliazione. Dopo gli attacchi alle Twin Towers, cristiani e musulmani parvero voler alzare il proprio Dio a vessillo per sconfiggere l’altro, uccidendosi a vicenda. Ancora una volta il Papa, stanco e provato ma perseverante, convocava nuovamente ad Assisi tutte le religioni del mondo. Alto si levò il grido unisono di tutti i leader: ‘Mai più violenza! Mai più guerra! Mai più terrorismo!’ In nome di Dio ogni religione porti sulla terra giustizia e pace, perdono e vita, amore!’


Guarda il video della Giornata di Preghiera per la Pace fra i Popoli nel mondo 
voluta da Papa Giovanni Paolo II ad Assisi il 24 Gennaio 2002

Quest’anno corre il trentennale di quel primo incontro e i frati francescani di Assisi, insieme alla Comunità di Sant’Egidio e alla Diocesi, escono allo scoperto e spalancano le porte per un nuovo incontro tra i leader mondiali delle religioni. Una preghiera corale e una parola unanime, frutto di una riflessione condivisa, questa la risposta che vorremmo suscitare. Dal 18 al 20 settembre, due giorni di tavole rotonde e una giornata di preghiera. Con i leader religiosi sono invitati uomini politici, esponenti del mondo scientifico e della cultura, operatori di pace e tutti gli uomini di buona volontà. Chi vuole venga in Assisi.

Guarda il video del pellegrinaggio "della verità e della pace" 
voluto da Benedetto XVI ad Assisi il 28 ottobre 2011

Insieme ci domanderemo: quali sono i principi riconosciuti da tutte le religioni per una coesistenza pacifica? Quale contributo la politica, la scienza, le culture in genere possono proporre per la definizione di un decalogo dell’umana convivenza? Davanti all’insensata violenza che imperversa, le religioni devono donare al mondo un messaggio convergente. La politica deve compiere lo sforzo di tracciare un percorso verso l’obiettivo della giustizia e della pace tra i popoli, coniugando ogni progetto con la sostenibilità ambientale.

Nelle principali piazze del mondo, da Oriente a Occidente, faremo conoscere il pensiero che scaturirà dagli incontri e dai dialoghi di Assisi. E coltiviamo un sogno: che l’Italia assurga ad esempio di integrazione delle culture, assumendo il decalogo che verrà scritto in Assisi nell’ordinamento legislativo e nei decreti attuativi. Forse, si potrà estendere tale modello agli Stati europei e poi a tutti gli Stati membri dell’Onu. Crediamo che la strada di Assisi, quella della fraternità umile tracciata da Francesco, vissuta sulla strada prima ancora che nei conventi, caratterizzata dalla “reciproca sottomissione”, sia la risposta da dare.


LA PASQUA SECONDO MARTINI Dialogo tra mons. Gianfranco Ravasi e mons. Carlo Maria Martini (allora Arcivescovo di Milano)

Dialogo tra mons. Gianfranco Ravasi e mons. Carlo Maria Martini (allora Arcivescovo di Milano)


LA PASSIONE, LA RISURREZIONE. E GERUSALEMME.

«Già il Nuovo Testamento ha molti modi di dire la Pasqua, un evento tanto straordinario, luminoso, indicibile, da aver bisogno di essere riletto continuamente e di essere ripreso in varie forme, sia attraverso la formula più semplice: "Il Signore è risorto, Dio lo ha risuscitato dai morti", sia con altre più ricche: "Lo ha fatto sedere alla destra del Padre, lo ha glorificato, lo ha esaltato, ha inviato lo Spirito, lo Spirito ci santifica".

Da ciò si vede che si tratta di una esperienza unica e incomparabile, che cambia tutto il sistema di vedere e di sentire l’esistenza, trasformandola e sconvolgendola come un abisso di luce, nel quale ci si perde. Come dire tutto questo oggi? Facciamo fatica, proprio perché questo mistero ci supera da ogni parte, e quindi non possiamo pretendere di ridurlo a una formula, ma continuamente cercare di riesprimerlo a partire da ciò che viviamo. Se si vuol dire questo evento con il linguaggio d’oggi, bisogna partire da un’esperienza vissuta, di novità, di perdono, di speranza, di apertura di orizzonti, di chiarimento di senso, di vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio, del perdono sulla vendetta. E tutto questo centrato sulla figura di Gesù, sul fatto della sua vittoria non solo sulla morte, ma anche sul senso della morte.

Tutto questo va vissuto personalmente e detto volta per volta a seconda delle circostanze. Non riesco a formarmi un vocabolario o una serie di frasi fatte, ma credo di dovermi ogni volta lasciare provocare dall’esperienza di Spirito Santo, di vita nuova, di presenza del Risorto in me, di comunione con la Risurrezione di Gesù attraverso il mistero della sua Passione. Da una parte mi imbarazza questa questione, proprio perché non credo che abbia una risposta facile o predeterminata; dall’altra, mi coinvolge, perché so che posso ridire questa esperienza in tanto quanto essa è viva dentro di me. Certo, molte volte dovrò accontentarmi di ripetere delle formule che ritengo giuste, ma ogni volta che le dico mi accorgo di non riuscire a esprimere ciò che vivo, o di non vivere profondamente ciò che dico. Facciamo l’esempio di una persona che si sente esposta a un pericolo mortale e poi si vede salva: questa persona ha quello choc di esperienza che segna il passaggio da morte a vita, dall’esperienza del nulla e dell’assurdo che sta per soffocarla all’esperienza, invece, di verità, di gioia, di senso. Questo può aiutare a percepire in sé qualcosa di quella esperienza del passaggio dalla morte alla vita, che non è la semplice risurrezione di uno che era morto e che ora vive e basta, ma è quel cambio che è l’avvento del Regno di Dio».
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mercoledì 30 marzo 2016

La Pasqua di Papa Francesco - Regina Coeli Lunedì dell'Angelo (foto, testi e video)

 Regina Coeli 
 Lunedì dell'Angelo, 28 marzo 2016 


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In questo Lunedì dopo Pasqua, detto «Lunedì dell'Angelo» i nostri cuori sono ancora ricolmi della gioia pasquale. Dopo il tempo quaresimale, tempo di penitenza e di conversione, che la Chiesa ha vissuto con particolare intensità in quest’Anno Santo della Misericordia; dopo le suggestive celebrazioni del Triduo Santo; sostiamo anche oggi davanti alla tomba vuota di Gesù, e meditiamo con stupore e riconoscenza il grande mistero della risurrezione del Signore.

