mercoledì 6 gennaio 2016

L’Epifania, manifestazione dell’anti-regalità di Gesù di Enzo Bianchi


L’Epifania, manifestazione dell’anti-regalità di Gesù


JR unframed (Senza cornice) Ellis Island, installazione di carta su muro*

6 gennaio 2016
Epifania del Signore

Mt 2,1-12

Commento al Vangelo
di ENZO BIANCHI



Alla nascita e alla morte di Gesù risuona per lui lo stesso titolo, “Re dei giudei”. Alla nascita – è il testo che oggi la liturgia ci propone – lo dicono i magi e lo ripetono gli scribi ed Erode; alla morte lo fa scrivere Pilato su un cartello (cf. Mc 15,26 e par.; Gv 19,19), lo usano i soldati per schernirlo (cf. Mc 15,18; Mt 27,29; Gv 19,3), lo leggono tutti i presenti all’esecuzione barbara della crocifissione (cf. Gv 19,20). Alla nascita e sotto la croce vi è la stessa rivelazione: l’umanità è una nella ricerca di Dio e nel ripudio di Dio, o meglio nel credere al bene con speranza oppure nel non credere al bene, preferendo la violenza, il male.

Dunque il vangelo dell’Epifania, della manifestazione dell’identità di Gesù alle genti, a quelli che non erano ebrei, figli di Israele, è un vangelo decisivo, che dà alla festa odierna un particolare significato: Gesù è nato Re dei giudei, ma per tutti, e tutti possono andare a lui. In questo racconto di Matteo c’è la storia, ma c’è anche una lettura che l’evangelista fa nella fede. Nasce un bambino in una semplice famiglia formata da un artigiano, Giuseppe, e dalla sua giovane moglie, Maria; nasce in una stalla, riparo per il gregge nella campagna di Betlemme, eppure alcuni uomini da lontano, dall’oriente, o meglio dalla loro sapienza orientata, nella loro ricerca sono portati a vedere in questa semplice nascita il compimento del loro cercare, la pienezza della loro sapienza. Tutti gli umani di ogni tempo e cultura, infatti, hanno in comune soprattutto la ricerca del bene, anche se poi contraddicono questo loro desiderio così impegnativo. In ogni essere umano c’è un anelito al bene, alla vita piena, alla pace, e questo fuoco che abita gli umani li spinge a cercare, a mettersi in cammino, a dichiarare per loro insufficiente la terra che abitano, l’orizzonte consueto. Per questo cammino gli umani cercano e trovano come segnali ciò che possono: il cielo, la terra, il mare e anche le creature animate e inanimate con le quali sanno comunicare.

In quel lungo pellegrinaggio, soprattutto della mente e del cuore, alcuni sapienti, i magi, hanno guardato alle stelle, alla sabbia del deserto, alle bestie che cavalcavano, al bagaglio che trasportavano con sé, per vivere e per fare doni. Per chi scruta l’orizzonte sempre sorge una stella, sempre – come dice il nostro brano evangelico – c’è un oriente, un alzarsi, che invita al cammino. E così è avvenuto per quei mágoi, che dall’oriente (apò anatolôn) giungono a Gerusalemme, la città santa, l’ombelico del mondo (cf. Sal 48,3; cf. Ez 5,5; 38,12). Essi chiedono: “Dov’è il Re dei giudei che è nato?”, proprio ai giudei che non si erano accorti della nascita del loro Re. Non se n’era accorto il re che regnava in quel momento, Erode, non se n’erano accorti i sacerdoti e neppure gli esperti delle sante Scritture, gli scribi. Ecco lo scandalo: chi è deputato a conoscere e a osservare ciò che accade non sa, chi è capace di interpretare puntualmente le Scritture in riferimento al Re dei giudei lo annuncia con chiarezza e certezza, eppure in una situazione di radicale accecamento. È così, e ancora oggi avviene così: si possono conoscere le parole di Dio contenute nelle Scritture, si possono citare e spiegare con competenza, si possono addirittura insegnare agli altri, eppure, nel contempo, restare in una situazione di totale cecità o sordità, manifestazioni della sklerokardía, della callosità del cuore…

