martedì 19 gennaio 2016

Storica visita di Papa Francesco alla Sinagoga di Roma (cronaca, foto, testi e video)

 17 gennaio 2016 

Domenica pomeriggio, alle ore 16, Papa Francesco si è recato in visita alla Sinagoga di Roma. Ghetto blindato per paura di attentati terroristici con 800 forze dell’ordine, polizia cinofila e metal detector.
Giunto a Largo XVI ottobre, con dieci minuti di anticipo rispetto al programma, il Papa è stato accolto dal Presidente della Comunità ebraica romana, Ruth Dureghello, dal Presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei), Renzo Gattegna, e dal Presidente della Fondazione Museo della Shoah, Mario Venezia. 
Insieme hanno percorso via Catalana ma prima di entrare in Sinagoga, il Papa si è soffermato davanti alla lapide che ricorda Stefano Gai Tachè, il bimbo di soli 2 anni ucciso dai terroristi palestinesi nell’attentato del 1982. E qui, dopo aver deposto dei fiori, il Papa si è intrattenuto a parlare con la famiglia Tachè e con alcuni dei 40 feriti dell’attentato. È stato un incontro estremamente cordiale e amichevole tanto che le telecamere del Ctv hanno colto un anziano ebreo dire al Papa: “È molto simpatico e le vogliamo tutti molto bene”. E un giovane porgendogli la mano gli ha detto: “benvenuto”. 
 
Intorno alle 16.20 il Pontefice ha raggiunto a piedi il Tempio Maggiore, accolto dai Vice Presidenti Claudia Fellus e Ruben Della Rocca al cancello d’ingresso della Sinagoga. 
All’ingresso della Sinagoga c’era il rabbino capo, Riccardo Di Segni, che sulla scalinata ha accolto il Papa con un abbraccio.

Hanno poi percorso insieme il corridoio centrale dirigendosi verso la tribuna. La Sinagoga era gremita di persone e il Papa si è intrattenuto più volte a parlare e salutare le persone. Tra i partecipanti anche l’imam Yahya Pallavicini, vicepresidente della Coreis italiana (Comunità religiosa islamica) e Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio.
È stato un lungo e affettuoso benvenuto quello che la comunità ebraica di Roma ha riservato a papa Francesco nella sinagoga di Roma. Il Papa aveva chiesto di avvicinare le persone della comunità ebraica romana e nella Sinagoga è andato avanti e indietro tra i banchi per stringere mani più mani possibile, fino ad abbracciare e baciare sulle guance i sopravvissuti alla deportazione nazista. 


Era la terza volta di un pontefice, ma una scena così non si era ancora mai vista.
A precedere il discorso del Papa, quelli della presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, del presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna e del rabbino Di Segni.

... Sono emozionata nel dare il benvenuto mio, e di tutta la Comunità Ebraica di Roma a Lei, papa Francesco, terzo Pontefice a varcare la soglia del nostro Tempio Maggiore la cui distanza da San Pietro, seppur breve, è sembrata per secoli incolmabile.
L'incontro odierno dimostra che il dialogo tra le grandi fedi è possibile, un impegno volto a garantire accoglienza, pace e libertà per ogni essere umano....

Caro papa Francesco, saluto tutti, è con spirito di profonda stima che Le porgo, a nome delle Comunità Ebraiche Italiane, il più caloroso benvenuto.
Sono consapevole che Lei viene in questo tempio ad incontrare l'ebraismo italiano con il suo millenario carico di fede e di cultura, di dolore e di vita. Questa sua visita giunge a rinsaldare ancora di più il cammino di dialogo, di amicizia e di fratellanza tra il popolo ebraico, il popolo dell'Alleanza, e la Chiesa cattolica.

“Benvenuto”. Con questa semplice parola pronunciata con un sorriso raggiante, il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha accolto papa Francesco nella Sinagoga di Roma. Ed ha poi aggiunto, sempre sorridendo: “Oggi il tempio accoglie con gratitudine la terza visita di un Papa e Vescovo di Roma. Secondo le tradizioni giuridiche rabbiniche, un atto ripetuto tre volte diventa chazaqà, cioè una consuetudine fissa”.