La vita ha vinto la morte. La misericordia e l’amore hanno vinto sul peccato! C'è bisogno di fede e di speranza per aprirsi a questo nuovo e meraviglioso orizzonte. E noi sappiamo che la fede e la speranza sono un dono di Dio, e dobbiamo chiederlo: “Signore, dammi la fede, dammi la speranza! Ne abbiamo tanto bisogno!”. Lasciamoci pervadere dalle emozioni che risuonano nella sequenza pasquale: «Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto». Il Signore è risorto in mezzo a noi! Questa verità segnò in modo indelebile la vita degli Apostoli che, dopo la risurrezione, avvertirono di nuovo il bisogno di seguire il loro Maestro e, ricevuto lo Spirito Santo, andarono senza paura ad annunziare a tutti quanto avevano visto con i loro occhi e personalmente sperimentato.

In questo Anno giubilare siamo chiamati a riscoprire e ad accogliere con particolare intensità il confortante annuncio della risurrezione: «Cristo, mia speranza, è risorto!». Se Cristo è risuscitato, possiamo guardare con occhi e cuore nuovi ad ogni evento della nostra vita, anche a quelli più negativi. I momenti di buio, di fallimento e anche di peccato possono trasformarsi e annunciare un cammino nuovo. Quando abbiamo toccato il fondo della nostra miseria e della nostra debolezza, Cristo risorto ci dà la forza di rialzarci. Se ci affidiamo a Lui, la sua grazia ci salva! Il Signore crocifisso e risorto è la piena rivelazione della misericordia, presente e operante nella storia. Ecco il messaggio pasquale che risuona ancora oggi e che risuonerà per tutto il tempo di Pasqua fino a Pentecoste.

Testimone silenziosa degli eventi della passione e della risurrezione di Gesù fu Maria. Lei è stata in piedi accanto alla croce: non si è piegata di fronte al dolore, ma la sua fede l’ha resa forte. Nel suo cuore straziato di madre è sempre rimasta accesa la fiamma della speranza. Chiediamo a Lei che aiuti anche noi ad accogliere in pienezza l’annuncio pasquale della risurrezione, per incarnarlo nella concretezza della nostra vita quotidiana.

La Vergine Maria ci doni la certezza di fede che ogni passo sofferto del nostro cammino, illuminato dalla luce della Pasqua, diventerà benedizione e gioia per noi e per gli altri, specialmente per quanti soffrono a causa dell’egoismo e dell’indifferenza.

InvochiamoLa, dunque, con fede e devozione, con il Regina caeli, la preghiera che sostituisce l’Angelus per tutto il tempo pasquale.

Dopo il Regina Coeli:

Cari fratelli e sorelle,

ieri, nel Pakistan centrale, la Santa Pasqua è stata insanguinata da un esecrabile attentato, che ha fatto strage di tante persone innocenti, per la maggior parte famiglie della minoranza cristiana – specialmente donne e bambini – raccolte in un parco pubblico per trascorrere nella gioia la festività pasquale. Desidero manifestare la mia vicinanza a quanti sono stati colpiti da questo crimine vile e insensato, e invito a pregare il Signore per le numerose vittime e per i loro cari. Faccio appello alle Autorità civili e a tutte le componenti sociali di quella Nazione, perché compiano ogni sforzo per ridare sicurezza e serenità alla popolazione e, in particolare, alle minoranze religiose più vulnerabili. Ripeto ancora una volta che la violenza e l’odio omicida conducono solamente al dolore e alla distruzione; il rispetto e la fraternità sono l’unica via per giungere alla pace. La Pasqua del Signore susciti in noi, in modo ancora più forte, la preghiera a Dio affinché si fermino le mani dei violenti, che seminano terrore e morte, e nel mondo possano regnare l’amore, la giustizia e la riconciliazione. Preghiamo tutti per i morti di questo attentato, per i familiari, per le minoranze cristiane e etniche di quella Nazione: Ave o Maria,

Nel perdurante clima pasquale, saluto cordialmente tutti voi, pellegrini venuti dall’Italia e da varie parti del mondo per partecipare a questo momento di preghiera. E ricordatevi sempre quella bella espressione della Liturgia: “Cristo, mia speranza, è risorto!”. La diciamo tre volte tutti insieme. Cristo, mia speranza, è risorto!

A ciascuno auguro di trascorrere nella gioia e nella serenità questa Settimana in cui si prolunga la gioia della Risurrezione di Cristo. Per vivere più intensamente questo periodo ci farà bene leggere ogni giorno un brano del Vangelo in cui si parla dell’evento della Risurrezione. Cinque minuti, non di più, si può leggere un brano del Vangelo. Ricordatevi di questo!

Buona e Santa Pasqua a tutti! Per favore. non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

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Il triduo pasquale al Carmine di Barcellona P. di G.




Il triduo pasquale alla Chiesa del Carmine 
di Barcellona Pozzo di Gotto




 Giovedì Santo 
 S. Messa in Coena Domini 
 24 marzo 2016 


Omelia 
di
P. Aurelio Antista

... Nell'altare della reposizione che  avrete modo di osservare da vicino alla conclusione di questa celebrazione abbiamo voluto raffigurare attraverso dei simboli quest'invito all'accoglienza. Si trova una giara, un ulivo, questa giara che contiene l'olio della misericordia e c'è un barcone e sotto il barcone ci sono delle spine che richiamano i fili spinati che i popoli dell'Occidente stanno ponendo per non accogliere i rifugiati, i migranti, coloro che fuggono dalla guerra e dalla fame. L'accoglienza che il Signore ci comanda è proprio questa chiave: l'Eucarestia, il sacramento della Comunione, della comunione col Signore e della comunione tra di noi. 
Ci chiama a questo, noi accostandoci alla Comunione formiamo un solo corpo, il Corpo di Cristo, noi siamo il Corpo di Cristo, ma essere Corpo di Cristo significa realmente vivere come Lui ha vissuto, realmente realizzare nell'oggi il suo comandamento dell'amore, il suo comandamento del servizio per quelle che sono le necessità di ogni luogo e di ogni tempo...


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 Venerdì Santo 
 Liturgia della Croce 
 25 marzo 2016 


Omelia 
di
P. Gregorio Battaglia


... Tra la liturgia di ieri e quella di oggi c'è un legame strettissimo, ieri a livello sacramentale, simbolico, oggi lo riviviamo come fatto storico, vero; concretamente Gesù si è consegnato e nel suo consegnarsi si presenta a noi come il vero re perché la sua regalità è esercitata in questo suo modo di essere l'agnello che si consegna e l'agnello che nel donarsi va in cerca di ogni creatura, nessuno gli è estraneo, non c'è creatura umana che possa considerarsi estranea a Lui, perché di tutti Lui si carica di responsabilità e in un certo senso ne porta il peso... i capi dei sacerdoti... le guardie... Giuda... la folla... gli apostoli... porta il peso di questa umanità, quella che... un'ebrea chiamerà la banalità del male... quella che Papa Francesco chiama la logica dell'indifferenza... e di questa umanità si fa carico, umanità che ha nomi e cognomi... e di questa umanità si sente pastore, è interessato al volto di ieri di Hitler, ma anche ai volti di oggi di Reina e di tutti gli altri, di coloro che hanno smarrito il senso vero della loro umanità... questi dell'Isis... ma  anche noi, nemmeno ieri siamo andati in Iraq a bombardare per portare la democrazia... e poi siamo impegnati a costruire delle armi... a venderle... Di tutti il Signore è pastore, per tutti versa il suo sangue... Il Signore è pastore di tutti gli sconfitti, di tutti i perduti, di tutte le vittime, non c'è dolore che Lui non raccoglie... In questo momento immagino il volto di Giulio Regeni, torturato gratuitamente... e in lui vorrei guardare tutte le persone che nel corso della storia e oggi nei nostri giorni subiscono violenza, dove si esercita la disumanità... e poi il dolore di tutti quei bambini che muoiono durante la traversata; noi abbiamo voluto mettere ai piedi della croce tutti questi compagni di Gesù, questi che attraversano il mare e che noi oggi viviamo come un grosso pericolo... loro diventano compagni del Signore e di loro il Signore si preoccupa e fa suo il loro dolore. Questo è l'agnello che versa per noi il sangue, ma è anche intenzionato a far sì che finalmente l'umanità possa ritrovare la via della vita, la via della resurrezione...

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 Veglia della notte Santa 
 26 marzo 2016 


Omelia 
di 
P. Alberto Neglia


... In questa notte della Santa Pasqua della Resurrezione di nostro Signore Gesù sia la simbologia... (fuoco, cero acceso, candeline  che abbiamo avuto in mano accese) ci parlano di luce, ma anche i brani biblici che abbiamo ascoltato  ci hanno parlato di luce... Gesù è luce per tutti e questa luce viene consegnata anche a noi...
Gesù è risorto alleluia, la luce di Dio risplende e la morte non vincerà più abbiamo cantato, allora dobbiamo domandarci qual è la morte dentro di noi o attorno a noi da cui dobbiamo risorgere? ... perché siamo chiamati tutti noi a risorgere, a vivere in modo nuovo in questa società, in questo nostro mondo in cui siamo presi dalla paura e i segni della morte a volte sono molto presenti e non sappiamo come uscirne... è tutta la Parola di Dio che ci annuncia che Gesù è il Vivente, è il Risorto... 
è bello che siano state delle donne coraggiose che vanno alla ricerca di Gesù, simbolo dell'umanità innamorata del volto di Gesù... donne che al tempo di Gesù non potevano nemmeno testimoniare, la parola delle donne non valeva niente, Gesù affida proprio a loro il compito di essere testimoni della resurrezione...
siamo chiamati nella vita quotidiana ad essere portatori di gioia, di speranza, di vita nuova... siamo chiamati ad essere testimoni con la nostra piccola fiammella... la nostra vita deve diventare una piccola luce che porta luce ai fratelli, solo così cambieremo questa nostra società...

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 Domenica di Pasqua 
 Resurrezione del Signore 
 27 marzo 2016 



Omelia 
di
P. Aurelio Antista


... Come incontrare il Risorto? nell'ascolto, nel far memoria delle parole del Signore e tutta la Parola di Dio è parola che ha come centro di interesse, come rivelazione la persona di Gesù, il Figlio di Dio che si è fatto nostro fratello. La prima modalità, per incontrare il Signore, anche per noi oggi e per sempre, è ascoltare la sua parola, fare memoria dei suoi gesti e del suo insegnamento. E ancora c'è un'altra modalità, strettamente legata alla prima, per poter vivere di Lui e incontrarlo da risorto... nel pane spezzato e condiviso...
La nostra vita cristiana si illumina e diventa pregnante se impariamo, e ci esercitiamo ogni giorno, ad ascoltare la Parola del Signore, a celebrare l'Eucarestia assumendo lo stile di vita eucaristico, e se impariamo ad accogliere i fratelli, gli sconosciuti, il forestiero, l'immigrato... 
Il Signore ci incontra ovunque, in ogni dove, nella strada della vita Lui è presente e si fa vicino...

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20 anni fa il “martirio d’amore e fedeltà al Vangelo e all’Algeria” dei monaci di Tibhirine


«Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese. Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza e nell’anonimato. La mia vita non ha più valore di un’altra».
Aveva scritto così nel suo testamento, stilato tra il dicembre 1993 e il gennaio 1994: poco più di due anni dopo, nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996, frère Christian de Chergé - priore del monastero trappista di Notre-Dame de l'Atlas in Algeria, veniva preso in ostaggio insieme a sei confratelli da un commando del Gia (Gruppo islamico armato). I loro corpi martoriati furono ritrovati dopo 56 giorni.

Una vicenda, quella dei monaci di Tibhirine che a vent’anni di distanza non cessa di indurre una riflessione sul sangue dei «martiri di oggi» – come li ha definiti Papa Bergoglio all’Angelus del 6 marzo scorso in riferimento alle quattro missionarie della carità uccise in Yemen - ed è significativo che il loro anniversario cada quest’anno proprio alla veglia pasquale.

Sono stati testimoni (traduzione del termine greco, martire) della loro fede in un Dio che considera figli e fratelli tutti gli uomini della terra, testimoni di una convinzione profondamente evangelica: la possibilità di una pacifica convivenza tra le diverse religioni al di là di ogni fondamentalismo.

Il loro monastero in Algeria, come quello di Deir Mar Musa fondato da padre Paolo Dall’Oglio - l’uno arroccato sui monti dell’Atlas, l’altro sul monte Libano davanti al deserto siriano - entrambi luoghi in cui la fede cristiana aveva imparato a convivere con l’islam.
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Un “martirio d’amore”. In un’omelia del Giovedì Santo, padre Christian de Chergé definiva così la testimonianza estrema di Cristo sulla croce. E un martirio di amore e fedeltà al Vangelo e all’Algeria fu quello dei monaci trappisti, rapiti (e poi uccisi) esattamente vent’anni fa. Il loro ricordo nelle parole dei vescovi, insieme a quello degli altri dodici martiri di quel Paese

«La testimonianza di Gesù sino alla morte, il suo “martirio”, è un martirio d’amore, amore per l’uomo, per tutti gli uomini, anche di ladri, assassini, carnefici… Il martirio include il perdono…». Così diceva Christian de Chergè, priore del monastero di Tibhirine, nella sua omelia del Giovedì Santo, nel marzo 1994.

Insieme ad altri sei confratelli, venne rapito due anni dopo, nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996. Esattamente vent’anni fa. Ma il ricordo dei monaci – così come quello di tutti i 19 martiri d’Algeria – è ancora vivo e continua a essere una luce non solo per la piccola Chiesa di quel Paese, ma per tutta la Chiesa universale.

In attesa delle celebrazioni, che si svolgeranno a metà aprile in Algeria, i vescovi di quel Paese indirizzano a tutti i fratelli e le sorelle che continuano a vivere sul posto (non senza difficoltà) e a tutti gli amici sparsi per il mondo il loro ricordo di queste 19 vite donate, che si mescolano a quelle di moltissimi algerini uccisi durante gli anni bui della guerra civile.


martedì 29 marzo 2016

La Pasqua di Papa Francesco - Messaggio Pasquale e Benedizione “Urbi et Orbi”: "Portate a tutti la gioia e la speranza di Cristo Risorto" (foto, testi e video)

 27 marzo 2016 

Alle ore 10 della Domenica di Pasqua nella Risurrezione del Signore, il Santo Padre Francesco ha presieduto, sul sagrato della Basilica Vaticana, la solenne celebrazione della Messa del giorno. Alla Celebrazione, che è iniziata con il rito del “Resurrexit”, hanno partecipato fedeli romani e pellegrini provenienti da ogni parte del mondo in occasione delle feste pasquali. Il Papa non ha tenuto l’omelia poiché alla Messa fa seguito la benedizione “Urbi et Orbi” con il Messaggio pasquale.


Messaggio Pasquale del Santo Padre e Benedizione “Urbi et Orbi”

«Lodate il Signore perché è buono:
perché eterna è la sua misericordia» (Sal 135,1).

Cari fratelli e sorelle, buona Pasqua!

Gesù Cristo, incarnazione della misericordia di Dio, per amore è morto sulla croce e per amore è risorto. Per questo oggi proclamiamo: Gesù è il Signore!

La sua Risurrezione realizza pienamente la profezia del Salmo: la misericordia di Dio è eterna, il suo amore è per sempre, non muore mai. Possiamo confidare totalmente in Lui, e gli rendiamo grazie perché per noi è disceso fino in fondo all’abisso.

Di fronte alle voragini spirituali e morali dell’umanità, di fronte ai vuoti che si aprono nei cuori e che provocano odio e morte, solo un’infinita misericordia può darci salvezza. Solo Dio può riempire col suo amore questi vuoti, questi abissi, e permetterci di non sprofondare ma di continuare a camminare insieme verso la Terra della libertà e della vita.

L’annuncio gioioso della Pasqua: Gesù, il crocifisso, non è qui, è risorto (cfr Mt 28,5-6) ci offre la consolante certezza che l’abisso della morte è stato varcato e, con esso, sono stati sconfitti il lutto, il lamento e l’affanno (cfr Ap 21,4). Il Signore, che ha patito l’abbandono dei suoi discepoli, il peso di una ingiusta condanna e la vergogna di una morte infame, ci rende ora partecipi della sua vita immortale e ci dona il suo sguardo di tenerezza e di compassione verso gli affamati e gli assetati, i forestieri e i carcerati, gli emarginati e gli scartati, le vittime del sopruso e della violenza. Il mondo è pieno di persone che soffrono nel corpo e nello spirito, mentre le cronache giornaliere si riempiono di notizie di efferati delitti, che non di rado si consumano tra le mura domestiche, e di conflitti armati su larga scala che sottomettono intere popolazioni a indicibili prove.

Cristo risorto indica sentieri di speranza alla cara Siria, Paese dilaniato da un lungo conflitto, con il suo triste corteo di distruzione, morte, disprezzo del diritto umanitario e disfacimento della convivenza civile. Alla potenza del Signore risorto affidiamo i colloqui in corso, affinché con la buona volontà e la collaborazione di tutti si possano raccogliere frutti di pace e avviare la costruzione di una società fraterna, rispettosa della dignità e dei diritti di ogni cittadino. Il messaggio di vita, risuonato per bocca dell’Angelo presso la pietra ribaltata nel sepolcro, sconfigga la durezza dei cuori e promuova un incontro fecondo di popoli e di culture nelle altre zone del bacino del Mediterraneo e del Medio Oriente, in particolare in Iraq, nello Yemen e in Libia.

L’immagine dell’uomo nuovo, che splende sul volto di Cristo, favorisca in Terrasanta la convivenza fra Israeliani e Palestinesi, come anche la paziente disponibilità e il quotidiano impegno ad adoperarsi per edificare le basi di una pace giusta e duratura tramite un negoziato diretto e sincero. Il Signore della vita accompagni pure gli sforzi intesi a raggiungere una soluzione definitiva alla guerra in Ucraina, ispirando e sostenendo anche le iniziative di aiuto umanitario, tra cui la liberazione di persone detenute.

Il Signore Gesù, nostra Pace (Ef 2,14), che risorgendo ha vinto il male e il peccato, stimoli in questa festa di Pasqua la nostra vicinanza alle vittime del terrorismo, forma cieca ed efferata di violenza che non cessa di spargere sangue innocente in diverse parti del mondo, come è avvenuto nei recenti attentati in Belgio, Turchia, Nigeria, Ciad, Camerun, Costa d’Avorio e Iraq; volga a buon esito i fermenti di speranza e le prospettive di pace dell’Africa; penso in particolare al Burundi, al Mozambico, alla Repubblica Democratica del Congo e al Sud Sudan, segnati da tensioni politiche e sociali.

Con le armi dell’amore, Dio ha sconfitto l’egoismo e la morte; il suo Figlio Gesù è la porta della misericordia spalancata per tutti. Il suo messaggio pasquale si proietti sempre più sul popolo venezuelano nelle difficili condizioni in cui si trova a vivere e su quanti hanno in mano i destini del Paese, affinché si possa lavorare in vista del bene comune, cercando spazi di dialogo e collaborazione con tutti. Ovunque ci si adoperi per favorire la cultura dell’incontro, la giustizia e il rispetto reciproco, che soli possono garantire il benessere spirituale e materiale dei cittadini.

Il Cristo risorto, annuncio di vita per l’intera umanità, si riverbera nei secoli e ci invita a non dimenticare gli uomini e le donne in cammino alla ricerca di un futuro migliore, schiera sempre più numerosa di migranti e di rifugiati – tra cui molti bambini – in fuga dalla guerra, dalla fame, dalla povertà e dall’ingiustizia sociale. Questi nostri fratelli e sorelle, sulla loro strada incontrano troppo spesso la morte o comunque il rifiuto di chi potrebbe offrire loro accoglienza e aiuto. L’appuntamento del prossimo Vertice Umanitario Mondiale non tralasci di mettere al centro la persona umana con la sua dignità e di elaborare politiche capaci di assistere e proteggere le vittime di conflitti e di altre emergenze, soprattutto i più vulnerabili e quanti sono perseguitati per motivi etnici e religiosi.

In questo giorno glorioso, “gioisca la terra inondata da così grande splendore” (cfr Preconio pasquale), eppure tanto maltrattata e vilipesa da uno sfruttamento avido di guadagno, che altera gli equilibri della natura. Penso specialmente a quelle aree colpite dagli effetti dei cambiamenti climatici, che non di rado provocano siccità o violente inondazioni, con conseguenti crisi alimentari in diverse parti del pianeta.

Con i nostri fratelli e sorelle che sono perseguitati per la fede e per la loro fedeltà al nome di Cristo e dinanzi al male che sembra avere la meglio nella vita di tante persone, riascoltiamo la consolante parola del Signore: “Non abbiate paura! Io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33). Oggi è il giorno fulgido di questa vittoria, perché Cristo ha calpestato la morte e con la sua risurrezione ha fatto risplendere la vita e l’immortalità (cfr 2Tim 1,10). “Egli ci ha fatto passare dalla schiavitù alla libertà, dalla tristezza alla gioia, dal lutto alla festa, dalle tenebre alla luce, dalla schiavitù alla redenzione. Perciò diciamo davanti a Lui: Alleluja!” (Melitone di Sardi,Omelia Pasquale).

A quanti nelle nostre società hanno perso ogni speranza e gusto di vivere, agli anziani sopraffatti che nella solitudine sentono venire meno le forze, ai giovani a cui sembra mancare il futuro, a tutti rivolgo ancora una volta le parole del Risorto: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose … A colui che ha sete darò gratuitamente acqua dalla fonte della vita” (Ap 21,5-6). Questo rassicurante messaggio di Gesù, aiuti ciascuno di noi a ripartire con più coraggio e speranza per costruire strade di riconciliazione con Dio e con i fratelli. Ne abbiamo tanto bisogno!

Cari fratelli e sorelle,

desidero rinnovare i miei auguri di Buona Pasqua a tutti voi, venuti da Roma e da diversi Paesi, come pure a quanti sono collegati attraverso la televisione, la radio e gli altri mezzi di comunicazione. Possa risuonare nei vostri cuori, nelle vostre famiglie e comunità l’annuncio della Risurrezione, accompagnata dalla calda luce della presenza di Gesù Vivo: presenza che rischiara, conforta, perdona, rasserena… Cristo ha vinto il male alla radice: è la Porta della salvezza, spalancata perché ognuno possa trovare misericordia.

Vi ringrazio per la vostra presenza e la vostra gioia in questo giorno di festa. Un ringraziamento particolare per il dono dei fiori, che anche quest’anno provengono dai Paesi Bassi.

Portate a tutti la gioia e la speranza di Cristo Risorto. E per favore, non dimenticate di pregare per me. Buon pranzo pasquale e arrivederci!

Guarda il video della Benedizione Urbi et Orbi

Guarda il video integrale


La Pasqua e il “piccolo bene” a misura di tutti di Bruno Forte

La Pasqua e il “piccolo bene” 
a misura di tutti 

di Bruno Forte
 Arcivescovo di Chieti-Vasto






Per riflettere su questa Pasqua 2016 parto da alcune riflessioni che Hans Urs von Balthasar, uno dei grandi teologi del XX secolo, ha dedicato al tema della bellezza: “In un mondo senza bellezza - scrive agli inizi del primo volume della sua opera monumentale Gloria - anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo dover-essere-adempiuto... In un mondo che non si crede più capace di affermare il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica” (La percezione della forma, Jaca Book, Milano 1975, 11). Queste parole danno particolarmente a pensare oggi perché lo scenario del tempo in cui viviamo, quale ci è presentato ogni giorno dai “media” e dalla rete, è talmente doloroso e inquietante da farci avvertire le parole sul bello come una sorta di astrazione dalla realtà o, tutt’al più, come un’evasione consolatoria. Dove sta la bellezza nella barbara violenza terroristica perpetrata in questi giorni a Bruxelles? E dove nelle migliaia di vittime della guerra in Siria o nella follia omicida dell’Isis? Quale bellezza può esserci di fronte alla memoria lacerante di un secolo, come il XX da poco concluso, segnato dalla guerre mondiali, dal genocidio armeno, dalla Shoah e dalle altre innumerevoli stragi prodotte dalla violenza e dall’avidità degli umani? E come parlare di bello davanti alla morte di tredici giovani studentesse nell’incidente avvenuto in Catalogna o alle scellerate polemiche contro migranti e rifugiati che affiorano lì dove dovrebbe esserci solo un convergente sforzo di accoglienza civile, degno dei valori fondanti dell’Europa unita? C’è forse bellezza nello scontro di egoismi nazionalistici verso cui il Vecchio Continente sembra avviarsi sempre più duramente? Eppure, in piena sintonia con von Balthasar, anche a me sembra che nessun’altra parola sia oggi tanto necessaria quanto quest’unica, nobile, fascinosa e terribile parola che è la bellezza. Perché? I latini dicevano “formosus” ciò che noi chiamiamo bello: l’idea soggiacente era che fosse la “forma”, ovvero l’armonica composizione delle parti, a rendere bello ciò che è bello. Grazie alla proporzione di tutti gli elementi, la forma ben ordinata e composta sembrava poter riprodurre nel frammento la perfezione del Tutto, sì da far riconoscere nell’armonia del piccolo i “numeri del cielo”. Quest’idea di bellezza - intesa appunto come il “tutto nel frammento” per via di analogia nella proporzione dei rapporti - derivava dalla cultura greca classica e continuò a esercitare il suo fascino a lungo, tanto da esser fatta propria da un genio della misura di Agostino: “Le cose sono belle perché le parti sono tra loro simili e, per una sorta di intimo legame, danno luogo a un insieme conveniente” (De vera religione 32,59). A una tale concezione del bello rischiava tuttavia di sfuggire un aspetto importante: se la bellezza è armonia, che ne è dell’infinita disarmonia del mondo e della vita, dello scandalo del male e del dolore, dell’insulto alla gioia d’esistere, che è pur sempre la morte? Rispondere a queste domande riconoscendo nel negativo soltanto l’ombra rispetto alla luce, ovvero il controcanto rispetto al canto fermo della bellezza, non è soluzione che possa veramente soddisfare 
...
Riguardo alla luminosità, essa corrisponde a ciò che è proprio del Figlio, in quanto egli è il Verbo, luce e splendore dell’intelligenza” (Summa Theologica I q. 39 a. 8c). La bellezza del Figlio incarnato non è, però, quella della “forma”, dell’armonia che tutto concilia: “il più bello dei figli degli uomini”, di cui parla il Salmo 45, è “l’uomo dei dolori davanti a cui ci si copre la faccia”, come dice il profeta Isaia (53,3). La bellezza del Figlio è altra da quella della forma e della proporzione: è la bellezza dell’eccesso d’amore, la bellezza della carità che spinge il Dio immortale a farsi prigioniero della morte per fare ricchi noi, a scegliere per sé la forma di schiavo per dare a noi la condizione di figli. Il “piccolo bene” è la bellezza dell’amore crocifisso, del dono di sé fino alla fine. È questa bellezza, che parla dal silenzio della Croce e si esprime nel grido d’abbandono del Venerdì Santo, la sola bellezza che salverà il mondo. È la bellezza di credere nel bene e nell’amore, nonostante tutto e perfino contro tutto. È la bellezza di perdonare il nemico, di porgere l’altra guancia al violento, di dare la vita per l’altro, soprattutto per chi è più debole e più povero e più solo di te. È la bellezza di chi al terrorismo - su scala mondiale, come su scala nazionale - risponde cercando unitariamente la via della giustizia per tutti, piuttosto che la logica della divisione e della contrapposizione violenta. È la bellezza di chi ama anche chi non lo ama. Di questo “piccolo bene”, di questo bene umile e quotidiano che si perde nella notte del servizio al prossimo, il mondo ha immensamente bisogno. Pasqua è l’annuncio inaudito che questo “bene” a misura di tutti - perché a misura dei piccoli - è la bellezza che salva, donata per amore dall’alto, salvezza che non delude e per cui vale la pena di vivere e impegnarsi. Chi potrà dire che questo “bello” non sia necessario e attuale? E, tuttavia, chi potrà garantire che gli uomini - soprattutto i “grandi” e i “potenti” agli occhi del mondo - siano disposti a seguirlo? L’augurio di Pasqua, di questa Pasqua, è allora che ad accoglierlo e a viverlo siano tanti, per la via dell’umiltà, della fede fiduciosa, dell’amore coraggioso e umile...


La pasqua di Papa Francesco - Veglia della Notte Santa: "Apriamoci alla speranza e mettiamoci in cammino" (foto, testi e video)

 26 marzo 2016 

La Pasqua è la “festa della speranza”, perché l’amore di Dio non delude mai. Così, in sintesi, Papa Francesco nella Veglia pasquale presieduta nella Basilica Vaticana. 
Iniziata alle 20,30 nell’atrio della Basilica con la benedizione del fuoco e la preparazione del cero pasquale, la celebrazione ha visto il Papa amministrare i Sacramenti dell’iniziazione cristiana (Battesimo, Eucaristia e Confermazione) a 12 catecumeni, persone che in età adulta si sono avvicinate alla fede e sono state ammesse ai Sacramenti. Otto le donne e quattro gli uomini.
Si tratta delle albanesi Bernarda e Dasara Dervishi, di 30 e 27 anni; dell'italiana Desiree Di Porto, 29 anni, che prenderà il nome Ruth; la camerunense Francine Fotsa Ngueti, 24 anni; gli altri albanesi Flora Gjikolaj e Gjovalin Gjikolas, di 28 e 23 anni; l'indiano Sandeep Mahajan, 50 anni, che si battezzerà col nome Renzo; gli altri albanesi Herjola Rrapaj e Ylli Taci, di 32 e 33 anni, che assumeranno i nomi di Maria e Francesco; la cinese Li Zhang, 22 anni, a battesimo col nome Mary Stella; infine l’ambasciatore della Corea del Sud presso l’Italia, Yong-Joon Lee, con la consorte, Hee Kim di 55 e 60 anni, che prenderanno i nomi di Stella e Stefano, a fare loro da padrini, i rispettivi omologhi presso la Santa Sede.

Omelia

«Pietro corse al sepolcro» (Lc 24,12). Quali pensieri potevano agitare la mente e il cuore di Pietro durante quella corsa? Il Vangelo ci dice che gli Undici, tra cui Pietro, non avevano creduto alla testimonianza delle donne, al loro annuncio pasquale. Anzi, «quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento» (v. 11). Nel cuore di Pietro c’era pertanto il dubbio, accompagnato da tanti pensieri negativi: la tristezza per la morte del Maestro amato e la delusione per averlo rinnegato tre volte durante la Passione.

C’è però un particolare che segna la sua svolta: Pietro, dopo aver ascoltato le donne e non aver creduto loro, «tuttavia si alzò» (v. 12). Non rimase seduto a pensare, non restò chiuso in casa come gli altri. Non si lasciò intrappolare dall’atmosfera cupa di quei giorni, né travolgere dai suoi dubbi; non si fece assorbire dai rimorsi, dalla paura e dalle chiacchiere continue che non portano a nulla. Cercò Gesù, non se stesso. Preferì la via dell’incontro e della fiducia e, così com’era, si alzò e corse verso il sepolcro, da dove poi ritornò «pieno di stupore» (v. 12). Questo è stato l’inizio della “risurrezione” di Pietro, la risurrezione del suo cuore. Senza cedere alla tristezza e all’oscurità, ha dato spazio alla voce della speranza: ha lasciato che la luce di Dio gli entrasse nel cuore, senza soffocarla.

Anche le donne, che erano uscite al mattino presto per compiere un’opera di misericordia, per portare gli aromi alla tomba, avevano vissuto la stessa esperienza. Erano «impaurite e con il volto chinato a terra», ma furono scosse all’udire le parole degli angeli: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (cfr v. 5).

Anche noi, come Pietro e le donne, non possiamo trovare la vita restando tristi e senza speranza e rimanendo imprigionati in noi stessi. Ma apriamo al Signore i nostri sepolcri sigillati - ognuno di noi li conosce -, perché Gesù entri e dia vita; portiamo a Lui le pietre dei rancori e i macigni del passato, i pesanti massi delle debolezze e delle cadute. Egli desidera venire e prenderci per mano, per trarci fuori dall’angoscia. Ma questa è la prima pietra da far rotolare via questa notte: la mancanza di speranza che ci chiude in noi stessi. Che il Signore ci liberi da questa terribile trappola, dall’essere cristiani senza speranza, che vivono come se il Signore non fosse risorto e il centro della vita fossero i nostri problemi. 

Vediamo e vedremo continuamente dei problemi vicino a noi e dentro di noi. Ci saranno sempre, ma questa notte occorre illuminare tali problemi con la luce del Risorto, in certo senso “evangelizzarli”. Evangelizzare i problemi. Le oscurità e le paure non devono attirare lo sguardo dell’anima e prendere possesso del cuore, ma ascoltiamo la parola dell’Angelo: il Signore «non è qui, è risorto!» (v. 6); Egli è la nostra gioia più grande, è sempre al nostro fianco e non ci deluderà mai.

Questo è il fondamento della speranza, che non è semplice ottimismo, e nemmeno un atteggiamento psicologico o un buon invito a farsi coraggio. La speranza cristiana è un dono che Dio ci fa, se usciamo da noi stessi e ci apriamo a Lui. Questa speranza non delude perché lo Spirito Santo è stato effuso nei nostri cuori (cfr Rm 5,5). Il Consolatore non fa apparire tutto bello, non elimina il male con la bacchetta magica, ma infonde la vera forza della vita, che non è l’assenza di problemi, ma la certezza di essere amati e perdonati sempre da Cristo, che per noi ha vinto il peccato, ha vinto la morte, ha vinto la paura. Oggi è la festa della nostra speranza, la celebrazione di questa certezza: niente e nessuno potranno mai separarci dal suo amore (cfr Rm 8,39).

Il Signore è vivo e vuole essere cercato tra i vivi. Dopo averlo incontrato, ciascuno viene inviato da Lui a portare l’annuncio di Pasqua, a suscitare e risuscitare la speranza nei cuori appesantiti dalla tristezza, in chi fatica a trovare la luce della vita. Ce n’è tanto bisogno oggi. Dimentichi di noi stessi, come servi gioiosi della speranza, siamo chiamati ad annunciare il Risorto con la vita e mediante l’amore; altrimenti saremmo una struttura internazionale con un grande numero di adepti e delle buone regole, ma incapace di donare la speranza di cui il mondo è assetato.
Come possiamo nutrire la nostra speranza? La Liturgia di questa notte ci dà un buon consiglio. Ci insegna a fare memoria delle opere di Dio. Le letture ci hanno narrato, infatti, la sua fedeltà, la storia del suo amore verso di noi. La Parola di Dio viva è capace di coinvolgerci in questa storia di amore, alimentando la speranza e ravvivando la gioia. Ce lo ricorda anche il Vangelo che abbiamo ascoltato: gli angeli, per infondere speranza alle donne, dicono: «Ricordatevi come [Gesù] vi parlò» (v. 6). Fare memoria delle parole di Gesù, fare memoria di tutto quello che Lui ha fatto nella nostra vita. Non dimentichiamo la sua Parola e le sue opere, altrimenti perderemo la speranza e diventeremo cristiani senza speranza; facciamo invece memoria del Signore, della sua bontà e delle sue parole di vita che ci hanno toccato; ricordiamole e facciamole nostre, per essere sentinelle del mattino che sanno scorgere i segni del Risorto.

Cari fratelli e sorelle, Cristo è risorto! E noi abbiamo la possibilità di aprirci e ricevere il suo dono di speranza. Apriamoci alla speranza e mettiamoci in cammino; la memoria delle sue opere e delle sue parole sia luce sfolgorante, che orienta i nostri passi nella fiducia, verso quella Pasqua che non avrà fine.

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lunedì 28 marzo 2016

SETTIMANA SANTA CON LE DONNE DELLA BIBBIA - Tempo Pasquale: Maria di Magdala

SETTIMANA SANTA CON LE DONNE DELLA BIBBIA

Maria la madre di Gesù, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo, Veronica… saranno loro, le donne della Bibbia, ad accompagnarci in questa settimana santa!

Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: «Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto (Gv. 20,15-18).

Maria di Magdala 
Era mattina, quasi ancora buio, la pietra era rimossa e il sepolcro era vuoto. Piansi a lungo accanto al sepolcro del mio Signore perché mi era insopportabile l’idea che non rimanesse nulla di lui. Quando mi voltai vidi un uomo che non avevo mai visto e nessuno era là a sentire la sua voce quando mi chiamò per nome:«Maria!».

Quante volte mi aveva chiamata così, eppure mai avevo sentito tanta dolcezza nella sua voce.

In quella chiamata c’era il mantenimento di una promessa, c’era l’adempimento del suo amore per me. Come è bello ricordare un amore totale per ciascuno di noi, con il suo nome, con il suo corpo, con la sua povera vita. Solo allora riconobbi quello sconosciuto e gli caddi ai piedi: «Rabbunì!» esclamai ed ero felice.

Ora so che non era possibile riconoscerlo prima che mi avesse chiamato. Neppure voi potrete riconoscerlo prima che egli vi chiami, anche se egli è lì, dinanzi a voi da sempre, eppure voi non sapete chi sia finché non vi avrà chiamato per nome.

Questo è il semplice segreto di Maria di Màgdala.

Sostiamo, in comunione con tutte le giovani donne che oggi, scelgono di donare la vita per il Vangelo, che scelgono di consacrare a Dio le loro migliori energie, la loro passione, l’intelligenza perché il Vangelo risuoni nel mondo.

Preghiera

Vogliamo donarti la vita, Signore Gesù!
Vogliamo che le nostre energie,
la nostra naturale passione per la vita,
la nostra voglia di amare
diventino strumenti di salvezza,
annuncio gratuito e libero della tua presenza
che dà, alla vita, nuova pienezza.

Chiamaci, Signore, anche oggi,
come in ogni tempo…
E sia libero e generoso il nostro sì! Amen
(fonte: Canta la vita)


Vedi anche:


domenica 27 marzo 2016

SETTIMANA SANTA CON LE DONNE DELLA BIBBIA - Domenica: Pasqua… vita che rinasce!

SETTIMANA SANTA CON LE DONNE DELLA BIBBIA

Maria la madre di Gesù, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo, Veronica… saranno loro, le donne della Bibbia, ad accompagnarci in questa settimana santa!

Il primo giorno della settimana, Maria di Magdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio. Vide che la pietra era stata tolta da sepolcro.

Pasqua: le pietre di ogni sepolcro vengono rotolate via.

Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?»

Pasqua: la vita risorge, il buio è infranto, la notte termina il suo corso.

La vita rinasce oggi… nell’innocenza violentata di ogni bambino; tra i corpi colpiti e torturati di innocenti; nelle esistenze lacerate e martoriate in nome di Dio.

La vita risplende, nuova… negli sguardi smarriti di genitori inermi, tra le loro mani, private di lavoro e incapaci di dare pane, nei loro silenzi che chiedono un futuro.

La vita, delicatamente, accarezza la guancia colpita e ridona bellezza a ogni dignità tradita. La vita guarisce, ovunque, le ferite dell’anima. La vita brilla e rende luminosa ogni diversità offesa.

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.


È Pasqua! È tempo di nuova risurrezione, è tempo della vita che germoglia.

Risorgi, Signore!

Dove la speranza è ferita dalla resa; dove l’amore è bloccato dalla paura; dove la diversità è sbeffeggiata dall’intolleranza; dove la fraternità è tradita dall’opportunismo; dove la tenerezza è delusa dalla violenza; dove il perdono è inascoltato dalla vendetta; dove la giustizia è silenziata dall’omertà; dove la morte ha detto l’ultima parola.

Pregando…

Abbiamo sete di risurrezione, Signore.
Abbiamo fame di vita nuova,
di quella vita attraversata dalla bellezza
e illuminata dalla tenerezza.
Vivi, Signore Risorto, vivi oggi!
Risorgi tra noi, Gesù di Nazaret,
e spezza le catene di ogni morte,
spalanca le porte di ogni sepolcro,
prendici per mano e riconsegnaci alla vita. Amen.