Questa venuta dei magi causa però inquietudine, turbamento da parte dei rappresentanti del potere politico e di tutta Gerusalemme, perché quando il potere ne vede sorgere un altro teme e trema, sentendosi minacciato. Da quell’ora l’inquietudine e il turbamento non cesseranno, fino al giorno in cui questo Re dei giudei che è nato sarà finito per sempre, rivestito di un manto di porpora, con una canna come scettro in mano, con una corona di spine sulla testa, deriso, sbeffeggiato e infine appeso nudo a un palo, la croce!

Eppure quei sapienti obbedienti alle Scritture dei giudei, anzi ri-orientati dalle Scritture, riescono nuovamente a vedere la stella, che li conduce fino al bambino Re Messia, a Betlemme, dove trovano ciò che cercavano ma che certamente non si aspettavano così: non una reggia, non una corte regale in festa, non lo sfarzo degno della nascita di un principe, ma semplicemente un bambino e sua madre. Contemplano non quello che avevano tanto atteso e cercato, ma altro. E come convertiti, mutati nella loro mente e nel loro cuore, riconoscono la regalità nell’anti-regalità, la regalità potente e universale nella debolezza umana, in un infante incapace di parlare e di essere eloquente con la parola. Eppure i magi capiscono, giungono alla fede, pur non avendo né la rivelazione né le sante Scritture; e non a caso Matteo annota che fanno ritorno al loro paese attraverso un altro cammino, cioè un altro modo di pensare e di vivere.

Così avviene la rivelazione, per i giudei e per le genti: solo guardando alla debolezza di Gesù, al suo essere piccolo, si può comprendere la sua vera regalità, la sua vera identità, non plasmata in base alle immagini dei re e dei potenti di questo mondo. Per altre strade gli altri vangeli diranno la stessa cosa: contemplazione (theoría) di Gesù è il vederlo crocifisso (cf. Lc 23,48); visione di Gesù è il vederlo come seme caduto a terra (cf. Gv 12,24). Quei magi, convertiti alla vista del bambino in quella povera famiglia, in quella greppia, adorano, si prostrano e gli offrono in dono oro, incenso e mirra, prodotti preziosi dell’oriente, elaborati dalla cultura delle genti. Ciò che Gesù risorto potrà dire ai discepoli – “Andate e fate discepole tutte le genti” (Mt 28,19) – ha qui la sua primizia. Le genti divengono discepole quando cercano con sincerità, si aprono con audacia e si mettono in cammino senza indugio.

Quanti uomini e quante donne, dall’oriente e dall’occidente, dal nord e dal sud, come questi magi cercano il bene, si sentono viandanti, in cammino, si esercitano a riconoscere la salvezza come umanizzazione e lavorano perché l’umano sia sempre più umano. Lo sappiano o meno, sono persone alle quali ogni bambino che nasce, ogni umano che viene al mondo appare con la dignità di un re; appare come un fratello o una sorella che attende da noi il nostro oro (ciò che abbiamo), il nostro incenso (il profumo sprigionato dalla nostra presenza), la nostra mirra (ciò che sappiamo sacrificare di noi stessi, spendendo la vita per l’altro).

L’Epifania è manifestazione della vera regalità a tutti, cristiani e non cristiani. Ma ormai ci incamminiamo verso la Pasqua, come ricorda l’indizione della data di questa festa delle feste, che oggi viene fatta nelle chiese d’oriente e d’occidente: la Pasqua, quando il Re dei giudei farà la fine di chiunque osa pensare e mettere in pratica una regalità come servizio dell’altro e non come potere violento. Ma l’ultima parola spetta a Dio, al Dio di Gesù!

Una descrizione dell'opera di JR si trova al termine del commento al Vangelo nel sito della Comunità di Bose L’Epifania, manifestazione dell’anti-regalità