Discorso di Papa Francesco
Cari fratelli e sorelle,
sono felice di trovarmi oggi con voi in questo Tempio Maggiore. Ringrazio per le loro cortesi parole il Dottor Di Segni, la Dottoressa Dureghello e l’Avvocato Gattegna; e ringrazio voi tutti per la calorosa accoglienza, grazie! Todà rabbà!

Nella mia prima visita a questa Sinagoga come Vescovo di Roma, desidero esprimere a voi, estendendolo a tutte le comunità ebraiche, il saluto fraterno di pace di questa Chiesa e dell’intera Chiesa cattolica.

Le nostre relazioni mi stanno molto a cuore. Già a Buenos Aires ero solito andare nelle sinagoghe e incontrare le comunità là riunite, seguire da vicino le feste e le commemorazioni ebraiche e rendere grazie al Signore, che ci dona la vita e che ci accompagna nel cammino della storia. Nel corso del tempo, si è creato un legame spirituale, che ha favorito la nascita di autentici rapporti di amicizia e anche ispirato un impegno comune. Nel dialogo interreligioso è fondamentale che ci incontriamo come fratelli e sorelle davanti al nostro Creatore e a Lui rendiamo lode, che ci rispettiamo e apprezziamo a vicenda e cerchiamo di collaborare. E nel dialogo ebraico-cristiano c’è un legame unico e peculiare, in virtù delle radici ebraiche del cristianesimo: ebrei e cristiani devono dunque sentirsi fratelli, uniti dallo stesso Dio e da un ricco patrimonio spirituale comune (cfr Dich. Nostra aetate, 4), sul quale basarsi e continuare a costruire il futuro.

Con questa mia visita seguo le orme dei miei Predecessori. Papa Giovanni Paolo II venne qui trent’anni fa, il 13 aprile 1986; e Papa Benedetto XVI è stato tra voi sei anni or sono. Giovanni Paolo II, in quella occasione, coniò la bella espressione “fratelli maggiori”, e infatti voi siete i nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori nella fede. Tutti quanti apparteniamo ad un’unica famiglia, la famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo popolo. Insieme, come ebrei e come cattolici, siamo chiamati ad assumerci le nostre responsabilità per questa città, apportando il nostro contributo, anzitutto spirituale, e favorendo la risoluzione dei diversi problemi attuali. Mi auguro che crescano sempre più la vicinanza, la reciproca conoscenza e la stima tra le nostre due comunità di fede. Per questo è significativo che io sia venuto tra voi proprio oggi, 17 gennaio, quando la Conferenza Episcopale Italiana celebra la “Giornata del dialogo tra cattolici ed ebrei”.
Abbiamo da poco commemorato il 50º anniversario della Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II, che ha reso possibile il dialogo sistematico tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo. Il 28 ottobre scorso, in Piazza San Pietro, ho potuto salutare anche un gran numero di rappresentanti ebraici, e mi sono così espresso: «Una speciale gratitudine a Dio merita la vera e propria trasformazione che ha avuto in questi cinquant’anni il rapporto tra cristiani ed ebrei. Indifferenza e opposizione si sono mutate in collaborazione e benevolenza. Da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli.
Il Concilio, con la Dichiarazione Nostra aetate, ha tracciato la via: “sì” alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; “no” ad ogni forma di antisemitismo, e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano». Nostra aetate ha definito teologicamente per la prima volta, in maniera esplicita, le relazioni della Chiesa cattolica con l’ebraismo. Essa naturalmente non ha risolto tutte le questioni teologiche che ci riguardano, ma vi ha fatto riferimento in maniera incoraggiante, fornendo un importantissimo stimolo per ulteriori, necessarie riflessioni. A questo proposito, il 10 dicembre 2015, la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo ha pubblicato un nuovo documento, che affronta le questioni teologiche emerse negli ultimi decenni trascorsi dalla promulgazione di Nostra aetate. Infatti, la dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico merita di essere sempre più approfondita, e desidero incoraggiare tutti coloro che sono impegnati in questo dialogo a continuare in tal senso, con discernimento e perseveranza. Proprio da un punto di vista teologico, appare chiaramente l’inscindibile legame che unisce cristiani ed ebrei. I cristiani, per comprendere sé stessi, non possono non fare riferimento alle radici ebraiche, e la Chiesa, pur professando la salvezza attraverso la fede in Cristo, riconosce l’irrevocabilità dell’Antica Alleanza e l’amore costante e fedele di Dio per Israele.