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi».
Buona Pasqua di risurrezione, di vita decisamente nuova, di speranza sempre possibile!
(fonte: Canta la vita)


Vedi anche:

Meglio morto che risorto: sul senso profondo della Pasqua di Alberto Maggi

Meglio morto che risorto:
sul senso profondo della Pasqua

 di Alberto Maggi

Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede”, afferma perentorio Paolo ai Corinti (1 Cor 15,14). Eppure nessun evangelista dà la descrizione del momento della risurrezione del Cristo. Questo fatto creò così tanto imbarazzo nelle comunità cristiane primitive che si rimediò a questa lacuna con un falso d’autore che ebbe un grande successo. Infatti, l’immagine tradizionale del Cristo Risorto, che esce trionfante dal sepolcro, con le guardie tramortite, non appartiene ai vangeli riconosciuti ispirati, ma a un testo apocrifo del secondo secolo, conosciuto come il Vangelo di Pietro: “Durante la notte nella quale spuntava la domenica, mentre i soldati montavano la guardia a turno, due a due, risuonò in cielo una gran voce, videro aprirsi i cieli e scendere di lassù due uomini, in un grande splendore, e avvicinarsi alla tomba. La pietra che era stata appoggiata alla porta rotolò via da sé e si pose a lato, si aprì il sepolcro e c’entrarono i due giovani” (Vang. Pietro 9,35-37).

Nessuno ha potuto descrivere la risurrezione del Cristo, perché neanche un solo discepolo era presente, nonostante Gesù avesse insistentemente affermato che sì, sarebbe stato ucciso, e nel modo più infamante, la crocifissione, ma poi dopo tre giorni sarebbe risuscitato (Mt 16,21; 17,22; 20,19). Ma nessuno ci ha creduto, perché nessuno desiderava veramente la sua risurrezione. La prova che il Messia era quello inviato da Dio, era che non poteva morire, perché “il Cristo rimane in eterno” (Gv 12,34). Pertanto, se Gesù era morto, e in quel modo infamante, con la morte dei maledetti da Dio (Dt 21,23; Gal 3,13), pazienza, voleva dire che si erano sbagliati, e c’era solo da attendere il vero Messia, quello che avrebbe sbaragliato i nemici, sottomesso i popoli pagani e inaugurato il regno d’Israele. Del resto non era la prima volta che qualche esaltato si era proclamato l’atteso liberatore, aveva iniziato la rivolta contro gli odiati Romani e il tutto era finito in un bagno di sangue, come insegnava il tragico epilogo delle insurrezioni capitanate dai vari Teuda e Giuda il Galileo, sedicenti Messia che convinsero la gente a seguirli, e quelli che lo fecero “furono dissolti e finirono nel nulla” (At 5,36-37). In fondo meglio morto che risuscitato. Perché se Gesù era morto, era segno che non era il Messia e bisognava attenderne un altro. Ma se era risuscitato, allora addio sogni di gloria, di restaurazione del defunto regno del re Davide, della supremazia sui popoli pagani, dell’accumulo delle ricchezze delle altre nazioni, come i profeti avevano vagheggiato (“Vi nutrirete delle ricchezze delle nazioni, vi vanterete dei loro beni”, Is 61,6).

Pertanto, morto Gesù, i suoi discepoli, delusi (“Speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele…”, Lc 24,21), erano tornati alle due occupazioni di sempre, e il Risorto li deve andare a cercare uno a uno per far sperimentare loro che era veramente risorto, rimproverandoli “per la loro incredulità e durezza di cuore” (Mc 16,14; Lc 24,25). Inutilmente Gesù nella sua vita terrena aveva parlato ai suoi discepoli del regno di Dio, perché questi capivano regno di Israele. Gesù parlava di servizio e i discepoli pensavano al potere, il Maestro insegnava a mettersi a livello degli ultimi e i discepoli litigavano tra loro per assicurarsi il posto più importante, il Signore li invitava a scendere e essi pensavano solo a salire.
Per questo il Risorto, una volta riunito i suoi, tiene loro una sorta di corso intensivo durato ben quaranta giorni “parlando delle cose riguardanti il regno di Dio” (At 1,3). Ma niente da fare: quando l’ideologia religiosa è intrecciata con quella nazionalista, anche se si hanno orecchie per udire non si ode, e se si hanno occhi per vedere non si vede (Mc 8,18). Infatti, al quarantesimo giorno, i discepoli, che evidentemente non erano interessati a questo tema del regno di Dio, gli domandarono: “Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?” (At 1,6). Scrive l’evangelista che a questo punto “una nube lo sottrasse ai loro occhi” (At 1,9). Il Cristo non se n’è andato, ma sono i discepoli che sono incapaci di vederlo. Chi è mosso dal potere non può percepire l’Amore, chi pensa a sé non può riconoscere la presenza dell’Altro. Ci vorrà ancora del tempo, e quando finalmente i discepoli comprenderanno che il pane non va accumulato, ma solo spezzato e condiviso, allora si apriranno i loro occhi e riconosceranno il Cristo risorto (At 24,31) che li accompagnerà nella loro missione (Mc 16,20).
(Fonte: Il libraio)


"Un cuore che ascolta - lev shomea" - n.17/2015-2016 (C) di Santino Coppolino

'Un cuore che ascolta - lev shomea'
Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione
sul Vangelo della domenica
di Santino Coppolino



Vangelo: Gv 20,1-9



La tomba è il luogo dove gli uomini, tutti gli uomini troviamo convegno, tutti allo stesso modo sconfitti, tutti fagocitati dalla morte, con l'unica differenza, per altro momentanea, tra i già e i non ancora morti. Per questo motivo la grandissima sorpresa del mattino di Pasqua è stata che il sepolcro dove è stato deposto il Signore è vuoto. La tomba vuota infatti è il sigillo della nostra fede, che ha come destino ultimo dell'uomo non la morte ma la resurrezione, perché "se Cristo non è risorto, allora vana è la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede"1Cor 15,14). La morte in se stessa non è un male, piuttosto lo è il nostro modo di comprenderla, ed il peccato è il "pungiglione" che avvelena la nostra esistenza: "Se faccio del mio io il mio dio, principio e fine di tutte le cose, allora per me la morte è la fine di tutto "(cit.). Il limite del tempo che ci fa paura e paralizza la nostra vita non è la fine di tutto, ma lo schiudersi all'incontro con il nostro Principio. " La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov'è o morte la tua vittoria ? Dov'è o morte il tuo pungiglione ? "(1Cor 15,54-55). Così proclama l'apostolo Paolo che, sulla via di Damasco, aveva fatto l'esperienza del Risorto. E se Gesù è risorto vuole dire che il Padre ha gradito il suo modo di vivere, lo ha trovato conforme al suo progetto originario sull'uomo. La sua vittoria sulla morte è lo 'sfraghìs', il sigillo della fedeltà di Gesù al sogno d'amore del Padre per l'umanità: Per questo amore e questa fedeltà "Dio lo esaltò e gli donò il Nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: Gesù Cristo è Signore ! A gloria di Dio Padre. "(Fil 2,9-11).