Insieme con le questioni teologiche, non dobbiamo perdere di vista le grandi sfide che il mondo di oggi si trova ad affrontare. Quella di una ecologia integrale è ormai prioritaria, e come cristiani ed ebrei possiamo e dobbiamo offrire all’umanità intera il messaggio della Bibbia circa la cura del creato. Conflitti, guerre, violenze ed ingiustizie aprono ferite profonde nell’umanità e ci chiamano a rafforzare l’impegno per la pace e la giustizia. La violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche. La vita è sacra, quale dono di Dio. Il quinto comandamento del Decalogo dice: «Non uccidere» (Es 20,13). Dio è il Dio della vita, e vuole sempre promuoverla e difenderla; e noi, creati a sua immagine e somiglianza, siamo tenuti a fare lo stesso. Ogni essere umano, in quanto creatura di Dio, è nostro fratello, indipendentemente dalla sua origine o dalla sua appartenenza religiosa. Ogni persona va guardata con benevolenza, come fa Dio, che porge la sua mano misericordiosa a tutti, indipendentemente dalla loro fede e dalla loro provenienza, e che si prende cura di quanti hanno più bisogno di Lui: i poveri, i malati, gli emarginati, gli indifesi. Là dove la vita è in pericolo, siamo chiamati ancora di più a proteggerla. Né la violenza né la morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e della vita. Noi dobbiamo pregarlo con insistenza affinché ci aiuti a praticare in Europa, in Terra Santa, in Medio Oriente, in Africa e in ogni altra parte del mondo la logica della pace, della riconciliazione, del perdono, della vita.

Il popolo ebraico, nella sua storia, ha dovuto sperimentare la violenza e la persecuzione, fino allo sterminio degli ebrei europei durante la Shoah. Sei milioni di persone, solo perché appartenenti al popolo ebraico, sono state vittime della più disumana barbarie, perpetrata in nome di un’ideologia che voleva sostituire l’uomo a Dio. Il 16 ottobre 1943, oltre mille uomini, donne e bambini della comunità ebraica di Roma furono deportati ad Auschwitz. Oggi desidero ricordarli con il cuore, in modo particolare: le loro sofferenze, le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate. E il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro. La Shoah ci insegna che occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace. Vorrei esprimere la mia vicinanza ad ogni testimone della Shoah ancora vivente; e rivolgo il mio saluto particolare a voi, che siete qui presenti.

Cari fratelli maggiori, dobbiamo davvero essere grati per tutto ciò che è stato possibile realizzare negli ultimi cinquant’anni, perché tra noi sono cresciute e si sono approfondite la comprensione reciproca, la mutua fiducia e l’amicizia. Preghiamo insieme il Signore, affinché conduca il nostro cammino verso un futuro buono, migliore. Dio ha per noi progetti di salvezza, come dice il profeta Geremia: «Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – oracolo del Signore –, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Ger 29,11). Che il Signore ci benedica e ci protegga. Faccia splendere il suo volto su di noi e ci doni la sua grazia. Rivolga su di noi il suo volto e ci conceda la pace (cfr Nm 6,24-26). Shalom alechem!

Guarda il video del discorso

Il discorso del Santo Padre è stato molto apprezzato da tutti i presenti che l'hanno spesso interrotto con calorosi applausi, sottolineandone i vari passaggi.


In occasione della visita di Papa Francesco al Tempio Maggiore di Roma, dopo i discorsi il Rabbino Di Segni e il Santo Padre si sono scambiati dei doni.
Il Rabbino Di Segni ha donato al Papa un calice e un quadro del pittore George De Canino.
Papa Francesco ha donato un esemplare del Codice Vaticano ebr. 700
Il Sifra è la forma più arcaica di testo midrashico. È un commentario quasi esclusivamente halakhico (giuridico) al Libro del Levitico.
Si tratta di una compagine superstite di 5 fogli, da un codice cartaceo yemenita databile al XIV secolo.


Guarda il video integrale

Dopo lo scambio dei doni, la Visita del Papa alla Sinagoga di Roma si conclude con un colloquio privato con il Rabbino Capo Riccardo Di Segni e la presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello.